Una nuova centrale di produzione di energia elettrica alimentata a gas metano potrebbe essere realizzata a Lama di Reno, località del comune di Marzabotto, provincia di Bologna.
Il progetto è stato presentato dalla ditta Dufenergy, dopo che in data 17 luglio la regione Emilia Romagna, la provincia di Bologna e il comune di Marzabotto hanno sottoscritto un protocollo di intesa per la realizzazione di suddetta centrale, all'interno dell'area dell'ex-cartiera Burgo.
Attualmente il progetto è sottoposto alla conferenza dei servizi per la procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA).
A partire dalla fine di luglio 2008 un gruppo di cittadini dei comuni interessati dall'opera ha formato un comitato, che ha promosso e messo in atto una petizione per respingere il progetto della turbogas e, soprattutto, per sensibilizzare l'opinione pubblica sugli effetti negativi conseguenti alla sua realizzazione; il sito www.noturbogaslamadireno.it mette a disposizione una serie di documenti, che chiariscono i motivi generali e specifici dell'assurdità di tale proposta.
L'ennesima vicenda, che vede protagoniste la questione dell'inquinamento ambientale e la questione energetica, rappresenta l'occasione per una riflessione più ampia.
Il degrado ambientale, il riscaldamento del clima, la privatizzazione dei beni comuni e l'inarrestabile e irreversibile sfruttamento delle risorse naturale non possono essere ricondotte alla attività antropica in generale, ma trovano una relazione di causa effetto con il sistema energetico che caratterizza il modo di produzione capitalista. Non è quindi l'uomo in quanto uomo che ha determinato e determina processi di sfruttamento non compatibili con i tempi si riproduzione della natura, bensì il capitalismo rende tutto ciò inesorabile.
Sin dalla prima fase il capitalismo si è caratterizzato per l'appropriazione delle risorse finalizzata alla trasformazione in merce da destinare al consumo all'interno di un sistema di crescita esponenziale dei prodotti e quindi dei profitti.
L'utilizzo in questo contesto dei combustibili fossili come fonte energetica principale rispondeva e risponde a fattori determinanti nella corsa al produttivismo esasperato: la centralizzazione delle fonti e dei convertitori, la realizzazione e il controllo delle reti di distribuzione, la costruzione di un complesso energetico-industriale attorno ai combustibili fossili (industria dell'automobile, l'industria chimica, industria militare come causa ed effetto) consentono un più facile controllo da parte della proprietà privata di tutto l'impianto basato sull'uso dei combustibili fossili (il petrolio su tutti) e, come fonte “alternativa”, del nucleare. Parallelamente la corsa al profitto non ha consentito lo sviluppo di fonti energetiche disponibili potenzialmente già all'inizio del XX secolo, quale quella solare: il semplice fatto che risulta impossibile acquisire la proprietà di un raggio di sole suggerisce più di ogni altra motivazione come si sia sviluppato il sistema energetico capitalista.
Dopo la prima fase di spinta alla produzione di beni di consumo, fase che ha avuto un'accelerazione fortissima nel secondo dopoguerra per circa un trentennio, si sono manifestati i limiti del sistema sia dal punto di vista dello sfruttamento della forza lavoro (progressivo smantellamento delle conquiste dei lavoratori a partire dalla fine degli anni settanta), sia dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse energetiche (crisi del petrolio della prima metà degli anni settanta).
I limiti insiti nella propria natura, la caduta del saggio di profitto, la crisi di domanda hanno determinato un cambio di direzione del capitalismo, caratterizzata dallo spostamento delle fonti di profitto dalla produzione e circolazione di merci alla produzione e circolazione di denaro: dai primi anni ottanta il mercato finanziario ha affiancato il sistema di produzione e, quindi, in un contesto di liberalizzazione, deregolamentazione e mondializzazione progressive ha consentito la spartizione del plusvalore tra rendite finanziarie e profitto reinvestito nella produzione.
