Martedì 11 luglio 2006 in Sardegna 54 persone militanti dell’organizzazione “A Manca pro s’Indipendentzia” sono state perquisite dalla polizia. 10 di loro sono finite in carcere, le altre 44 risultano inquisite con l’imputazione di associazione sovversiva (art. 270 bis). Le loro foto messe sui giornali, come fossero barbari, in quanto accusati di terrorismo sulla base di intercettazioni frammentarie e senza prove concrete. La sinistra indipendentista sarda ha dovuto subire questo sopruso per il solo fatto di lottare a favore della propria cultura e contro le basi militari che stanno devastando la Sardegna. Basi che, nell'ottica degli attivisti sardi, sperimentano armi altamente nocive e pericolose per l'ambiente, che hanno come effetto la contaminazione con polonio e lo sviluppo inevitabile di tumori che condannano a morte parte della popolazione.
I giornali locali incolpano di ciò che è accaduto “l’alta cultura politica, le parole e i dibattiti”.
E i fatti? Su quali fatti si basano le perquisizioni e gli arresti di uomini che tuttora non sono stati provati colpevoli? L’unica accusa che per ora si può muovere contro queste persone è quella di essere dei comunisti sardi colpiti dalle limitazioni della libertà di pensiero e di parola.
Sulla base di un teorema noto come il “Teorema Pisanu” si vuol far credere che i militanti colpiti siano pericolosi terroristi e si usano leggi speciali come la Reale-Cossiga (ancora in vigore) e il cosiddetto “pacchetto Pisanu” per tentare di far tacere voci scomode che lottano per una Sardegna diversa.
3 delle 10 persone arrestate sono ancora in carcere. Uno di loro è stato “deportato” (perché questo è il termine giusto) nel carcere di Pavia a insaputa dei parenti e dello stesso avvocato.
Rimane privo di risposte un altro fatto inquietante che riguarda il rifiuto di alcune testate (tra le quali anche il Manifesto) alla richiesta da parte dell’organizzazione di pubblicare la notizia sull’accaduto. Stiamo parlando di quotidiani Italiani che si sono rifiutati di svolgere il loro dovere, che non è quello di assolvere o condannare i militanti sardi, ma semplicemente di informare la gente su come sono andati i fatti.
Tanti dubbi dunque sull’accaduto che, a sette mesi di distanza, devono ancora trovare una spiegazione.
“A Manca pro s’Indipendentzia” (a Sinistra per l’Indipendenza) è un movimento politico progressista, che lega indissolubilmente la lotta di liberazione nazionale con l’emancipazione socialista del popolo sardo. Il loro simbolo è rappresentato dalla falce e dal pugnale nuragico legati con la benda che tradizionalmente copre gli occhi (o la fronte, a seconda dei casi) dei mori della bandiera sarda.
La loro azione politica è alla luce del sole; lavorano anche a livello universitario con “su Collettivu de sos Istudiantes” e diffondono il loro giornale, “Soberanìa” (Sovranità), regolarmente registrato; a livello sindacale lavorano per la crescita della Css (Conferenza Sindacale Sarda).
La nascita dell’organizzazione è dovuta all’impegno di voler superare una visione della lotta strettamente territoriale e priva di progettualità politica.
“A Manca pro s’Indipendentzia” si fa portatore di una concezione marxista richiamante anche l’indipendentismo.
In un articolo apparso nel suo giornale, dal titolo “la lotta di liberazione nazionale, la repressione, i teoremi della controrivoluzione preventiva”, viene spiegato che le rivendicazioni a carattere locale sono fortemente agganciate alla lotta di classe:in quanto espressione organizzata degli interessi della borghesia, tutti gli apparati dello stato saranno impiegati per soffocare, con ogni mezzo necessario, la legittima rivendicazione di indipendenza e sovranità del popolo sardo. Questa consapevolezza deve alimentare in ciascun patriota, in ciascun militante comunista-indipendentista il desiderio di lottare, con scientificità e determinazione, con tutti i mezzi richiesti dalla lotta, per l'indipendenza e il socialismo.
Sin dagli inizi della sua attività, "A Manca" mira a porsi come 'polo di riferimento' per le diverse compagini del dissenso locale, diffondendo, all'interno dell'Università di Cagliari, un volantino dal titolo La rappresaglia dello Stato italiano non ci fermerà, in cui gli estensori protestano contro l'attività di 'repressione' finalizzata a combattere la crescente coscienza nazionale e gli episodi di resistenza popolare.