Analisi e opinioni

Abruzzo: terremoto reale, terremoto mediatico e stabilizzazione politica

Da circa una settimana i nostri schermi sono letteralmente riempiti dalla trattazione "minuto per minuto" che i media fanno del disastro abruzzese. Nique la Police analizza, con la precisione a cui ci ha abituati, la comunicazione televisiva del terremoto e gli effetti che questa sta producendo. Un approfondito intervento che informa sulle specificità del sistema mainstream italiano e sui "terremoti" che lo attraversano. In coda all'articolo, inoltre, una selezione di materiali che completano e approfondiscono i temi trattati.
nique la police

> EPICENTRO SOLIDALE: Una rete di attiviste e attivisti si è messa in movimento in questi giorni per raccogliere aiuti per la popolazione abruzzese. A Bologna punto di raccolta presso XM24


earthquake Il film di Mark Robson Terremoto (1974) è passato alla storia del cinema per due motivi: la pessima recitazione degli attori, disposti entro una trama inesistente, e l’Oscar per gli effetti speciali. Stiamo parlando di un’epoca dove l’esperienza della sala cinematografica, anche negli Stati Uniti, era avvolta entro tecnologie che potevano esprimersi esclusivamente entro quel luogo spazialmente e urbanisticamente delimitato. Il suono, allora rappresentato in tecnologie sensorround, esprimeva attraverso la potenza delle tecniche dell’epoca tutta la forza dei miti che si accompagnano impetuosamente nell’evento catastrofico. In oltre un trentennio di evoluzione delle tecnologie mediali l’esperienza di questo genere di forza mitologica si è disseminata persino nelle molteplici piattaforme di informazione influenzando quindi sia la costruzione del linguaggio pubblico, specie quello che si forma attorno agli eventi catastrofici, che l’evoluzione delle pratiche e dei comportamenti politici istituzionali.
In quest’ottica, il testo di Luc Boltanski Lo spettacolo del dolore, che nell’edizione originale porta l’efficace titolo La sofferenza a distanza, risulta a quasi dieci anni dalla prima edizione italiana una utile analisi per inquadrare gli eventi catastrofici nel dibattito filosofico politico. La definizione di una morale umanitaria globale, da contrapporsi a quella della legittimazione della guerra umanitaria, in Boltanski si concretizza così in una operazione teorica di che deve definire uno spazio e un pensiero politico egualitario capace di interpretare i grandi disastri.
Va quindi sottolineato come Boltanski definisca la continua instabilità che si gioca tra emozione reale ed emozione mediale nella percezione degli eventi disastrosi. L’emozione mediale per Boltanski deve essere in grado di attirare l’emozione reale ed è questa capacità a determinare il rilievo politico di un evento, si tratti di un terremoto o di un attentato dagli effetti devastanti. E qui bisogna considerare che il rapporto tra emozione mediale ed emozione reale non è mai stabile: quest’ultima ha molte occasioni per migrare perché attirata dalla possibilità di sedimentarsi entro differenti offerte di emozione mediale prodotte dalle leggi dello spettacolo.
Eppure è proprio l’emozione mediale il fenomeno che crea lo spazio del politico durante il governo degli eventi disastrosi perché capace di creare masse di potere connettendo globalmente la percezione dell’evento. Il soggetto che riesce ad indirizzare l’emozione mediale è quindi quello politicamente sovrano in questo genere di stato d’emergenza. Il terremoto dell’Abruzzo va quindi letto in quest’ottica: come un governo dell’instabilità che si gioca tra emozione mediale ed emozione reale in un evento disastroso. Un evento nel quale il saper rispondere su chi governa l’emozione risulta decisivo per stabilire chi è politicamente sovrano in questo genere di stato d’emergenza e quali sono le gerarchie politiche che seguono o sopravvivono ad un disastro.
E qui, un testo come quello di Kim Haddowm, Disaster Communications in a Changing Media World (2008) è straordinariamente utile per rileggere i temi suggeriti dalla lettura di Boltanski. Soprattutto se si tratta di una lettura che aiuta a comprendere i dispositivi di potere, politicamente rilevanti, che si sviluppano nella comunicazione mediale dei grandi eventi disastrosi. Inoltre Haddowm ha una concezione della comunicazione mediale che consegna una parte del testo di Boltanski agli archivi della storia della comunicazione politica. Haddowm infatti analizza i dispositivi di comunicazione degli eventi disastrosi che si creano tra vecchi media e media leggeri mentre Boltanski ferma le proprie riflessioni sul dolore a distanza al periodo dell’egemonia della creazione di emozioni mediali esclusivamente tramite i media tradizionali. Se vogliamo comprendere quali dispositivi di potere, tramite la comunicazione mediale del disastro, si giochino con il terremoto dell’Abruzzo dobbiamo quindi rivolgerci alla lettura di questo genere di autori oltre ad una ricognizione sui modi di reazione delle strutture sociali durante gli eventi catastrofici.


