Chi sono i protagonisti della rivolta in Iran?
Dopo le due settimane di campagna elettorale e l'ultima settimana di cortei e disordini, una delle domande più ricorrenti, oltre a quella sulle prospettive politiche che possono aprire gli avvenimenti pre e post-elettorali, riguarda la composizione delle migliaia o forse milioni di persone che hanno deciso con il loro protagonismo di dare un'impronta nuova al futuro di questo paese. In Iran i 2/3 della popolazione hanno meno di 30 anni e questo è un dato demografico da cui non si può non partire. Dire però che questa rivolta è genericamente una rivolta dei giovani è senz'altro estremamente semplicistico. Non solo perché nelle lunghe notti di agitazione sociale nei quartieri di Teheran si potevano incontrare molti cinquantenni protagonisti della rivoluzione del '79, ma anche perché nell'universo giovanile iraniano ci sono molti elementi di complessità da analizzare e interpretare. Caratteristiche culturali e di ceto sociale che rendono la composizione di questo universo difficilmente categorizzabile.
Vediamo ora alcune caratteristiche con cui si presentava la capitale dell'Iran alle porte delle elezioni e di come alcuni tipici aspetti sociali della città siano stati fortemente esposti a cambiamenti nelle ultime settimane. Una riflessione che potrà forse tornarci utile per cercare di fare luce su alcune prospettive possibili delle mobilitazioni.
Teheran è una metropoli sconfinata, all'interno della quale esiste una divisione netta tra i quartieri benestanti del nord e quelli più poveri del sud e questa frattura si ripercuote su una difficoltà relazionale tra gli abitanti di queste due zone della città alimentando diffidenza tra gli uni e gli altri. L'accusa spesso mossa ai ragazzi del nord è di attaccare il regime soltanto per rafforzare i loro privilegi, di emulare il modello culturale occidentale e di trascurare i problemi più importanti del paese. Diamo ora uno sguardo alla partecipazione politica dei giovani di Teheran. Se escludiamo quella parte di giovani che entrano fin da piccoli a far parte delle varie strutture di sostegno e propaganda politico-religiosa a favore del regime, la stragrande maggioranza dei giovani iraniani, del nord così come del sud, hanno finora vissuto la politica da un punto di vista esclusivamente "personale" e nei ristretti spazi della sfera privata. Si trattava di micro-resistenze soggettive attraverso le quali migliaia di giovani hanno progressivamente trasformato la società iraniana imponendo lentamente nuovi diritti e nuove libertà comportamentali. Trasgressioni alla ferrea morale "rivoluzionaria" talmente diffuse da indurre le istituzioni alla tolleranza e infine alla produzione di una nuova legalità meno restrittiva. Abbiamo insomma sempre assistito ad atteggiamenti resistenziali che però, per quanto pregni di spirito politico, non avevano modo di essere espressi in forma collettiva nello spazio pubblico. Il terzo aspetto che vale la pena di prendere in considerazione riguarda il rapporto dei giovani con la rivoluzione e in generale con le istituzioni principali della repubblica islamica. Quasi tutti i giovani in qualche modo attivi negli ultimi anni sulla strada della rivendicazione di nuovi diritti sono nati dopo la rivoluzione e dunque si sentono lontani dallo spirito che segnava i primi anni della repubblica, quelli della guerra con l'Iraq e dell'imporsi del regime islamico. Nonostante questo colpisce il fatto che nelle varie forme resistenziali, anche nelle rare volte in cui hanno avuto visibilità nello spazio pubblico, non abbiamo mai assistito a una vera e propria messa in discussione delle istituzioni principali del regime, soprattutto quella del velayate-faghih,che come massima autorità dello stato (ricordiamo non elettiva) controlla direttamente esercito e telecomunicazioni. Di questi tre aspetti i primi due sono stati senz'altro investiti da visibili trasformazioni. La mobilitazione dell'onda verde, chiassosa e festosa prima delle elezioni e sempre più determinata e radicale nella fase post-elettorale, ha di certo riavvicinato i giovani delle due zone di Teheran. Ormai da settimane ragazzi della high classe con macchine sgargianti scambiano sguardi di complicità con ragazzi che vivono ai margini della città arrivando a organizzare insieme cortei spontanei e blocchi stradali. La decisione di uscire allo scoperto e manifestare la propria voglia di partecipazione e una a volte generica voglia di cambiamento, ha spezzato in più punti il confine che divideva questi due mondi prima così lontani tra loro. In quanto alle caratteristiche della partecipazione politica, ha colpito fin da subito la determinazione con la quale si sia messo in moto una vera e propria conquista dello spazio pubblico. Scendere in strada ha voluto dire per tutti sfondare il muro che per anni ha diviso lo spazio pubblico e lo spazio privato. Cantare cori o costruire barricate nelle strade e nelle piazze è stato da molti vissuto come fattore strategico, di per sé estremamente liberatorio, attraverso cui resistenze, trasgressioni e piccole illegalità sempre più diffuse sono uscite dallo scoperto diventando rivendicazione politica mossa collettivamente. Per quanto riguarda il rapporto con le principali istituzioni non si notano grandi segnali di discontinuità. La rottura delle barriere di classe, lo straordinario protagonismo delle donne, la conquista di visibilità nello spazio pubblico e la radicalità sia del contenuto delle rivendicazioni sia dei metodi di lotta, non sono mai accompagnate da un attacco frontale alla forma del regime e nemmeno da una sua messa in discussione. Nei cori durante i cortei, nei volantini che girano in web e nelle semplici discussioni di strada non c'è quasi mai la traccia di una volontà di rompere i pilastri dell'attuale forma della repubblica islamica e questo sia perché attualmente non esiste un'alternativa immaginabile, sia perché molti credono realmente che l'attuale quadro generale possa comunque garantire innovazioni sociali e politiche anche molto radicali.
A una settimana dalle contestate elezioni molti ragazzi cominciano a rendersi conto che senza una sponda forte a livello istituzionalmente alto, l'onda verde fatica a trovare uno sbocco concreto in termini di conquiste, anche se d'altro lato sanno che hanno già fatto qualcosa di grande con cui i dispositivi di potere non possono non misurarsi. Questa sponda potrebbe essere ben rappresentata da Mousavi, ma l'ex primo ministro sta rischiando un forte isolamento all'interno dei quadri di potere. Di certo prende corpo ogni giorno di più la consapevolezza che le prospettive future sono indefinibili, ma dopo quello che è successo indietro non si torna e dunque gli spazi di agibilità aperti sono un solido punto di partenza per nuove conquiste. Gli apparati di potere e soprattutto l'ala ultra-conservatore del regime dal loro canto stanno preparando le prossime mosse tenendo conto o meglio temendo quei milioni di uomini e donne che hanno rotto gli indugi uscendo in strada e consci del fatto che la futura sopravvivenza del regime dipenderà molto dalla piega che prenderanno gli avvenimenti di queste settimane
19.06.09 da Teheran
Omid Firouzi
dottorando all'università di Urbino
> Dello stesso autore:
«L'Iran non è un paese per vecchi»