Il documentario -presentato alla festa di Liberazione di Roma, a Bologna ai Mondiali Antirazzisti 2008 e al Laboratorio Scossa di Modena - sta riscuotendo un buon successo. Questo dimostra, ancora una volta, come spesso sono le iniziative dal basso a mobilitare le coscienze della collettività.
Ciao ragazzi. Vi ringraziamo per la disponibilità. Anzitutto, domanda di prassi, da dove nasce l’idea di realizzare un documentario su un tema così scottante e delicato?
A: L’idea nasce durante il laboratorio di realizzazione del documentario del DAMS tenuto dal dott.Merini, che ha avvallato il nostro interesse per approfondire un caso che tutti avevamo già a cuore ancor prima della realizzazione del documentario stesso. Doris, essendo di Ferrara, ci ha permesso di entrare in contatto con il comitato “Verità per Aldro”, con alcuni amici di Federico e con Paolo Bertazzi, giovane videomaker ferrarese che da sempre segue il caso con grande attenzione. Inoltre la disponibilità e la collaborazione dei genitori stessi di Federico è stata determinate per la realizzazione del lavoro.
La scelta del taglio del documentario è molto particolare. Già dal titolo si capisce come il concetto di disinformazione sia alla base del vostro lavoro.
D: Disinformazione come mera deviazione della realtà. Questo è il nostro punto di partenza. È curioso come in una città come Ferrara così piccola e bigotta regni una mancanza vera e propria di senso civico. Si arriva direttamente a giudizi affrettati, deviati e distorti. Nel documentario abbiamo citato volontariamente i casi di Riccardo Rasman, di Carlo Giuliani e della scuola Diaz (il cui processo si è concluso con l’assoluzione di 16 dei 29 imputati, n.d.r.) perché rappresentano un parallelo del caso Aldrovandi. La verità, l’oggettività dei fatti sono insabbiate. Si tenta, in ogni modo, di passarci sopra, di coprire qualcuno o qualcosa. A Ferrara stessa pochi sono a conoscenza, almeno, di quanto sia realmente avvenuto. Ed è incredibile come solo l’apertura di un blog, a tre mesi dalla morte di Federico abbia risvegliato le coscienze della collettività. E’ la stampa che dovrebbe informare i cittadini…e invece..
S: se tu dai una notizia falsa, distorta o deviata che sia, anche se questa fosse poi ritrattata, rimane inevitabilmente stabile nell’immaginario collettivo. A Ferrara, nell’immaginario collettivo – fatta esclusione per i numerosi cittadini che da anni sono in prima linea a lottare per avere verità e giustizia – Federico era un ragazzo problematico e quasi sicuramente drogato. Questa è la disinformazione che vogliamo denunciare con questo lavoro.
M: è palese che si tratti di disinformazione. Ma la cosa più assurda è che se non ci fossero state tutte queste numerose iniziative popolari come il blog o il comitato “Verità per Aldro” probabilmente la sola informazione non avrebbe avuto il minimo risalto. La nostra storia è sostanzialmente questa: come delle iniziative dal basso siano riuscite ad aprire un caso a livello nazionale sino a farlo arrivare in tribunale
MATTEO: disinformazione portata alle conseguenze più estreme. Come fa una famiglia che ha perso un figlio a credere a chi prima dichiara una cosa, poi la ritratta, poi ancora conferma un’altra versione? Basta vedere gli atti del processo per farsi un’idea. Ovvio che c’è una pista che porta ad una versione totalmente discordante con quella ufficiale delle forze dell’ordine.
M: a Roma, dove siamo stati ospiti alla festa di Liberazione per presentare il documentario, abbiamo avuto la fortuna di conoscere Checchino Antonini (giornalista di Liberazione, n.d.r.), colui che ha contribuito a conferire una portata nazionale al caso occupandosi in prima persona attraverso una serie di articoli e seguendo molto da vicino l’evoluzione dei fatti. Il nostro documentario poi non aggiunge molto di più. Le immagini, soprattutto quelle del blog parlano da sole, come da sole narrano tutta la storia. È chiaro come ci sia una verità e l’altra che si cerca di spacciare come verità..
MATTEO: c’è qualcosa di marcio e questo marcio è tangibile. Non è possibile poi che giornalisti professionisti non abbiamo avuto la possibilità, se così può essere definita, di occuparsi seriamente e più approfonditamente di quello che comunque è un caso gravissimo che tocca noi tutti. In un paese dove la libertà di stampa e la libertà di parola sono alla base di una democrazia questo è paradossale.
A: nel documentario infatti si parla di “cordone rosso” che sta poi alla base della nostra idea di documentario. Questa tesi ci è stata suggerita da Luca Greco, studente di Ferrara che da sempre si occupa di questi casi e membro del comitato Piazza Carlo Giuliani. Un cordone rosso, di sangue, che avvolge tutta la penisola, partendo da Rasman, Lorusso, sino ai casi più recenti di Dax, Giuliani e Gabriele Sandri. Sembra quasi che ad un innalzamento di tensione a livello sociale debba corrispondere inevitabilmente una perdita di vita. A Catania muore un agente (Filippo Raciti, n.d.r.) e qualche mese dopo muore in circostanze assurde – e tutt’ora mai chiarite - un tifoso della Lazio. Questo è il marcio di cui si parla. Sembra in qualche modo che il sistema cerchi di “livellarsi”.
Immagino che stiate seguendo l’evolversi del processo Aldrovandi con grande interesse. Cosa ne pensate?
F: sembra assurdo ma i quattro poliziotti coinvolti (tre uomini e una donna, n.d.r.) ancora non hanno dato una versione ufficiale dei fatti. Hanno parlato solamente all’ultima udienza, costretti perché chiamati a testimoniare come persone informate dei fatti. Si vocifera inoltre che indagini siano state affidate inizialmente alla Polizia Giudiziaria della Procura, il cui responsabile avrebbe avuto una relazione sentimentale con la poliziotta indagata.
M: Sembra quasi ci sia uno spirito di cameratismo da parte della Polizia stessa. È tutto un insabbiamento, a più strati, partendo dal singolo poliziotto sino alla questura. Anche questa è disinformazione. E sembra che i giornali non abbiamo il minimo interesse ad approfondire le dinamiche, o forse, più semplicemente non possono. La stampa si è sempre preoccupata di non guastare i rapporti con le forze dell’ordine. Troppi gli interessi, troppi i rapporti malsani. I rapporti con i cittadini dovrebbero essere più trasparenti, ma purtroppo non lo sono.
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