Il dibattito sulla contestazione a Giuliano Ferrara

La legge del contrappasso

Tra le tante cose che si sono lette in questi giorni sui giornali l'elemento che maggiormente preoccupa è il parallelismo con gli anni '70 e le successive degenerazioni, ciclicamente utilizzato in queste occasioni. Ad irritare non è solo l’insipidezza che vorrebbe facile passare dai pomodori alle P38, quanto l’assenza di analisi su cosa sia oggi la violenza, nonchè la semplificazione che ridurrebbe praticamente la nonviolenza ad inazione.

8 aprile 2008 - Francesco "baro" Barilli (Rete invisibili)

Giuliano Ferrara Nudo Dopo che Ferrara è stato contestato a Bologna, ho aperto i giornali. M’aspettavo un articolo in cui qualcuno dicesse che, pur non condividendo le sue idee sull’aborto, solidarizzava con Ferrara in nome del diritto di parola, magari citando Voltaire, adombrando il pericolo delle degenerazioni di piazza e ricordando gli anni di piombo. Non mi sono dovuto sforzare: quanto temevo l’ho trovato in un articolo di Miriam Mafai su Repubblica. La sensazione d’esser stato profeta può saziare il mio ego, ma lo fa con un gusto amaro e per nulla soddisfacente.
Alcune puntualizzazioni. Innanzitutto ormai sfugge ai più che la massima di Voltaire (“non condivido ciò che dici, ma sarei disposto a dare la vita affinchè tu possa dirlo”) è attualissima e nobile, ma rivolta a tutela dei più deboli verso i più forti. Rovesciarla come un calzino serve solo a renderla irriconoscibile; per usare un paragone assai banale, è paradossale che chi ha un megafono per amplificare la propria voce usi quell’aforisma per tutelarsi da chi non ha un megafono né, quasi, voce. E – spiace dirlo – sorprende che pure autorevoli esponenti della Sinistra Arcobaleno abbiano espresso solidarietà a Ferrara in nome del diritto d’espressione: la fredda enunciazione di principi universalmente validi non può diventare astrazione dai contenuti.

L’elemento che però maggiormente preoccupa è il parallelismo con gli anni 70 e le successive degenerazioni, ciclicamente utilizzato in queste occasioni. Ad irritare non è solo l’insipidezza che vorrebbe facile passare dai pomodori alle P38, quanto l’assenza di analisi su cosa sia oggi la violenza, nonchè la semplificazione che ridurrebbe praticamente la nonviolenza ad inazione. E’ facile bollare come violento il gesto di chi scaglia pomodori verso un palco, più difficile connotare in ugual modo le azioni politiche. Mi domando se la feroce aggressione alla Legge 194, che in prospettiva potrebbe riportare le donne al dramma dell’aborto clandestino, non sia anch’essa violenza. Se sia violento chi costruisce un CPT o chi, sfidando la legge, lo demolisce. Se sia violento chi ordina di partire a un treno carico di armi per una guerra o chi, venendo accusato di interruzione di pubblico servizio, ne interrompe il percorso. E mi domando chi e quanto debba essere definito violento, fra chi usa il proprio potere (di qualunque natura esso sia) per cancellare un diritto e chi, non avendo alcun potere, si trova in mano degli ortaggi.

Più significativo d’ogni altra considerazione è pero ricordare che nel marzo 2002 Ferrara e il suo quotidiano lanciarono una campagna contro la presenza di Roberto Benigni a Sanremo, incitando i propri lettori alla contestazione attraverso uova e fiori marci. Sta ai lettori giudicare se si tratti di una curiosa legge del contrappasso o se uova e ortaggi possano trasformarsi, a seconda di circostanze e convenienze di parte, da protesta colorita al mezzo violento di epigoni liberticidi.

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