Patria o muerte: immagini del Che, al cinema Lumiere

Il Che quarant'anni dopo

Ernesto Guevara nel ricordo di Pombo e Urbano, due ragazzi da lui educati alla rivoluzione, compagni in Congo e in Bolivia e sopravvissuti alla sua morte nel 1967 a las Higueras.
11 marzo 2009 - Gracco

 

Quando incontrano il Che sulla Sierra Maestra, Pombo e Urbano non sono che due ragazzi figli di campesinos senza terra. Il Che li prende con se e, come raccontano i due, diventa loro maestro di vita: gli insegnerà le basi della guerra di guerriglia, ma si preoccuperà anche di insegnargli a leggere e scrivere. Una volta preso il potere il Che porta con se i due giovani guerriglieri al ministero dell'industria, dove assume a sue spese un maestro che fornisca un'istruzione a Pombo e Urbano mentre lui è impegnato. Pombo e Urbano diventeranno in un certo senso l'ombra di Ernesto Guevara, lo seguiranno in Africa durante la sollevazione del Congo e poi in Blivia, per l'ultima avventura del Che.

Oggi Pombo e Urbano sono due generali dell'esercito in pensione, il ricordo del Che è tuttavia ben presente nelle loro menti. Non nascondono i due ex ufficiali dell'esercito rivoluzionario, le difficoltà incontrate prima in Africa e poi in Bolivia, né invocano ragioni di stato a limitare le loro dichiarazioni; è certamente significativa in tal senso, l'analisi del ritiro del segretario del partito comunista boliviano Monje dalle operazioni di guerriglia, subito dopo il vertice svoltosi negli Stati Uniti tra USA e URSS  in cui era stata decisa una pausa nella corsa agli armamenti tra le due superpotenze e quindi un freno al sostegno dell'Urss alle insurrezioni in America Latina.

La morte del Che in Bolivia nel 1967 rappresentò la fine di un sogno, la fine di un'utopia che vedeva l'America Latina unita in un solo popolo e finalmente libera dall'imperialismo statunitense. Tuttavia la figura di quel giovane medico argentino divenuto comandante rivoluzionario, è assorta negli anni a simbolo di onestà, di ribellione, di generosità. Il suo viso stampato su milioni di bandiere nel mondo, ha guidato e continua a guidare gli uomini e le donne che cercano un'alternativa alla società in cui viviamo.

"Parlare del Che significa toccare il nervo scoperto nel pensiero unico liberale neocapitalista" afferma Gianni Minà,autore del documentario; è per questo motivo che è ancora importante parlare del Che e che ancora oggi a quarant'anni di distanza, i vertici del potere capitalista cercano di ostacolare in tutti i modi la vita dello stato cubano. Come spiegare altrimenti, la persistenza di un embargo che nell'ultima assemblea generale dell'Onu è stato riconosciuto come anacronistico e ingiusto dalla quasi unanimità dei paesi del mondo?

Eppure, nonostante l'embargo, la fine del blocco socialista, il terrorismo diretto e psicologico degli Stati Uniti in primo luogo, ma anche di altri stati capitalisti, Cuba resiste. E se Cuba resiste non è perché il suo regime sia straordinariamente efficace e oppressivo, ma perché è riuscito a creare una coscienza solidaria tra i cittadini del suo paese, anche tra coloro che non sono in sintonia con i principi della rivoluzione e del socialismo.

L'America Latina è oggi un continente in grande fermento; nella maggior parte degli stati che la compongono sono stati eletti presidenti indigeni, operai, vicini alle istanze dei poveri e di coloro che per la prima volta hanno deciso di lottare per i loro diritti. Questo naturalmente non piace ai promotori del pensiero unico capitalista, che invece sono costretti a fare i conti con quello che oggettivamente si configura come un fallimento delle teorie liberiste.  E' questo il motivo, afferma Minà, per cui l'America Latina non compare nei nostri Tg e non riempie le pagine dei nostri giornali, se non quando per lanciare accuse infondate di autoritarismo nei confronti dei presidenti progressisti di quel continente. La causa di tutto ciò è il degradante servilismo degli organi di informazione, al potere e ai desideri del governo, una stampa ce invece di essere il cane da guardia della società contro le derive del potere, è divenuta cane da guardia del potere stesso, pronto ad abbaiare accuse feroci contro chiunque abbia l'ardire di criticare i principi del pensiero unico dominante.

>Leggi l'articolo "Gianni Minà per Zic.it: "Il neoliberismo ha fallito"[Audio]"