Mentre l'ONU fa notare che l'Italia non rispetta il diritto di asilo con gli albanesi che chiedono di poter essere accolti come profughi, tutti si chiedono adesso: che cosa siamo andati a fare in Albania?
Vranitzky, il diplomatico incaricato di mediare perché si possano tenere elezioni riconosce il fallimento dei suoi sforzi e passa in rassegna le truppe.
Ci si prepara ad imporre le elezioni?
Nessuno sa quale direzione possa prendere l'eroica spedizione senza scopi.
Ma questo non è soltanto il segno (prevedibile) dell'insipienza italiana, della risibile prosopopea patriottica dei quarantenni del PDS. Questo è soprattutto il segno della dissoluzione del progetto europeo.
L'Europa si chiude a riccio, questa è la conseguenza della trappola di Maastricht.
Quanto più forte diviene la presa del finanziario sulla vita sociale europea, tanto più chiusa ed aggressiva diviene la sua politica verso il mondo.
Il sogno originario degli europeisti come Altiero Spinelli e Jean Monnet è qui sovvertito. Invece di essere un fattore di pace, la costruzione europea sta diventando un fattore di chiusura e di guerra.
Ma uno scenario diviene ogni giorno più probabile : l'intero castello finanziario che sorregge Maastricht (il cartogramma virtuale entro il quale le società concrete debbono essere costrette) non sarà mai completato. I parametri che costituiscono la sua armatura non possono essere rispettati da nessuno, se si esclude il Lussemburgo.
Rossana Rossanda lo ha spiegato benissimo in un'analisi ragionata che è comparsa sul Manifesto dell'1 maggio (Europa Europa).
"Nelle acque politiche ed economiche diversamente agitate del continente oggi dentro i parametri per un verso o per un altro non sta nessuno. E domani? Con questi chiari di luna dell'economia e dell'occupazione?", scrive Rossanda.
C'è qualcuno che possa darle torto? In ogni caso nessuno le ha risposto.
Perché lo sanno tutti, ma fanno finta di niente.
Perché fanno finta di niente?
Perché questa carota della scadenza europea e dei parametri in cui ci dobbiamo infilare permette di usare il bastone contro le pensioni i servizi e così via.
Ma soprattutto contro gli stranieri del Nordafrica, dell'Albania, che potrebbero essere un'opportunità ed invece sono trasformati in pericolo.
Il ceto politico non sa inventare altra strada che quella di ripercorrere in ritardo le strade disastrose del thatcherismo. Debbono massacrare le società delle diverse aree europee, in questo ultimo anno di carota. Correre, correre, e chi non sa correre crepi.
E fra un anno il fallimento sarà dichiarato, ma il grande capitale dei diversi paesi europei avrà aumentato i suoi profitti ed il numero degli emarginati aumenterà come nell'Inghilterra degli anni Ottanta.
Fantasie paranoiche? Può darsi. Ma deve pensare la stessa cosa anche Jacques Chirac.
Quel che succede in Francia è interessante.
Jacques Chirac, che ha vinto in modo drastico le ultime elezioni presentandosi con un programma orientato in senso populista piuttosto che in senso liberista, ha deciso di sciogliere l'Assemblea Nazionale con un anno di anticipo. Strano, no?
Chirac dispone ancora di una maggioranza fortissima in Parlamento; allora perché decide di andare alle elezioni con un anno di anticipo, come mai decide di sottoporre il suo potere ad una verifica, con un anno di anticipo?
Alcuni, come Regis Debray o Paul Thibaud, direttore della rivista Esprit, ed anche il settimanale Nouvel Observateur lasciano intravvedere una spiegazione interessante.
Chirac sa benissimo che fra un anno le elezioni in Francia sarebbero un disastro, ed ha bisogno di avere mano libera oggi. Il programma populista con il quale si è presentato alle elezioni è ora diventato per lui un impaccio. Deve procedere in fretta.
Molti si lamentano in Italia per il numero eccessivo di dipendenti pubblici. In Francia i dipendenti pubblici sono più di cinque milioni, mentre in Italia sono tre milioni e duecentomila (Nouvel Observateur, 25 aprile '97). E mettere le mani sullo stato sociale, in Francia adesso, rischia di essere un lavoro difficile.
Per questo le elezioni fra un anno, per il governo di Chirac, e per Alain Juppé, possono diventare un disastro.
La società francese ha cominciato da tempo a dare segni di insofferenza verso la cura Juppé, cioè verso l'Europa di Maastricht.
Tra il 25 e il 27 aprile, i ferrovieri francesi hanno scioperato per tre giorni consecutivi. Da mesi l'inquietudine sociale si coagula in piccoli scontri. La legge Debré, che riduce i diritti degli emigrati e complica le norme di accesso per gli stranieri, ha messo in moto una catena di reazioni che può avere sviluppi.
E, per finire, Le Pen si rafforza al sud, e potrebbe crescere in tutto il paese nel futuro.
Chirac sa quel che fa, ha chiamato i francesi alle urne in un battibaleno senza far tante storie, senza essere inciampato in nessuna sfiducia. Altro che Prodi. Prode è davvero Chirac.
Perché con quel grosso nasone che Dio gli ha fornito ha annusato un'aria bruttissima per il '98.
In Francia, a differenza di altri paesi europei, gli accordi di Maastrich sono stati sottoposti ad un referendum popolare. Ci fu, allora, una discussione seria sull'argomento (una discussione che in Italia è mancata completamente, e continua a mancare).
Ed alla fine vinse largamente il "sì'".
Ma adesso si cominciano a vedere le conseguenze di quella scelta. E perciò la questione si riaprirà. Chirac teme che, nel '98, le elezioni diventerebbero un referendum sull'Europa, e precisamente un referendum contro l'Europa. Perché nell'89 il fallimento sarà evidente, sotto gli occhi di tutti.
E le scelte degli umani sono suscettibili a revisione, n'est-ce pas?
Ma sembra che sia calata una cappa di conformismo per cui si discute di tutto tranquillamente, salvo che delle cose fondamentali, quelle che determinano la direzione generale dell'intera società. Le scelte fondamentali sono dominio del pensiero unico.
E così spesso si prova l'impressione di non essere più in tempo a fermare questa follia, ad evitare che la trappola di Maastricht si chiuda, per evitare che l'Europa diventi questa caricatura nevrotica che si sta partorendo?