Zero in condotta, marzo 1997

Un soggetto di Marinetti

Furono proprio gli artisti di avanguardia ad intuire per primi le potenzialità del cinema, in grado di scardinare il sistema delle arti e la loro ghettizzazione. Tra costoro rimangono famosi i tentativi caotici dei dadaisti, le cupe atmosfere espressioniste, la sottile ironia dei surrealisti, che amavano il cinema perché somigliava tanto ai sogni.
Stefano Cainelli

E' cosa risaputa che le avanguardie guardavano al cinema con estremo interesse. La dinamite dei centesimi di secondo arrivava dal profondo della fantasia umana e si manifestava per mezzo di una macchina modernissima, fatta di luce e manovelle che girano.
Quest'arte, che il giovane Sartre, col suo cupo realismo, definiva "deliri di una parete", aveva molte frecce al suo arco. Tanto per cominciare non era un'Arte. Era uno spettacolo popolare, una cosa da poco, un fenomeno da baraccone che piaceva soprattutto ai poveracci, agli umili, ma al cui fascino immediato e profondo non riuscivano a sottrarsi neppure le persone istruite, i borghesi altezzosi. Per questo, attorno al cinema, giravano più soldi che attorno alla letteratura, e gli scrittori ne erano attratti (dai soldi) come mosche, pronti a vendere soggetti e didascalie, sempre con un atteggiamento di sdegnata superiorità. Furono proprio gli artisti di avanguardia ad intuire per primi le potenzialità del cinema, in grado di scardinare il sistema delle arti e la loro ghettizzazione. Tra costoro rimangono famosi i tentativi caotici dei dadaisti, le cupe atmosfere espressioniste, la sottile ironia dei surrealisti, che amavano il cinema perché somigliava tanto ai sogni.
Ma, se è vero che, in generale, sono pochissime le opere cinematografiche d’avanguardia (perché la pellicola costa e l’arte di rottura non pagava), è altresì vero che, fra tutte le correnti dell’avanguardia europea di inizio secolo, quella meno rappresentata è stata quella futurista, sulle cui intuizioni, anche in materia cinematografica, si appoggiarono poi tutti gli altri. La storia del cinema ha tramandato pochissimo: frammenti di Thais e il vago ricordo di un certo Vita futurista. Insomma poco, pochissimo. Ecco perché riveste un’importanza del tutto straordinaria il ritrovamento di un soggetto marinettiano, intitolato Velocità, recentemente riapparso a Yale per opera di Giovanni Lista e pubblicato ora sulle pagine della rivista Fotogenia, diretta da Antonio Costa e Leonardo Quaresima.
La storia è semplice: tra il 1917 e il 1918, Filippo Tommaso Marinetti, padre del futurismo italiano e intellettuale di punta della nostra cultura, già famoso in patria e all’estero, scrive un vero e proprio soggetto cinematografico, diviso in 11 quadri, e prende contatto con la casa di produzione Cines per vedere se esiste qualche possibilità di realizzarlo. La cosa muore lì, anche perché, in breve tempo, gli interessi artistici di Marinetti vengono soppiantati da quelli politici. Del testo si perde memoria, nessuno pensa a pubblicarlo e le sue tracce restano sepolte fra i materiali degli archivi marinettiani, in attesa di una riscoperta. Il film virtuale è pirotecnico: quattro fratelli futuristi, assieme a una giovane cugina portano lo scompiglio nelle vite di solidi borghesi, rappresentanti di un mondo in disfacimento, baluardi dell’ordine vecchio con tutti i loro simboli. Nonni, militari, dottori, verranno travolti dalla forza dirompente del nuovo spirito, capace di radere al suolo Venezia per ricostruirla meccanica, asciutta e funzionale. Il testo è vorticoso ed eroico, con punte di notevole valore poetico. Non stupisce che non sia stato realizzato, dal momento che si tratta di un’opera che avrebbe richiesto capacità tecnologiche, nel campo degli effetti speciali, ben al di là da venire. Ma uno dei suoi elementi più interessanti riguarda proprio questo talento di Marinetti nel prevedere il cinema del futuro, le sue potenzialità di sviluppo, la sua capacità futura di superare in continuazione i confini del visibile.
Altro dato che ci fa piacere sottolineare è che una scoperta di questa portata sia stata affidata alle pagine di una rivista di cinema nata e cresciuta in ambito bolognese: Fotogenia è infatti realizzata all’interno della sezione cinema del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna. Si tratta dell’ennesima conferma di come il Dams, assieme all’atmosfera cinefila che si respira in questa città, hanno portato alla creazione di un’equipe di studiosi di cinema di ottimo livello. Lo dimostrano anche le altre sezioni di una rivista, dedicata in gran parte (per questo numero) ad una rielaborazione del concetto di autore cinematografico e già vincitrice del premio Jean Mitry, attribuito da una giuria internazionale alla migliore rivista europea di studi sul cinema.

Stefano Cainelli