1. Terremoto, follia e stabilizzazione sociale

Uno dei filoni di dibattito scientifico aperti in Usa dopo l’evento Katrina riguarda  la reazione delle strutture sociali all’uragano sia dal punto di vista sociologico che nel contesto del comportamento dei media. Va qui considerato che a lungo la sociologia e l’antropologia americane su questo genere di eventi hanno seguito linee di ricerca tipiche della guerra fredda concentrandosi sulla questione delle catastrofi sociali possibili successive ad un ipotetico conflitto nucleare. Con gli anni ’80 questo genere di letteratura ha cominciato ad allargarsi alle analisi sul significato sociale della catastrofe reale piuttosto che su quella militare di tipo ipotetico. Katrina rappresenta quindi non solo un panorama di analisi di una catastrofe da differenti punti di vista disciplinari ma anche l’occasione di un bilancio sullo stato di maturità delle discipline antropologiche e sociologiche che si occupano di eventi catastrofici. E qui va aggiunto che questo genere di sguardo teorico, sia sociologico che antropologico, sulla catastrofe è tanto più importante per il dibattito italiano nel momento in cui gli eventi catastrofici finiscono per essere risucchiati nelle discussioni tra tecnici del territorio, nelle perizie della magistratura e nell’assenza di un pensiero politico in grado di costruire una pensabilità di questi fenomeni nella sfera pubblica che non sia quella del lutto o della delega della ricostruzione a istituzioni tecniche che non hanno alcuna idea reale del tessuto sociale sul quale stanno intervenendo. Allo stesso tempo questo genere di dibattiti, come quello aperto su Katrina, aiutano a comprendere come la categoria politica di emergenza non si applichi solo ad eventi puramente politici ma anche politicizzando eventi catastrofici di tipo naturale grazie al particolare intreccio tra istituzioni politiche e sfera mediale che  emerge in queste situazioni.

