Quello del 2 agosto a Bologna è un corteo puntuale. Al mattino alle 8.45, nell’affollata sala del Consiglio Comunale, un breve saluto del Sindaco e di Paolo Bolognesi, presidente dei familiari delle vittime e poi tutti in Piazza per la sfilata silenziosa fino in Stazione. Parla per primo Paolo Bolognesi che, enumerando i numerosi ex-terroristi rossi e neri in libertà, attacca violentemente Rifondazione Comunista ed il capogruppo in Senato, Russo Spena, accusandolo di perdonismo e di voler cancellare la memoria storica delle stragi e del terrorismo. Attacca i radicali e cita, uno ad uno, i condannati per episodi di lotta armata liberi o impegnati in attività di riabilitazione: prima, i neofascisti e, poi, il deputato Sergio D’Elia, Renato Curcio, Oreste Scalzone, Cesare Battisti. Manca, incomprensibilmente, soltanto un nome: Adriano Sofri, forse perché qualcuno avrebbe da ridire?. Bolognesi, come preannunciato, tiene un discorso lungo e “sfora” oltre le ore 10.25. Soltanto alle 10.30, lo speaker annuncia i tre fischi del locomotore per il “minuto di silenzio”, a cui seguono gli applausi della piazza. Interviene Sergio Cofferati, sudatissimo in giacca e cravatta con un vistoso collare anti-trauma. Per quest’anno, non riceve fischi e passa la parola al ministro del Lavoro Cesare Damiano. Le prime sillabe pronunciate dal Ministro sono il segnale per le contestazioni contro il Governo. Molti delegati della FIOM abbandonano la piazza in polemica con il Ministro del Lavoro. Un gruppo di anarchici del circolo Berneri, al centro della Piazza, viene circondato dalla Polizia. Davanti al palco, una rappresentanza di delegati di RdB – Cub tiene in alto uno striscione contro il segreto di Stato. Ai primi fischi dei sindacalisti di base, scatta il servizio d’ordine dei sindacati unitari. Spintoni ed insulti. La segreteria di RdB-Cub, un’ora dopo la manifestazione, denuncerà l’aggressione contro due lavoratrici da parte di attivisti sindacali unitari. Ma che la piazza sia strettamente “sorvegliata”, e non solo dalla Polizia, lo si capisce quando i Giovani Comunisti alzano uno striscione alto 4 metri con la scritta “Basta precarietà, Damiano dimettiti!”. Non bastano i battibecchi perché un attivista barbuto della CGIL di mezza età parte alla carica da solo e sferra un calcio contro uno dei ragazzi di Rifondazione. Il gruppo intorno allo striscione si ingrossa perché si avvicinano anche esponenti della segreteria di Rifondazione e alcuni consiglieri comunali. Volano insulti e timidi tentativi di discussione. Un cordone di poliziotti in divisa e in borghese circonda il folto gruppo di sostenitori dello striscione, che viene riposto solo alla fine dell’intervento di Damiano. L’attenzione della piazza per il discorso di Romano Prodi è minima. Tutti si appassionano di più alle polemiche fra i manifestanti. Durante la manifestazione vengono anche distribuiti dei mini-volantini, subito sequestrati dalla DIGOS, con una foto della strage di Piazza Fontana e la scritta “Terrorista è lo Stato”.