“Mici” (una specie di salsiccia grigliata con carne di pecora e di maiale), “sarmale” (involtini di cavolo, con carne e riso), insalata, pane fatto in casa. Nella cena di autofinanziamento a favore dell’associazione “Aven Amenza”, che si propone di dare voce, visibilità e rappresentanza ai Rom rumeni di Bologna, tante persone gustano con piacere questo menù semplice ma appetitoso. Piatti tipici rumeni la cui preparazione impegna un gruppo di donne e uomini fin dal mezzogiorno, un caos calmo di energie culinarie che riempie via Paolo Fabbri 110 di aromi insoliti. Verso le nove arrivano alla spicciolata famiglie, amici, giovani e meno giovani, spinti dalla curiosità, dall’appetito o dal desiderio di sostenere un’iniziativa nuova sulla scena cittadina.
Fin qui nulla di troppo strano. Potrebbe sembrare una cena “multietnica” qualunque, una delle tante iniziative del genere. Eppure, mentre le forchette affondano nei morbidi involtini di cavolo, mi scorrono nella mente sequenze di immagini che vanno a ritroso, e che dal qui e ora si dipanano in un percorso di giorni, mesi, anni, fino a quel lontano 19 settembre 2002.
A quel tempo Vag 61 non esisteva ancora, molte di queste persone vivevano nelle baracche sul Lungo Reno, e la città faceva finta di non vederli. E poi gli sgomberi, l’accoglienza a una sessantina di rom nell’ex-mercato di via Fioravanti, l’occupazione di via Casarini e l’esperienza del Ferrhotel, Villa Salus, altre occupazioni, altri sgomberi, e così via… In questi anni molte cose sono successe, i rom rumeni di Bologna hanno lottato per ottenere diritti di cittadinanza, per un contratto di lavoro decente, per poter avere una casa in affitto, per mandare i loro figli a scuola.
In questo lungo percorso molti di noi, bolognesi di nascita o di adozione, li abbiamo incontrati, a volte amati, a volte ci hanno fatto arrabbiare, a volte abbiamo ballato insieme. In molti modi li abbiamo accompagnati in questo cammino che sembrava infinito. Dalle loro peripezie è uscito anche un film: “La colonna senza fine”.
Alcuni di loro sono tornati nella clandestinità, o in Romania. Ma molti oggi vivono in un appartamento, e continuano a lottare per costruirsi una vita “normale” nella nostra città. Il tempo, la forza di volontà, la resistenza e il coraggio di molte persone hanno portato fino a questo preciso istante in cui la forchetta affonda nel “sarmale”. Quanta vita e quante storie ci sono lì dentro! Senza tutto questo oggi non saremmo qui, insieme, a mangiare e bere allegramente. E così, a ben guardare, ogni momento di calore porta con sé un lungo vissuto fatto anche di sofferenza, che concorre a costruire l’attimo presente. Ricordare può servire a farci apprezzare ancora di più il senso di questo incontro, e il sapore antico di un involtino fumante.