Sfogliando Effe, il notiziario di Feltrinelli, si può vedere come già cinque-sei pubblicazioni specializzate in inediti abbiano affondato in Italia le proprie radici. Ma attraverso quali compromessi e condizionamenti? In linea con l'etica spesso progressista dei compunauti europei, la via più promettente per una vera letteratura indie sembrerebbe la Rete, per la quale tuttavia è aperta la questione se esista o meno una proprietà della parola scritta, e soprattutto lo stesso problema occorso agli artisti sempre più numerosi che diffondono musica per mezzo della/e Rete/i: l'ombra del solito network che, camuffandosi un po', riuscirà a quasi monopolizzare ogni accesso, ogni performance.
Interrogativo sostanziale: che fare? Se si vuole uscire dai meccanismi già oliati delle editorie di vario genere, è a questo punto che Roberto Roversi sostiene, a proposito di un discorso sul comunicare, l'efficacia del dispaccio, del foglio artigianale rispetto al disciplinare la scrittura attraverso omologazioni di forma e atteggiamento assurdamente logoranti. E' da presupposti come questi - e qui smetto i panni del serioso - che siamo partiti per lanciare "Il vascello di carta", rivista house e autofinanziata da cinque produttori di prosa e/o poesia come certo qualcuno di voi che ora leggete; anche noi cresciuti sui prati di Villa Spada o all'ombra del cedro di via Cartolerie come Brizzi e Ballestra, ma che rispetto alle passerelle dei Premi nazionali per anni abbiamo preferito (o ci siamo accontentati? Almeno noi non abbiamo scelta...per ora!) le rimpiante serate di Versodove in via Andreini, le chiacchiere letterarie il giovedì notte a Radio Città 103, fino alle recenti performances poetiche al Link, così ben governate da Gilberto Centi. Chi scrive, insieme a Luca Cocciolo, Gianluca Ottone, Annalisa Montuschi e Andrea Toschi, ha voluto creare uno spazio per coloro che, per mancanza di vil denaro o del solito aggancio, non solo sono talenti inespressi ma nemmeno possono coltivare l'estremo godimento del confronto, della conoscenza di altri microcosmi che quotidianamente, pure inosservati, stratificano, fanno piccola e importante storia, mediata dal fenomeno letterario (ho rimesso i panni del serioso, c'è lo spettro di Pippo Chennedy sulla mia spalla). E' davvero ciò che riscontriamo dai materiali che ci sono già arrivati: pulsioni e tensioni vissute con ardore o con leggerezza, ripiegati in se stessi o aperti sempre al contatto del caso o della necessità, dalla città bolognese sempre più guardinga e sempre meno sincera, o dalla provincia più lenta e anch'essa a volte disperata, proprio apposta per far dispetto ai vescovi. E per essere elementi - ora che si può - di quel patchwork di tendenze che combina e dà forma a una rivista eterogenea eppure così finalizzata nella sua volontà non-formale, non-compromessa, non-supponente come le trasmissioni della cara Dacia (meglio, che siano in terza serata). E' questa l'anima di iniziative come la nostra o un'altra bella cosa come Lettera 97; abbiamo ritenuto che ce ne fosse bisogno, dopo alcune iniziative bolognesi analoghe che dagli anni scorsi non sono proseguite con lo stesso spirito, o che una prosecuzione non sono riuscite a trovare. Al posto del pretenzioso vascello, sulla nostra copertina, abbiamo messo la barchetta copricapo dei manovali. Sotto il sole, permeabili alle voci e non troppo alle difficoltà, così vorremmo essere.
Alcuni di voi ci hanno già incontrato, ed era ciò che ci attendevamo. Si pensava a serate con gli autori, abbiamo contatti con una radio della città per preparare un programma con il nome della rivista, e le vostre letture. Dal racconto alla poesia, passando per la recensione e la critica letteraria, si attende il vostro contributo. Saremo da fine giugno anche nelle librerie, con il nuovo numero; per ora potete sperimentare il nostro impatto richiedendoci in visione presso le biblioteche di via Galliera, via Pietralata, via Zamboni a Pedagogia(!), via Genova, via Gandusio, Corticella, S.Lazzaro, Pianoro.