Come funziona l’orchestra mediatica in tempo di guerre? Queste le domande di fondo che hanno animato la discussione venerdì scorso, 14 dicembre, in occasione dell’incontro col giornalista Alberto Negri, organizzato dal Comitato cittadino contro la guerra. Il dibattito si è articolato nella forma di una intervista corale al giornalista, inviato esteri de “Il Sole 24 Ore”, che ha lavorato in diverse aree di conflitto internazionale. Spunto iniziale della serata è un articolo del gennaio scorso in cui Negri, analizzando le manovre petrolifere nel Medio Oriente “allargato” fino al Caucaso, prefigurava e profetizzava l’attacco contro i talebani. Le informazioni devono essere raccolte e incrociate, aggiornando continuamente le chiavi di lettura. Ogni giorno nel nostro paese viene mandato al macero un po’ della nostra conoscenza, certe informazioni si perdono a causa dell’insensibilità dell’ambiente rispetto alla loro acquisizione ed elaborazione. La «contraddizione con la comunicazione totale della rete in quella che è stata battezzata società dell’informazione» è solo apparente: la massa di stimoli è enorme e l’informazione si affanna a inseguire spunti spesso superficiali per attirare l’attenzione anestetizzata del pubblico, l’informazione si fa dunque spettacolo. Necessità fondamentale del giornalista diventa allora l’esercizio continuo della memoria e della conoscenza. «La sera dell’11 settembre i teatrini “informativi” televisivi facevano ipotesi completamente diverse rispetto all’Afghanistan e, d’altronde, i nemici più diretti degli Usa erano altri. C’è stato quindi un cambiamento di scenario rispetto ai cattivi tradizionali?».
In realtà ci sono molti avvenimenti internazionali negli ultimi anni che ci parlano di Osama o che riguardano l’Afghanistan. Nell’agosto del 98 i talebani, insieme alla Legione Araba, entrarono a Mazar-i-Sharif provocando un massacro e uccidendo tra gli altri 11 diplomatici iraniani, l’Iran schierò le sue truppe al confine e allora si temette fortemente lo scontro tra l’Islam sunnita dei talebani e quello sciita degli iraniani. Il 7 agosto ci sono gli attentati alle ambasciate americane che provocano 400 morti e il 28 la reazione americana si concretizza nei missili lanciati contro le basi di Osama. Ma la guerra non scoppiò allora e per una scelta deliberata: combattere contro i talebani in quel momento avrebbe significato favorire l’Iran. L’informazione su questi temi nel nostro paese è però viziata a monte, perchè uno dei nostri riferimenti principali è Israele, e dell’informazione di parte israeliana la nostra stampa si nutre molto volentieri, anche se c’è un nuovo elemento da tenere in considerazione: Al Jazeera. Allo scoppio della seconda intifada, attraverso l’emittente araba per la prima volta si è potuta vedere l’intifada dall’altro lato e di questo, volente o nolente, anche l’occidente ha dovuto tener conto. Un dubbio, tra molti: considerando lo stato dell’informazione nel nostro paese, «non è che ce la raccontiamo?».
In effetti, sembra proprio che sia così, ma non perché c’è qualcuno che ci dice come farlo. In realtà ce la vogliamo raccontare, perchè ci fa comodo, i grandi media non devono inquietare perchè il loro pubblico vuole una certa versione della storia, ed è una versione che deve attivare il consenso, pena il rischio di destabilizzare il nostro universo mentale.