Il problema della precarietà è legato a filo doppio a quello della sicurezza sul lavoro. I rischi oggettivi che si corrono in situazioni non a norma sono maggiori per chi, come i precari, non ha alcun tipo di garanzie. E’ un problema che anche i ricercatori universitari, in quanto precari, sentono fortemente dato che molti di loro spendono la maggior parte del proprio tempo in laboratori dove le norme di sicurezza non vengono rispettate. Per questo la Rete nazionale dei ricercatori precari, insieme a Precaria (precari Cnr e Inaf dell’Area d Bologna) ha organizzato per Lunedì 18 giugno alle ore 13 un presidio davanti al rettorato dell’Università di Bologna.
Tre rappresentanti dei ricercatori precari bolognesi (Anna Borghi, Francesca Scandellari e Francesco Spinelli) hanno spiegato oggi in conferenza stampa, al Comune di Bologna, i motivi e gli obiettivi di questa iniziativa. Innanzitutto sarà una manifestazione di solidarietà ad Adriano, un lavoratore precario di 49 anni della facoltà di Agraria di Bologna, che ha subito un incidente mentre lavorava in laboratorio riportando gravi ferite alle mani e si trova attualmente in ospedale. Non si sa esattamente cosa sia successo, le indagini sono ancora in corso, ma sicuramente quanto avvenuto a un lavoratore con anni di esperienza alle spalle spinge a riflettere. Per questo l’altro obiettivo sarà quello di far luce sul rapporto tra precarietà e sicurezza, in particolare nelle Università. I ricercatori spiegano che non si vuole attribuire colpe a qualcuno in particolare, ma piuttosto è una aperta richiesta al governo e agli organi di competenza affinché affrontino il problema, stanziando finanziamenti per regolarizzare le strutture non a norma. Il quadro generale, che emerge dalle ricerche a livello nazionale e viene confermato anche da una piccola indagine tra i ricercatori bolognesi, è decisamente avvilente.
L’Italia si distingue per il fatto che le norme previste dalla legge 626/94 sono spesso disattese, e i rischi psicologici derivanti dallo stato di precarietà sono spesso trascurati. Per quanto riguarda i rischi fisici dai dati emerge che i precari rischiano di più dei lavoratori stabili: hanno i compiti più pericolosi, accettano condizioni di lavoro che uno strutturato di solito rifiuta, non sono adeguatamente informati sull’uso degli strumenti, la quantità di tempo passata a lavorare in situazione di stress li induce all’automatismo dell’attività e quindi a non prestare attenzione, essi per primi, alla sicurezza. L’Eurispes rivela che i precari muoiono e si infortunano due, tre volte di più degli stabili, i lavoratori internali o a “somministrazione di lavoro” assicurati all’INAIL, rischiano il doppio rispetto agli addetti dell’Industria e Serivizi. La situazione è più grave al nord dove il 75% dei contratti è interinale, ma anche al sud l’INAIL segnala un dato preoccupante, laddove in Sicilia gli incidenti subiti dai parasubordinati sono cresciuti del 46% dal 2004 al 2005. Risulta però che i precari denunciano meno degli stabili la percezione dei rischi sul luogo di lavoro, pur essendo quelli più esposti al pericolo. Evidentemente perché hanno paura di perdere il posto. Ne consegue un forte stress psicologico, come rilevato da una recente indagine condotta dal Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Usl di Bologna che mostra come i precari siano colpiti da vari disturbi legati alla pressione psicologica.
Per mostrare come anche i precari dell’università lavorino in condizioni ad alto rischio e spesso senza averne consapevolezza, è stata effettuata una piccola indagine su un campione di 23 persone provenienti da cinque diversi dipartimenti di tre università italiane, tutti precari da 4 a 10 anni. Il questionario ha confermato diversi punti già emersi nell’indagini sul precariato in generale:
1) La maggior parte degli intervistati ha affermato di lavorare in laboratori non a norma
2) C’è una disinformazione diffusa circa la presenza di addetti alla gestione delle emergenze e del primo soccorso (lavoratori assunti stabilmente per svolgere questo compito), che quindi è come se non esistessero, e sull’analisi dei rischi effettuate o meno nei laboratori.
3) Nessuno ha partecipato a simulazioni di esodo in caso di emergenza e solo tre persone hanno seguito corsi di formazione alla sicurezza.
4) Nei laboratori dove si gestiscono sostanze chimiche le schede di sicurezza per l’utilizzo dei prodotti sono spesso poco chiare, e comunque solo una persona dichiara di aver seguito un corso di informazione sulla pericolosità delle sostanze utilizzate. Insomma nella maggior parte dei casi si sperimenta direttamente sul campo (e sulla propria pelle) senza una preparazione preliminare adeguata, affidandosi magari all’esperienza di singoli, che però, come ha mostrato il caso di Adriano, non mette al riparo dai rischi oggettivi.
5) In molti laboratori non funzionano i sistemi per evitare di inalare sostanze chimiche e gli strumenti di protezione si limitano ai guanti, e a volte al camice (che spesso ci si deve portare da casa!).
6) Quasi tutti passano più di 20 ore alla settimana davanti a computer in postazioni non sottoposte all’analisi dei rischi.
Il dato più preoccupante è che i lavoratori sono quasi totalmente disinformati sulle normative e dunque su quali dovrebbero essere le condizioni adeguate del loro luogo di lavoro, pur provando in prima persona disagi quotidiani, e non sanno a chi rivolgersi in caso di emergenza.
È chiaro che i rischi dovuti alle condizioni dei locali sarebbero gli stessi anche per un lavoratore stabile, ma il problema è che i precari, a differenza degli altri, non hanno garanzie e però sono proprio loro che vengono messi nelle situazioni peggiori.
Il presidio di lunedì è una reazione a dati allarmanti e un modo per tutta la comunità dei precari dell’Università per chiedere:
indagini sullo stato dei laboratori negli atenei e negli enti di ricerca;
- finanziamenti affinché l'università si adegui alle norme di sicurezza e agli standard europei sulla sicurezza;
- formazione e informazione per i ricercatori precari;
- copertura assicurativa per tutti;
- assunzioni per i ricercatori e i tecnici precari.
Finora aderiscono all’iniziativa: CTRL-Shift-Bologna, Vag61 - Officina dei media indipendenti, collettivo universitario EsPRèsS / Esistenze Precarie Resistenza Sociale, Confederazione Cobas, Partito Comunista dei Lavoratori - sez. di Bologna, Rdb-Cub Bologna.
Per adesioni: bologna@ricercatoriprecari.org