Il 7 ottobre 2006 Anna Politkovskaja viene uccisa da 4 colpi di pistola nell’ascensore del suo appartamento.
Quello stesso giorno altri due giornalisti, Karen Fischer e Christian Struwe della radio tedesca Deutsche Welle, sono morti. Anche loro colpiti da un’arma da fuoco, ma in Afghanistan.
Il confronto fa rabbrividire: i giornalisti di solito muoiono lontano da casa, sotto una bomba americana, o colpiti da proiettili afghani. In Russia invece i giornalisti muoiono nel loro paese, uccisi da altri russi, e i motivi della loro morte rimangono ignoti, così come i mandanti.
Anna lavorava per il settimanale russo indipendente Novaja Gazeta e dal 1999 seguiva la seconda guerra in Cecenia, con particolare attenzione alla violazione dei diritti umani da parte della Russia.
Putin, nominato presidente nel marzo del 2000, per impedire che i giornalisti lo mettessero in imbarazzo raccontando i misfatti russi in Cecenia, vietò ai mezzi di comunicazione l’accesso alla regione. I giornalisti disponevano solamente delle informazioni filtrate dall’ufficio stampa militare, ed era proibito verificarle direttamente sul luogo.
La Cecenia è lo strumento che ha permesso a Putin di soffocare la società civile e la libertà di espressione. Il 99 per cento dei mezzi di comunicazione trasmettono solo due tipi di informazioni: il primo riguarda l’eroismo delle unità federali russe che eseguono efficacemente il loro dovere nel rispetto più totale della legge; il secondo è costituito dalle cronache sulla crudeltà dei ceceni e di chi dovrebbe governarli.
Per questo Anna rappresentava una voce scomoda per il governo: le minacce non la fermavano, andare sul luogo dei conflitti rischiando la vita non la spaventava, riportare nei suoi articoli le testimonianze delle vittime cecene la faceva sentire appagata per aver svolto onestamente il proprio lavoro.Il suo giornalismo era tagliente ed estremamente pericoloso per i tempi in cui viveva, perché era un giornalismo della verità basato esclusivamente sui fatti.
Anna ormai era rimasta la sola a raccontare cosa succedeva realmente, e quando qualcuno le chiedeva perché lottava con tanta ostinazione rispondeva: “Io non lotto per nessuna causa, sono solo una giornalista. E il compito del giornalista è semplicemente di informare su quello che succede”.
Riguardo a Putin la Politkovskaja ha scritto:
"Nonostante il suo salto di carriera, però, Putin era un personaggio anonimo in Russia. La famiglia Eltsin decise allora che una guerra era il modo migliore per far crescere rapidamente la fama del successore alla presidenza che aveva promesso di tutelare il suo patrimonio. Così Putin ha dichiarato guerra alla Cecenia, approfittando della possibilità di farsi conoscere che gli offriva l'attualità: degli attentati a Mosca e a Volgodonsk avevano distrutto diversi edifici, e le bande di Basaev e Khattab stavano attaccando il Dagestan.
La guerra è stata chiamata ufficialmente "operazione antiterrorista nel Caucaso del nord" – in altre parole, lotta contro il terrorismo –[...] . Allo stesso tempo, è stato deciso che chiunque si dichiara contrario alla guerra deve essere considerato un "nemico", "complice dei ceceni" e "antipatriottico". I russi hanno subìto un lavaggio del cervello radicale [...]"
Ma Putin, a detta dalla Politkovskaja, non può essere considerato l’unico colpevole di questa tragedia. La Cecenia è stata abbandonata al proprio destino dal resto del mondo. L’Europa si è lasciata imbrigliare dal presidente russo e gli hanno lasciato fare quello che voleva. Schroder, Blair e Berlusconi hanno dimostrato un grande affetto nei confronti di Putin. I ceceni non hanno avuto considerazione da nessuno, e perciò hanno deciso di fare affidamento solo su se stessi.
Ma di Anna si fidavano. Quel popolo oppresso e abbandonato sapeva di poter trovare nella giornalista un aiuto concreto. Basta pensare a quel tragico 23 ottobre del 2002, quando un comando ceceno prese in ostaggio 916 persone nel teatro Dubrovka di Mosca. Fu proprio per questa occasione che Anna Politkovskaja abbandonò per poco il suo ruolo di giornalista per assumere quello di mediatrice su richiesta dei terroristi stessi.
Anna entrò nel teatro, trattò con i soldati cercando di raggiungere un compromesso e portò acqua e succhi di frutta per le vittime (rassicurate dalla sua presenza, come affermerà in un intervista una delle vittime sopravissute).
Il 26 ottobre, 57 ore dopo l’inizio del sequestro, i terroristi furono sterminati. Con loro morirono per il gas 130 ostaggi.
Questa non fu l’unica occasione per la Politkovskaja di vestire i panni da mediatrice. Nel settembre del 2004 era stata richiesta la sua presenza a Beslan, durante il sequestro nella scuola; ma mentre si trovava sull’aereo subì il suo primo attentato: il the che aveva bevuto era stato avvelenato. La giornalista perse i sensi e l’aereo dovette tornare subito a Mosca per permetterle di curarsi. In seguito le fu impedito di interessarsi del caso.
L’ultima testimonianza del lavoro svolto da Anna risale al 5 ottobre del 2006, due giorni prima del suo assassinio. Anna Politkovskaja era intervenuta per telefono alla trasmissione “L’ora della stampa”, condotto da Elena Rykovtseva su Radio Svoboda.
Fu in quella occasione che Anna lanciò in diretta le sue accuse contro Ramzan Kadyrov, primo ministro ceceno e stretto alleato di Putin.
Anna sarebbe dovuta comparire come testimone in un processo contro Kadyrov e i suoi uomini, per i sequestri, le torture e le uccisioni sulle quali la giornalista russa aveva raccolto testimonianze.
Purtroppo non è riuscita a realizzare il desiderio di vedere il primo ministro seduto al banco degli imputati. L’hanno messa a tacere prima. Ed è proprio per questo motivo che una delle piste su cui le autorità russe stanno indagando, porta a Ramzan Kadyrov.
E quando Putin, dopo tre giorni di silenzio riguardo alla morte della giornalista, è apparso davanti alle telecamere sostenendo che la voce dija Anna non contava niente per la Russia, che il lavoro da lei svolto non ha mai influito sull'opinione pubblica, nessuno è riuscito a dargli torto. Anna si batteva per i diritti civili, ma non si può pretendere di essere ascoltati in un paese dove i cittadini non conoscono nemmeno il concetto di diritti. Anna era stata lasciata da sola, in disparte, era considerata la “pazza di Mosca”, ma nonostante tutto ha sempre svolto il suo lavoro, fino alla fine, fino alla morte.
La morte di Anna Politkovskaja lascia un enorme vuoto in Russia e in tutta l’Europa. Un vuoto che prima era occupato dalla verità, ma che ora nessuno si prenderà l’impegno di colmare.
Questa morte, ingiusta quanto meschina, rappresenta un grave attentato alla libertà di espressione e di informazione, perché quando muore un giornalista, muore anche parte della libertà di un paese.
“Vivere è così orribile. Vorrei un po’ più di comprensione, ma la cosa più importante è continnuare a raccontare quello che vedo”. Anna Politkovskaja