In questo senso l’articolo di Alex de Waal in A Imperfect Storm, Narratives of Calamity in a Liberal-Technocratic Age (2006) non solo si immette nei dibattiti sociologici ed antropologici aperti dal caso Katrina ma pone almeno tre punti essenziali nell’analisi del rapporto tra strutture sociali e catastrofe prima e dopo l’evento. Il primo elemento sottolineato da de Waal è che una calamità rivela inaspettatamente le strutture sociali pre-esistenti, latenti e in sonno precedenti ad una catastrofe. Che si rivela così come una straordinaria cartografia di tutte le reti di legame sociale, e di connessione collettiva, sotterraneamente presenti in una società e che manifestano protagonismo in un evento catastrofico nel momento in cui costruiscono nessi di solidarietà per sopravvivere. Il secondo è che questa cartografia può legittimare nuove istituzioni e il terzo è che frequentemente le autorità al potere possono utilizzare questi fenomeni che emergono mobilitando capitale sociale, che qui possiamo chiamare solidarietà, in un modo che finisce paradossalmente per beneficiare il rafforzamento dei dispositivi di potere pre-esistenti alla catastrofe ed accentuare le ineguaglianze sociali. Lontano dall’essere imprevedibile, oltretutto in de Waal le catastrofi naturali possono essere neutralizzate con maggior efficacia rispetto a quelle sociali, l’evento catastrofico si rivela così uno straordinario terreno di conflitto tra il protagonismo sociale che emerge in questi casi e la necessità dei dispositivi di potere di indirizzare questo protagonismo per confermare e addirittura valorizzare le gerarchie politiche e sociali pre-esistenti.
In Italia questo genere di riflessioni filtra attraverso il testo di Gianluca Ligi, Antropologia dei disastri (2009) ma, a nostro avviso, la consapevolezza profonda di come si possa rileggere attraverso le categorie del politico questo spettro di temi la troviamo in un testo spesso citato nel dibattito americano su Katrina. Il riferimento è al libro di Susanna Hoffman e Anthony Oliver-Smith, Catastrophe and Culture: Anthropology of Disaster (2002). In questo testo è presente infatti sia il tentativo di classificazione della catastrofe che condiziona molto del dibattito, su questi temi, successivo alla sua pubblicazione sia la visione dell’evento catastrofico come socialmente complesso in modo tale da poter direttamente entrare in contatto con le categorie politiche anche in caso di catastrofe naturale . Ma le categorie politiche che entrano in gioco durante la catastrofe naturale e non, e a seguito di riflessi socialmente complessi, si rivelano con forza ancora maggiore in un altro autore  ovvero Kenneth Hewitt, autore di Interpretations of Calamity (1983).
Hewitt ci mostra in quale modo la razionalità del politico istituzionale si può imporre durante le situazioni di catastrofe, assoggettando le reti di relazioni sociali che emergono sotto la spinta di un evento traumatico confermando così le gerarchie di potere pre-esistenti al momento catastrofico. Infatti Hewitt ricostruisce come nella razionalità occidentale contemporanea la produzione del concetto di catastrofe naturale e sociale sia assimilabile a quella del concetto di follia durante l’Illuminismo. I caratteri di incommensurabilità e di imprevedibilità della catastrofe, la sua irriducibilità sia a razionalità economica che storica, e il rifiuto del suo carattere naturale o sociale non sono così che saperi prodotti ben prima di ogni evento disastroso dalle stesse istituzioni che tentano poi di governare l’uscita dall’emergenza catastrofica. Nella catastrofe, e nel conflitto che si gioca tra reti sociali emergenti a causa dell’evento e istituzioni che tendono a mantenere le gerarchie di potere pre-esistenti, le istituzioni che hanno coltivato l’idea di catastrofe come follia sono anche il soggetto che cerca di imporsi come l’unico in grado di governare l’irrazionale che è rappresentato come in atto. In questo modo le istituzioni mantengono, o recuperano, consenso e le reti sociali che emergono con l’evento si trovano ad essere frammentate e sottomesse dalla superiore e consolidata capacità delle istituzioni a governare la follia rappresentata come coincidente con la catastrofe. Per far questo, e ristabilire la gerarchia di valori precedenti alla catastrofe, le istituzioni devono saper governare i miti che fanno credere al resto della società che oltre ad una catastrofe anche una follia è in atto e che questa stessa follia si presenta come rischio permanente per la stessa società. Sarà quindi la stessa società, in nome del terrore che questi miti si concretizzino, a ritirarsi dal proprio protagonismo per concedere legittimità e consenso alle istituzioni che evocano la presenza della follia durante gli eventi catastrofici.
Naturalmente nelle nostre società il governo dei miti avviene attraverso i media che si impongono come il soggetto attivo del ristabilimento delle gerarchie di potere messe in discussione da un evento catastrofico. Come è avvenuto negli Usa durante il caso Katrina avviene allo stesso tempo in Italia durante il terremoto in Abruzzo. Con la significativa differenza che, nel caso italiano, l’emergere del protagonismo delle istituzioni non avviene in presenza di una visibile messa in discussione delle gerarchie di potere esistenti. Negli Usa il caso Katrina ha spaccato visibilmente il paese in presenza di un sistema comunque differenziato dei media: questo rendeva necessario al potere centrale un uso dell’emergenza, un richiamo forte alla presenza di una follia in atto per ristabilire le gerarchie politiche (la legittimità minacciata della presidenza Bush, ad esempio). In un paese con un sistema dei media praticamente unificato a livello televisivo come l’Italia, e fortemente subalterno alla tv nei linguaggi e nell’agenda setting a livello di stampa, la narrazione delle istituzioni che intervengono per salvare le popolazioni abruzzesi dalla follia in atto assieme alla catastrofe è servita non tanto a ristabilire una gerarchia di potere ma a consolidarla a livello di immagine. Con buona pace di chi si è convinto di fare una mossa politica intelligente “ritirandosi dalle polemiche”, lasciando completa visibilità e libertà d’azione al presidente del consiglio nelle pratiche di coltivazione del consenso.


