"Caro Sergio Cofferati, mio figlio Francesco mi ricorda molto spesso che Mao Tse Tung predicava a tutti e ai cinesi in particolare che bisogna essere come la tenera e fiera canna e non come la rigogliosa quercia. Arriva la tempesta e il vento forte, e la quercia che fa? Resiste, resiste e poi si spacca, cade a terra e muore. Arriva l'uragano e il vento fortissimo e la canna flessibile si piega, si piega magari fino a terra ma poi passato l'uragano si rialza e continua a vivere recuperando la fierezza di prima."
(Carla Fracci, l'Unità, 26 febbraio 97)
Ci voleva Mao, nel ricordo della più famosa ballerina italiana, per farci capire come sarà la Cosa 2 annunciata dal PDS: sarà innanzitutto "flessibile". E visto che la quercia, con il vento forte, si spacca, cade a terra e muore, la vecchia metafora del "grande timoniere" offre pure un suggerimento per il nuovo simbolo del partito. Una "fiera canna" (se non fosse che si corre il rischio di far arrabbiare l'Osservatore Romano con il doppio senso sulla cannabis).
E ci voleva Bruno Trentin, lo stesso giorno, sullo stesso giornale, nella stessa pagina di Carla Fracci, per associare la mitica "flessibilità", oggetto dello scontro D'Alema-Cofferati, al ricordo della tragedia del porto di Ravenna. Con queste parole: "Il ricatto dell'occupazione è lo stesso che fanno quelli che sfruttano i ragazzini che fanno i tappeti in Pakistan o in India. Non credo che si possano costruire alleanze - né voglio pensare che questo sia l'obbiettivo - con un'imprenditorialità che pratica l'illegalità sistematica. E' possibile costruire un compromesso con imprese come la Mecnavy di Ravenna che assumeva giovani con contratti di formazione e lavoro per fare i tornitori specializzati e poi li utilizzava per pulire le sentine delle navi? (che la lezione della Mecnavi sia stata un po' dimenticata, lo si nota da un dettaglio: l'Unità scrive tre volte Mecnavy).
Dieci anni fa, il 13 marzo 1987, nel porto di Ravenna è avvenuta una strage: 13 operai sono morti asfissiati a bordo della nave Elisabetta Montanari, in fase di riparazione nel cantiere Mecnavi.
E' casuale la doppia coincidenza: il ventennale dell'11 marzo 77 e il decennale del 13 marzo 87. Ma non è un caso che entrambe le vicende richiamano, oggi, un passaggio critico per le nuove generazioni: il lavoro, il suo senso, la sua mancanza, la sua liberazione. Nel discutibile dilemma fra garanzie e opportunità, poche parole risultano altrettanto ambigue di flessibilità: nel suo senso libertario, la si può applicare ai calciatori come Baggio e Zola (che viaggiano da una squadra all'altra, alzando sempre l'ingaggio), ai volti televisivi come Santoro e Bongiorno, o a poche grandi firme del giornalismo; insuperati maestri di quest'arte rimangono certi ministri democristiani, che a ogni nuovo governo passavano con indifferenza da un ministero all'altro. Purtroppo, per il restante 99,9% della popolazione, - i non garantiti - quando si parla di flessibilità si intende meno salario, meno garanzie, meno diritti. Come ha scritto Pietro Ingrao sul manifesto del 27 febbraio, "confesso che fatico ad immaginare come una prospettiva felice questo diventare flessibili ... Il transitare da un lavoro all'altro è ben lontano dall'essere diventato una libertà".
Non erano liberi di scegliere i morti di Ravenna. Morirono "come topi", disse il cardinale Tonini. Impressionò la descrizione del lavoro dei "picchettini", le condizioni di sfruttamento e di insicurezza a cui erano costretti. Nessuno immaginava (si disse) che nella civilissima Ravenna si potesse lavorare in quel modo. Da questa miscela di stupore e incredulità, emersero situazioni assai poco moderne: il subappalto, il caporalato, il ricatto rivolto verso fasce di emarginati, la competitività ottenuta tramite la distruzione del tessuto sindacale. La tragedia, forse, era messa nel conto. Con le parole di chi effettuò la ricostruzione dei fatti per il Tribunale, "lo scenario in cui si operava, rendeva l'evento catastrofico non dipendente dalla casualità, ma piuttosto appartenente all'insieme delle quasi-certezze".