Per anni ci hanno insegnato nelle scuole e nelle università che i tratti che disinguono una democrazia sono la libertà di pensare, di poter scegliere in autonomia i propri percorsi di vita nel rispetto delle idee altrui e la possibilità di avere gli strumenti per effettuare tale scelta. Ci hanno sempre ripetuto che chi detiene il potere ha il compito di ascoltare tutte le voci che si alzano dalle pieghe della società e il dovere di tentare di interagire con le contraddizioni e i conflitti con gli strumenti del confronto politico, anche duro, e della mediazione.
Una democrazia è tale soprattutto se i pensieri, le propensioni comportamentali, le aspirazioni soggettive e le rivendicazioni politche, anche quelle delle minoranze, sono rispettate e ritenute in qualche modo legittime. Questo ci hanno sempre detto. Oggi, guardando a quello che succede in Italia, mi chiedo se qualcuno abbia la sensazione di trovarsi in una vera democrazia.
Pendiamo in esame tre questioni di grande attualità: il lavoro, l'immigrazione e l'istruzione.
Per quanto riguarda il lavoro nessuno può negare che, in questi tempi di crisi, la precarietà diffusa, dovuta all'imporsi di nuove forme contrattuali chiaramente discriminatorie per gran parte dei lavoratori e una generale distribuzione della ricchezza marcatamente diseguale, portano molti lavoratori e disoccupati a rivendicare migliori condizioni salariali e un erogazione di reddito in grado di aprire possibilità di vita dignitose. Ebbene di fronte a questa legittima domanda sociale la reazione governativa è da una parte il tentativo di non considerare neppure l'emersione di nuove forme di lavoro e sfruttamento, e quindi lesistenza della rivendicazione di nuovi diritti, e dall'altra di attaccare penalmente il diritto allo sciopero. Delegittimare e
criminalizzare dunque
Sul terreno dell'immigrazione le cose stanno di fonte a tutti. Il pacchetto sicurezza, e in particolar modo l'introduzione del reato di imigrazione clandestina, sancisce definitivamente il disinteresse del governo nell'affrontare questa questione con politiche sociali e con nuovi progetti di integrazione nel rispetto dei diritti e dell'autonomia dei migranti e insiste con la strategia della criminalizzazione e dell'utilizzo dello strumento penale e repressivo. Una politica che riproduce inevitabilmente discriminazione verso migliaia di persone e una cultura di paura, sospetto e diffidenza per la società intera.
Arriviamo ora ai fatti di questi giorni e qundi alla questione della formazione.
Erano anni che presentavamo le nostre critiche alla riforma 3+2, voluta ricordiamo dal centro-sinistra, parlando di de-qualificazione dei saperi, di liceizzazione e di aziendalizzazione dell'università. Quando la Gelmini e in generale il governo Berlusconi hanno palesato il loro progetto si è scatenata una diffusa contestazione sociale. Tutto avvenuto alla luce del sole. Abbiamo espresso la nostra preoccupazione verso quello che sembrava uno smantellamento vero e proprio dell'università pubblica, data la consistenza dei tagli e la previsione della creazione delle fondazioni universitarie e abbiamo dato vita a questa legittima preoccupazione con una legittima contestazione. Assemblee, cortei come quello di Roma a cui hanno partecipato centinaia di miglia di persone, blocchi stradali e occupazioni in tutta Italia hanno dunque tradotto politicamente, senza violenza alcuna e con determinazione, una legittima domanda sociale che si alzava da tutto il paese. Abbiamo in mente la costruzione du un'università pubblica adeguatamente finanziata dove i protagonisti siano sapere critico, cultura libera e ricerca "autonoma".
Tutto al servizio della nostra voglia di conoscere la realtà sociale contemporanea e, perchè no, magari di poterla trasformare. Questo abbiamo detto e fatto per mesi. E lo rivendichiamo come giusto e legittimo. La risposta è stata banale, scontata e per certi versi "coerente". I presidi e i rettori, gli stessi che appoggiavano la protesta, hanno smesso di parlare con noi appena abbiamo denunciato gli interessi feudali e i poteri baronali presenti in molti atenei. Sono arrivate le prime denunce e le prime cariche quando la mobilitazione ha dimostrato in qualità, tenuta e partecipazione di non essere la solita e rituale agitazione autunnale. Le facoltà hanno cominciato a sgomberare le aule autogestite che per settimane hanno portato una ventata di
partecipazione degli studenti alla vita universià e alla produzione e trasmissione del sapere e alcuni presidi hanno cominciato a negare le autorizzazioni per far svolgere conferenze e seminari di autoformazione.
Questione di ordine pubblico ci hanno detto. Infine, quando le lotte di studenti e ricercatori hanno cominciato a interagire con altre mobiliazioni diffuse sul territorio, quando insomma abbiamo cominciato a capire che la formula "moltitudinaria" che aveva caratterizzato il movimento dell'Onda poteva rappresentare una ricchezza importante da spendere in diversi terreni di lotta e rivendicazione, allora puntuale è arrivato il colpo di spada del Leviatano. "Non abbiamo un granchè a livello di prove ma i soggetti arrestati preventivamente avrebbero potuto partecipare alle mobilitazioni del G8 all'Aquila": questo dicono nelle motivazioni dalla procura di Torino. Ecco quindi di nuovo la formula collaudata. Non riconoscere l'esistenza di un certo conflitto
sociale, ignorarla e poi trasformarla in questione di sicurezza e ordine pubblico e infine criminalizzarla colpendo un pò a caso un pò miratamente le persone che l'hanno fatta emergere. Colpire i "cattivi" per intimidire i "buoni". Dividere laddove la messa in rete delle differenze aveva rappresentato un punto di forza. Produrre allarmi sociali e nemici pubblici per mistificare la realtà.
E' questa la strategia del governo per affontare una crisi economica e poltica che sta mettendo in discussione le basi stesse di una democrazia sempre più logorata, sempre più violentata, sempre più anomala. Niente piagnistei però. Sarà proprio sulle rovine di questa crisi inevitabile che l'Onda Anomala porterà avanti senza paura la sua idea di democrazia, all'insegna della libertà, dell'autonomia e della partecipazione vera di tutti alla vita sociale del paese.
di Omid Firouzi
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