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Tante vite umane orribilmente stroncate solo perché i tantissimi segnali premonitori sono stati ignorati o sottovalutati da chi aveva la responsabilità di agire: parlo in primo luogo dei gestori dei treni, ma anche delle autorità e le istituzioni preposte alla sicurezza. Il carattere di ripetitività e di prevedibilità della rottura degli assi per un carro merci lo rendono un incidente «tipico». Quando i ferrovieri parlano di sicurezza dei treni parlano della sicurezza di tutti i cittadini. Il nuovo organismo istituzionale preposto, l’Agenzia Nazionale per la sicurezza ferroviaria, ANSF, ha emesso come suo primo atto la reintroduzione del famigerato «pedale a uomo morto» sui treni e gran parte della sua attività ha avuto finora l’unico scopo di soddisfare le esigenze delle imprese ferroviarie che bramano per la riduzione dell’equipaggio dei treni.
Altro che sicurezza. Quando avremo finito di contare e piangere i morti della strage ferroviaria di Viareggio dovremo necessariamente fare i conti con quello che sta dietro e prima ogni incidente di questo tipo e col rapporto costi-benefici della cosiddetta razionalizzazione e risanamento dei bilanci. Troppo facile oggi dire che il carro cisterna è privato, austriaco, con licenza tedesca. Le regole per la libera circolazione dei rotabili ferroviari in Europa hanno consentito la semplificazione dei traffici, ma liberalizzazione e privatizzazione hanno prodotto un drastico calo della qualità di procedure e controlli. In Italia, inoltre, il servizio di trasporto merci è in via di smantellamento, centinaia ferrovieri prepensionati o trasferiti, decine di scali già chiusi con la prospettiva di lasciarne aperti solo alcuni. Come in qualsiasi struttura produttiva destinata alla chiusura si allentano i controlli, gli investimenti e l’attenzione. Una tragica analogia con la Thyssen.
Nei giorni precedenti all'incidente di Viareggio si sono verificati almeno quattro deragliamenti di treni merci: il 19 maggio 2009 a Sesto Calende, Milano, tre persone ferite in modo non grave, il 25 maggio 2009 a Borgo S. Dalmazzo, vicino Cuneo, il 6 giugno a Pisa S. Rossore, a pochi chilometri da Viareggio, il 22 giugno a Vaiano vicino Prato. Conseguenze molto contenute ma il segnale d’allarme era chiarissimo, per chi lo avesse voluto ascoltare. Solo per una fortuita casualità, infatti, non si sono trasformati in tragedie. L'unica differenza è che a Sesto Calende c’era poca gente sul marciapiede investito dal carro, a S. Rossore il treno trasportava piastrelle e invece di rovesciarsi sul binario opposto finì nella scarpata e a Prato l'acido, miracolosamente non è fuoriuscito dalla cisterna rovesciata sui binari urtata da un treno regionale. In ognuno di questi casi poteva sopraggiungere un treno sul binari a fianco con esiti imprevedibili. Già questi episodi contenevano tutti gli elementi di gravità per prevedere ed imporre l’adozione di quelle misure che solo oggi, dopo tanti morti si sono finalmente messe in discussione. In queste cose non ci si deve affidare alla fortuna.
La liberalizzazione in cui si è avviato il trasporto ferroviario e la frammentazione delle aziende ferroviarie sono oggettivi elementi di maggior rischio. C’è chi dice che la nostra sia un contrarietà ideologica, invece è fondata proprio su cose molto concrete e materiali come queste: un ginepraio di ditte, contratti, leasing, sub-appalti, controlli, revisioni e normative create ad hoc per risparmiare ed eludere i controlli.
Mentre sul Frecciarossa fior di funzionari e ingegneri si concentrano sulla qualità del nodo alla cravatta dei macchinisti, nei treni merci si lasciano circolare rotabili in condizioni così precarie. I ferrovieri, in tema di sicurezza hanno sempre rappresentato una sorta di autocontrollo sui processi produttivi, rifiutando alcune lavorazioni o denunciandone la pericolosità nell’interesse generale. Ma con la nuova dirigenza – tra sanzioni, minacce e licenziamenti – i lavoratori sono stati indotti al silenzio, e i parametri di sicurezza sono scesi ulteriormente.
Restituire ai ferrovieri il diritto di parola è uno dei tasselli fondamentali per la prevenzione e la sicurezza. Noi continuiamo a credere che come cittadini, impiegati in un servizio così delicato, abbiamo il dovere civico – oltre che il diritto – di occuparci della sicurezza di tutti e chiediamo che dopo questa strage di innocenti tutte le istituzioni, a cominciare dalla magistratura, si dedichino con maggiore attenzione a quanto sta accadendo sui nostri binari. Non è più il tempo di atteggiamenti reverenziali nei confronti del colosso FS, anche da parte delle redazioni dei giornali.
Bisogna dedicare ai treni pendolari e merci almeno la stessa attenzione e le stesse tecnologie usate per quelli dell’alta velocità; occorre modificare i regolamenti in direzione di una effettiva maggior sicurezza vietando alcuni passaggi burocratici che consentono “trucchi” societari alle imprese ferroviarie: una sana limitazione del liberismo selvaggio a favore della collettività.
Ma tutto questo risulterà comunque inutile fino a quando non sarà restituita ad ogni ferroviere la libertà di parole e la serenità, poiché se i lavoratori hanno paura di evidenziare i segnali premonitori degli incidenti la situazione non potrà che peggiorare. Non esistono organi esterni in grado di fare i controlli meglio di chi tutti giorni e tutte le notti lavora sui treni, dentro le stazioni e nelle officine.
Il treno è il mezzo di trasporto più sicuro, anche se dirlo oggi può sembrare grottesco; ma solo a condizione che le regole e le procedure evolute e consolidate in tanti anni di esperienza siano severe e rispettate con rigore. E che la vita umana non sia ridotta ad una semplice voce di bilancio.
Dante De Angelis