2. Terremoto e potere pastorale.

Nel dibattito sul comportamento dei media successivo al caso Katrina, il testo precedentemente citato di Haddowm su catastrofe e nuovi media fissa delle policies di comunicazione degli eventi catastrofici. Con un preciso scopo strategico: fissare degli elementi analitici e delle procedure per governare il panorama differenziato dei media, da tempo non più riducibile alle sole televisione e carta stampata, durante le catastrofi e garantire operativamente il primato delle gerarchie politiche e istituzionali pre-esistenti agli eventi catastrofici. Se esiste una tecnologia dell’emergenza del politico durante le catastrofi naturali in presenza di un panorama mediale complesso la si trova nel testo di Haddowm. Differenziazione dei poteri istituzionali e delle piattaforme mediali, fratture tra sociale e politico sono qui governate attraverso la proposta di una policy che ricomprende tutti questi elementi assegnando loro un ruolo nel superamento dell’emergenza e nella cura della follia dell’evento catastrofico. Nel caso abruzzese la policy di Haddowm è stata però sostituita dal metodo Berlusconi, quello del primato di senso della presenza ossessiva del presidente del consiglio nei programmi televisivi generalisti e di notizie.  E anche dal forte effetto flak, che nella teoria della comunicazione è la propaganda fortemente polemica e delegittimante nei confronti di differenti paradigmi di informazione, verso trasmissioni come quella di Michele Santoro. Che, in questo contesto, si è proposta come strumento di rappresentazione della comunicazione critica che emerge in prossimità di un evento catastrofico. Strumento verso il quale la comunicazione istituzionale si pone in diretta e violenta polemica delegittimante per far valere la propria egemonia sui processi mediali prima e politici poi.
Si tratta di fenomeni razionalmente comprensibili: in Italia è al potere, anche politico non solo mediale, un network televisivo e quindi il primato della televisione generalista negli eventi catastrofici rispetto ai new media non può certo tenere conto delle policies di Haddowm che prescrivono l’equilibrio tra nuovi e vecchi media nelle strategie di controllo della popolazione tramite comunicazione. Allo stesso tempo, l’evento catastrofico è per Berlusconi l’occasione di regolare un conflitto che non si genera sul campo ma sul terreno mediale. Dove il terremoto può far emergere un protagonismo dei nuovi media leggeri o dei media tradizionali ma critici, il presidente del consiglio espressione di un network televisivo generalista interviene per ristabilire l’ordine pre-esistente nei media italiani. Quello del primato dei linguaggi e della gestione dell’evento nei media televisivi generalisti direttamente governati dalle istituzioni che in Italia, comprensibilmente, non è solo questione mediale ma anche politica. In questo senso la scarsissima pubblicizzazione di siti utili in tv durante l’emergenza terremoto assume anche valore politico oltre che di primato della gestione dell’evento, di fronte all’opinione pubblica, di un media  tradizionale rispetto a quello emergente.
Si tratta poi di comprendere quale immagine di società emerga nell’imporsi delle istituzioni tramite i media nell’evento catastrofico. In questo senso il Berlusconi di oggi rappresenta uno scollamento rispetto ai modelli neo-liberali classici che fino a questo momento si sono imposti nell’intreccio media-politica dominante nelle società occidentali. Basta leggere Sequestering of Suffering di Robin Cox, Bonita Long, Megan Jones, Risa Handler sul Journal of Health Psychology (2008) per avere un’idea del modo in cui si impone la narrativa neoliberale nelle catastrofi, in questo caso naturali, nell’intreccio tra media e politica. In Sequestering of Suffering la narrazione neoliberale del disastro si impone nella rappresentazione della performatività: i soccorsi vengono rappresentati nel media mainstream entro una cornice narrativa che li descrive in termini di quantità economico-finanziaria con una rappresentazione grafica che rimanda direttamente a quella degli indici di borsa. Il commento principale allo svolgersi degli eventi catastrofici è completamente delegato agli esperti che sono il corrispondente, in termini di analisi del catastrofico, degli analisti di borsa che analizzano i crack economico-finanziari. Lo slittamento, in termini di narrazione mediale del catastrofico,  della rappresentazione dell’autorità e dei codici linguistici esclusivi dello specialismo dalla sfera economico-finanziaria a quella della catastrofe costituisce in Sequestering of Suffering un elemento fondamentale del mantenimento dell’egemonia del discorso neoliberale nella codificazione degli eventi drammatici. Questo genere di rappresentazione, secondo gli autori, permette di esaltare una voce “maschile, autoritaria, istituzionale” che diviene il punto di riferimento simbolico e mediale del primato del discorso e delle pratiche delle istituzioni in un evento catastrofico. La critica maggiore che viene rivolta a questo genere di dispositivo istituzionale di controllo delle catastrofi, composto sul piano della narrazione da pratiche mediali di simbolico performativo tipo “indice di borsa” e esaltazione dell’autorità della voce dell’esperto, è che tutto questo comporta un vero e proprio sequestro della sofferenza nel contenuto delle rappresentazioni mediali.  