Un articolo del Jerusalem Post, testata della destra israeliana, lamenta l'affermazione dei network arabi, Al Jazeera su tutti, come fonte d'informazione sui conflitti mediorientali e tira in ballo Indymedia ventilando una collaborazione tra cattivi soggetti.
Quello che stupisce il JP è che molti materiali e inchieste di AL Jazeera siano ripresi al di fuori del mainstream e nonostante il mainstream le ignori sistematicamente. Quello che lo preoccupa è che questo mini fino a distruggerla la propaganda a sostegno dell'azione israeliana.
Era già' accaduto per alcuni servizi su terribili bombardamenti ai danni di civili in Afghanistan ed Iraq, accade oggi per informazioni che il mainstream occidentale non ritiene di veicolare alla propria audience, dice il JP perché sarebbero "di parte". Ma è accaduto anche nel nostro paese e più recentemente in Turchia, in Grecia, in Francia e in molti altri paesi dove le storie raccontate dai governi e da organi d'informazione, succubi quando non complici, sono state disintegrate da un flusso costante di informazioni che ha messo a nudo la realtà e ridicolizzato la propaganda attraverso la quale i governi cercavano di prendersi gioco dei cittadini e sfuggire alle proprie responsabilità.
In realtà il mainstream occidentale segue una linea che è stata chiara fin da subito: non si devono mostrare le vittime delle guerre, ancora meno se sono civili o militari occidentali. Una direttiva in tal senso è stata emanata dal governo americano fin dalle prime ore della War on Terror ed è giunta fino a proibire le immagini delle bare e dei funerali dei soldati americani. Una versione per minori (o minorati) che non devono essere scossi nella loro innocenza o piuttosto banalissima propaganda di guerra.
Nei paesi alleati si sono allineati senza eccezioni, nonostante in Iraq siano morti a centinaia di migliaia, ben pochi di quei morti hanno avuto occasione di essere mostrati alla nostra opinione pubblica, che ancora oggi si deve sorbire la favola della strage di palestinesi come "legittima difesa" israeliana. Chiunque attenti a questo stato di cose viene visto con sospetto e affiancato al "nemico", anche se non fa altro che svolgere un'attività onesta se non benemerita. Eppure chiunque può ben rendersi conto che un'informazione che omette completamente i danni che fa la guerra, non è degna di essere chiamata tale.
Quella che per il JP è "cooperazione" è in realtà qualcosa di molto diverso. Non sono certo Al Jazeera e gli altri network arabi che mandano i servizi a Indymedia o alla blogosfera o ancora ai social network che poi li diffondono seminando sconcerto in chi si chiede perchè quel genere di notizie, video e foto non le ha mai viste sugli organi d'informazione mainstream. Sono decine se non centinaia di attivisti, blogger e persone comuni che ormai costituiscono l'ossatura di quel "citizen journalism" globale, tanto discusso quanto poco apprezzato dai mogul dell'informazione, che non riescono a trovare contromisure per irregimentarlo,
Persone che quando annusano puzza di disinformazione, inganni o interessate versioni, si lanciano alla ricerca di fonti, incrociano i dati e verificano le storie come ormai i giornalisti professionisti non fanno più, limitandosi per la maggior parte a ribattere le agenzie e a sposare le versioni di comodo che un appparato professionale intitolato alla propaganda si incarica di disseminare. Lavorano soli o, come nel caso di Indymedia, in squadra, ma soprattutto lavorano liberi da condizionamenti ideologici e senza la pressione di interessi governativi o economici, anche perchè lavorano assolutamente senza compenso che non sia la soddisfazione personale o la consapevolezza di rendere un servizio utile.
Riescono nello scopo utilizzando tecnologie ormai alla portata di chiunque, dalle macchine digitali per raccogliere le immagini, ai telefonini per beffare barriere e censure e riportare direttamente dal campo, per finire con l'impiego dei computer e della rete internet che permettono di mettere a disposizione di una platea vastissima le informazioni raccolte senza passare per quei filtri che fanno dell'informazione mainstream una melassa bugiarda quanto pericolosa.