Questa fase è caratterizzata, come si accennava sopra, dal peggioramento delle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori e dallo sfruttamento incontrollato delle risorse ambientali; la crisi ecologica è la manifestazione delle forze produttive (forza lavoro e risorse naturali) per esigenze di mantenimento del processo di accumulazione in un contesto aggravato dal predominio del capitale finanziario. Perciò fanno sorridere, molto amaramente, le dichiarazioni di chi oggi accusa il sistema finanziario di agire in modo dissennato e irresponsabile ai danni del sistema economico e della sua parte “buona”, rappresentata dalle imprese che producono beni materiali; non vedono o non vogliono vedere e ammettere che è proprio la crisi del capitalismo produttivo, che per salvaguardare profitti e rendite, ha spinto verso la finanziarizzazione del mercato.
L'appropriazione dell'ambiente, dei servizi pubblici, dei beni comuni e delle risorse energetiche rientra in questo disegno di auto-conservazione del capitalismo: lo sfruttamento del territorio utilizzato sia nella direzione di appropriazione delle fonti energetiche limitate presenti nel sottosuolo che nella riconversione dell'agricoltura per la produzione di biomasse, la privatizzazione dei beni comuni (un esempio su tutti: l'acqua), con effetti negativi sulla qualità e sui prezzi a dispetto degli ultrà delle privatizzazioni, la produzione di rifiuti mai realmente contrastata anzi indirizzata verso una nuova industria molto redditizia in un quadro disegnato per utilizzare le aree povere del Mondo sottosviluppate come discariche, l'urbanizzazione spinta finalizzata alla speculazione, l'asservimento della ricerca scientifica da sempre orientata dagli obiettivi del capitalismo rischia di trasformarsi in privatizzazione totale della scuola e della cultura.
Se nel trentennio successivo al secondo dopoguerra le conseguenze devastanti della gestione energetica del sistema capitalistico non hanno prodotto una coscienza critica che consentisse di analizzarne e criticarne la tendenze distruttrici, sostenuto dal crescente e diffuso benessere, oggi in un contesto di forte crisi sociale si assiste a una crescente coscienza ecologica e a un aumento dei conflitti ambientali; i numerosi comitati sul territorio per la difesa dei beni e delle risorse comuni costituiscono un elemento fondamentale di questi conflitti. Questi comitati sono caratterizzati da diverse impostazioni e diversi livelli d'attivismo e spesso la loro azione manca di una visione più ampia sulle tematiche ambientali, manca di continuità nelle riflessioni e nella crescita di consapevolezza, manca di un luogo comune dove le diverse vertenze possano elaborare iniziative di lotta più generale e una caratterizzazione sociale, in grado di mettere in discussione l'intero sistema economico capitalista. E' necessario, pertanto, indirizzare ed estendere le vertenze messe in atto dai comitati territoriali sottolineando l'importanza di una radicalità di contenuti, la richiesta di spazi di democrazia diretta, la creazione di una rete dei comitati.
Questa rete di comitati deve costituire lo strumento necessario per elaborare e proporre alcuni punti fondamentali per contrastare cause e conseguenze della crisi ambientale:
- ripubblicizzare le fonti energetiche, con lo scopo non ultimo di eliminare l'uso di combustibili fossili;
- ridurre sprechi e aumentare l'efficienza energetica del sistema energetico;
- forti investimenti pubblici per indirizzare la ricerca scientifica;
- utilizzo delle fonti rinnovabili, sfruttando in particolare il flusso solare.
In conclusione è opportuno rimarcare il fatto che lo sviluppo razionale delle risorse energetiche e naturali in generale prima che una questione tecnologica rappresenta una questione sociale, cioè deve avere come principale obiettivo quello della soddisfazione dei bisogni umani democraticamente determinati, tra cui occorre includere il bisogno di vivere in un ambiente sano.