In Sequestering of Suffering è la rappresentazione della sofferenza che è un elemento secondario della narrazione neoliberale delle catastrofi, elemento simbolico-discorsivo delle pratiche di riappropriazione del potere istituzionale dopo l’evento disastroso, che invece si gioca tutta nello spostamento delle strategie narrative della sfera economico-finanziaria in quella della catastrofe. Il potere pastorale dell’analista, la sua capacità di governare il gregge impazzito della società nella catastrofe, è qui sia imposto dall’egemonia della rappresentazione performativa neoliberale che dalla riduzione ai minimi termini della rappresentazione mediale della sofferenza della società ricavando così una sorta di terapia di evaporazione del panico grazie alla sua rimozione.
Bene, se questi sono i fondamenti della narrazione neoliberale della catastrofe, quelli che assicurano il mantenimento del potere istituzionale dopo l’evento, la narrazione berlusconiana durante il terremoto in Abruzzo si presenta come un fenomeno completamente rovesciato rispetto a questi elementi. La sofferenza delle vittime non solo, nel modello narrativo italiano, non viene rimossa ma diviene l’infrastruttura principale della narrazione della catastrofe. Il modello della sofferenza a distanza, dell’emozione mediale, prende il sopravvento su qualsiasi altro criterio narrativo. La rappresentazione della sofferenza infinita dei terremotati dell’Abruzzo, costruita con i linguaggi televisivi del reality, è l’accumulazione originaria dell’attenzione che l’emozione mediale propone all’emozione reale. In questo modo ogni necessità di informazione di tipo performativo, quantità dei soccorsi o descrizione della logistica degli interventi, passa completamente in secondo piano. Si riproduce il panico per governarlo: si cattura l’audience, rappresentando gli sfollati con il linguaggio di un format televisivo che li pone come audience sofferente, e accanto ai terremotati parla una voce sola, quella del governo mentre ogni altro soggetto o pratica semplicemente scompare. E’ un potere pastorale differente da quello neoliberale quello che si impone nella copertura mediale istituzionale del terremoto dell’Abruzzo. Mentre nella catastrofe neoliberale il potere pastorale emerge grazie alla presentazione della performance dei soccorsi, rappresentata quantitativamente come per gli indici di borsa, come simbolico dell’efficienza del mercato anche in questo campo, nella catastrofe dell’Abruzzo il potere pastorale emerge principalmente nella componente fortemente paternale di tipo arcaico intesa come universale punto di riferimento per i confusi e di consolazione per i sofferenti.  Questo è comprensibile in un paese dove la logistica dell’assistenza è fortemente minata dalle politiche di bilancio: non è realistico rappresentare l’egemonia di un potere politico nella catastrofe secondo criteri di una performatività improbabile diventa quindi necessario far emergere il carisma del capo del governo prima ancora di qualsiasi altro dispositivo narrativo.  La rappresentazione continua della sofferenza precede l’entrata in scena del potere carismatico. A reti praticamente unificate, con il ruolo di Internet in secondo piano, questo modo di imporsi del simbolico governamentale trova così un terreno della comunicazione estremamente fertile.
In questo modo, con un simbolico di un potere pastorale praticamente arcaico (privo quindi persino del mimetismo dell’efficienza del mercato di cui si riveste il potere pastorale di tipo neoliberale) tutti i dispositivi di discorso complementari all’imporsi di questo simbolico mediale-istituzionale possono dispiegarsi. Anche le statistiche sulla performatività degli aiuti in Abruzzo trovano, subordinate all’evento mediale dell’intervento carismatico del capo del governo, una loro collocazione. Come lo trova la propaganda militare, rodata in Iraq e in Afghanistan durante gli “interventi umanitari”, che nei tg descrive la vita del campo sfollati e il ruolo dei corpi dello stato nel terremoto in una sequenza di servizi girati con il linguaggio promozionale del ministero della difesa e montati entro un palinsesto di telegiornale come se fossero cronache o notizie. Il potere carismatico che interviene nella catastrofe dell’Abruzzo, per promuovere l’egemonia del discorso istituzionale, non è