Una situazione che turba chi fino a qualche tempo fa deteneva il monopolio dell'informazione e della definizione del senso, azzerando la credibilità di testate storiche colte a diffondere clamorosi falsi e opinioni imbarazzanti per quanto slegate dalla realtà. Se i media sono ormai parte integrante del controllo spettacolare integrato, molti nel mondo raccolgono quel "Become your media" ("diventa il tuo media" o "essilo!" in Italia) che è lo slogan fondante del network Indymedia, trasformando il falso in dolorosi contraccolpi.
Il JP parla di integrazione tra i network arabi che coprono gli eventi e Indymedia che possiede un pubblico avido di notizie affidabili, ma in realtà Indymedia è semplicemente un canale attraverso il quale chiunque copra la notizia e non abbia audience può bucare il velo di Maya con il quale il mainstream tenta di occultare le verità sconvenienti agli occhi delle opinioni pubbliche di riferimento. In Occidente come nei paesi arabi, sempre più messi in difficoltà da un flusso di notizie che non ha alcun riguardo per l'opportunità politica e giunge a creare problemi a molti regimi in giro per il mondo, arabi compresi.
Così come su un sito americano si può pubblicare un contenuto di origine araba, allo stesso modo un utente arabo o asiatico può pubblicare un contenuto da fonti occidentali su un sito locale. Questa è la cosa che fa andare in bestia i governi, in particolare quelli che hanno buona presa sui media affluenti alle opinioni pubbliche di riferimento, che in questo modo perdono quella supremazia sull'informazione e sulla definizione del senso che tutti, democratici o no, cercano di conseguire.
L'articolo del JP, nonostante sia chiaramente intitolato al biasimo di un tale stato di cose, non fosse altro perché mette in difficoltà la propaganda israeliana, rappresenta anche un autorevole riconoscimento ad un modello di partecipazione attiva e orizzontale alla definizione del senso e all'indagine della realtà che è venuto affermandosi proprio in coincidenza con l'inizio del secolo e con la maturazione della rete.
Una cosa è certa, se i prodotti di un canale come Indymedia o come quelli della blogosfera più in generale, hanno tanta audience e riescono ad incidere nella definizione del senso anche remando contro i grandi network commerciali che dispongono di ben altri mezzi e capacità di penetrazione, è proprio per le qualità sostanziali del prodotto, prima tra tutte quella di offrire notizie che altre fonti si rifiutano di passare quando non operano scientemente per falsificarle, ben poco importa a quei cittadini avvertiti che la forma non sia accattivante o l'assenza di nani e ballerine ad accompagnare la notizia del giorno.
Non si spiegherebbe diversamente come sparsi manipoli di volenterosi riescano a mettere nel sacco governi e moloch dei media che hanno mezzi e denaro per inondare le opinioni pubbliche con campagne ossessive e ridondanti a favore delle loro tesi e a seconda delle loro esigenze. Questo ci dice anche che questo genere di giornalismo civico esiste proprio perchè il sistema dei media non assolve il compito che gli sarebbe assegnato in democrazia e che ormai da tempo è chiaro a molti che tutto l'apparato spettacolare non sia intitolato alla circolazione delle notizie, ma sia semplicemente uno strumento politico di controllo delle opinioni pubbliche. La realtà è spesso in contrasto con le narrazioni utili alla politica o ai potentati economici e così la realtà viene piegata alle esigenze contingenti, senza preoccuparsi se al cambiare delle esigenze le versioni spesso finiscono per contraddirsi.
Ogni contraddizione, ogni smascheramento, ogni trucco messo a nudo contribuisce così alla distruzione della fiducia del cittadino nella voce del governo e del sistema dei media, riducendo in questo modo lo spazio di manovra di quanti cercano vantaggi attraverso la diffusione della menzogna. Gli unici che possono preoccuparsi per una tendenza del genere sono evidentemente i soggetti in caccia di benefici indebiti, i cittadini globali del ventunesimo secolo invece non possono che essere fieri di un'evoluzione del genere che, lungi dall'essere risolutiva dei grandi disastri che piagano l'umanità, apre spiragli di fondata speranza per il futuro.
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