quindi quello neoliberale. Non parla il linguaggio della borsa adattato alla catastrofe ma quello del reality intrecciato alla propaganda militare. Non necessita di essere equilibrato tra piattaforme mediali e di informazione ma tende a sussumere tutto questo entro il dispositivo narrativo della vecchia televisione generalista che prende il potere, mantenendo quello del governo, su tutte le piattaforme di comunicazione tecnologicamente mediate e non. Non serve per la governance del dibattito politico durante le catastrofi, come avviene per le policies di Haddowm, ma per l’esercizio sovrano del potere carismatico che dissolve ogni “polemica” ovvero ogni differenziazione politica nel disastro sia tramite la rappresentazione della spettacolarità dell’intervento del capo del governo che attraverso la gestione mediale del lutto. Quest’ultima, logico prodotto della precedente gestione mediale della sofferenza, viene utilizzata poi in modo che ogni differenziazione politica nell’evento catastrofico venga declassata e delegittimata come “inopportuna polemica di parte” nel momento collettivo ed emozionale del dolore.
La gestione del mito, che nel contesto italiano del caso abruzzese serve più ad aumentare il gradimento del governo che a contrastare una opposizione già annichilita sia sul piano istituzionale che sul territorio della catastrofe, diviene quindi gestione di un panico che serve per accumulare quote di consenso politico spendibile nelle stagioni politiche successive. Un risultato politico unico, quello italiano, se si considera quanto la vicenda Katrina abbia contribuito a sinistrare il consenso non solo nei confronti di Bush ma anche del partito repubblicano e dello stesso ordine di discorso neoliberale.
Per la gestione dei miti che terrorizzano la società in un evento catastrofico, e che sono rilanciati dai media e dal politico istituzionale per riprendere consenso e neutralizzare critiche e protagonismo del tessuto sociale, va segnalato in questo senso un altro articolo sul caso Katrina. Si tratta di Metaphors Matters; Disaster Myths, Media Frames, and their Consequences in Hurricane Katrina di Kathleen Tierney, Christine Bevc e Erica Kuligowski apparso sugli annali della American Academy of Political and Social Science (2006). In Metaphors Matters si evidenzia puntualmente una precisa convinzione ovvero che “i messaggi contenuti nei mass media, o anche nei discorsi ufficiali, hanno promosso convinzioni che sono risultate false nelle ricerche empiriche su questo genere di disastri”.  Il discorso istituzionale, mediaticamente amplificato, in Metaphors Matters ha quindi lo scopo di servire esclusivamente come gestione dei miti che diffondono panico in una società al momento di una catastrofe. E’ la capacità delle istituzioni di riprodurre panico, per mostrare di controllarlo, tramite l’alimentazione dei miti ricorrenti che serve come strumento perché nell’emergenza della catastrofe un potere politico si ponga come sovrano. Nell’analisi comparativa tra miti veicolati dai media durante Katrina ed realtà dei fenomeni ne esce che la proliferazione delle notizie sullo sciacallaggio, alimentata dalle fonti governative immediatamente dopo l’uragano, non aveva alcun rapporto con un eventuale sciacallaggio reale ma ne aveva molto a che fare con la necessità del governo federale di manifestare in qualche modo la propria delegittimata presenza tramite l’intervento militare. Il paragone di New Orleans come Baghdad è infatti servito a legittimare l’uso presidenziale della forza militare in caso di emergenza piuttosto che l’utilizzo di qualsiasi altra istituzione. Se il militare è la legittimazione della forza in ultima istanza da parte di un potere l’uso mediale dei miti che creano panico nella società, come per la proliferazione delle notizie sullo sciacallaggio, è il dispositivo che creca uno spazio di consenso politico per questo genere di legittimità.
Naturalmente non è mancata neanche in Abruzzo la proliferazione di notizie attorno alla presenza di sciacalli nei luoghi del terremoto. Praticamente prive di fondamento, e di riscontri reali, queste notizie hanno aggiunto al simbolico del potere carismatico che è emerso anche la legittimazione della possibilità di un uso illimitato della forza in caso di panico. In questo senso è stupefacente come le opposizioni, e qualsiasi opposizione è a rischio di estinzione quando si creano situazioni di questo genere, non siano state in grado di reagire allo scatenamento di questi dispositivi di alimentazione del panico mediaticamente diffusi a scopo carismatico-politico. Non solo, il principale quotidiano di opposizione area centrosinistra, seguendo e alimentando le notizie impazzite sugli sciacalli, ha attivamente partecipato ad una improbabile denuncia della possibile presenza saccheggiatore. Decisamente, gli dei accecano sempre chi vuol perdere.


3. Terremoti a venire

Appare quindi evidente che in Italia tramite l’uso del potere governamentale nel terremoto si impone e si riproduce un potere combinato di tipo politico e mediale organico, che presidia i vecchi media sopravanzando i nuovi nella formazione di valore delle notizie, che funziona a pieno regime nello sviluppo del consenso attorno all’attuale maggioranza politica. Questo potere tende ad imporsi con la rappresentazione della propria presenza di tipo carismatico, pastorale e che tende ad eliminare ogni spazio di differenziazione politica e comunicativa. Questo potere tende inoltre a creare, come sempre avviene in casi analoghi, una società a propria immagine e somiglianza. Una società dove la sofferenza a distanza è la forma di partecipazione agli eventi collettivi, in attesa dell’intervento consolatore e carismatico del capo del governo. In Metaphors Matters si afferma “ il trattamento del disastro da parte dei media rinforza le tendenze culturali sociali in atto, diffondendo socialmente delle metanarrative che rinforzano le pratiche di discorso egemonico che supportano lo status quo e gli interessi delle elite”.
Il terremoto reale e il terremoto mediale sono quindi eventi, opportunamente trattati dai dispositivi di comunicazione intrecciati con la sfera politica, che servono attivamente ad una stabilizzazione del potere politico in carica. Non solo: tutta la rete complessa di relazioni tra media e potere politico, in Italia unificata nella sua complessità dal polo PDL-Mediaset, riesce a svilupparsi in termini  di penetrazione di potere grazie a questo genere di eventi.
Le prossime crisi a venire, quelle non di tipo naturale, troveranno così un modello mediale e politico integrato, rodato dagli eventi dell’Abruzzo pronto ad affrontarle. Se avverrà un cataclisma politico non possiamo dire di non esser stati avvertiti: un modello di governamentalità degli eventi tellurici è già pronto per dislocarsi quando avvengono dei terremoti sociali.


da Senza Soste, nique la police

 

Materiali e Approfondimenti

> Pasqua d'Abruzzo. I media, l'iconografia del dolore e le coincidenze del calendario       (Carmilla on Line)

> Dopo le speculazioni la strage d'Abruzzo: l'edilizia sotto tiro (SenzaSoste)

> Senza Vergogna: chi lo ha costruito, l'ospedale San Salvatore dell'Aquila? (PeaceReporter)

> Niente miracoli a San Giuliano. Le promesse non mantenute da Berlusconi nel 2002 (Articolo originale de L'Espresso )

> La Beffa di Brunetta: Precari dell'Istituto di geofisica, a rischio il posto di lavoro (Corriere della Sera)

> VIDEO: I morti che non vi dicono - Telecamera nascosta alla protezione civile