Quelli di noi che non hanno contatti diretti con Israele sono probabilmente, oggi, con agli occhi l’immagine di Sharon che impera nei controllatissimi spazi dedicati all’attività di governo e che ordina l’assedio delle città autonome della Palestina, scossi dal dubbio “Ma i cittadini d’Israele sono tutti con lui? Esiste un’opposizione politica alla linea, che Sharon ha voluto militare, del governo?”. La risposta, fortunatamente, è sì.
Israele è storicamente figlia dell’Olocausto. Nella costruzione dello stato d’Israele e del suo popolo è stato categorico l’imperativo “Mai più”: ma mentre per una parte si trattava di un “Mai più tutto questo, per tutti i popoli del mondo”, per l’altra porzione era un “Mai più tutto questo, per noi ebrei”. L’esistenza di questo imperativo originale e la opposizione concettuale insita nel dualismo che vi si è espresso, rappresentano una chiave di lettura che può aiutare nel difficile percorso del capire. Capire come in Israele possa esistere una maggioranza di cittadini che si riconosce nella politica dell’attuale governo, e, in particolare, in una politica estera così drasticamente e follemente interventista e, allo stesso tempo, capire come possa sopravvivere una minoranza di cittadini che invece la condanna, con la forza e la disperazione di chi si sente di vivere in un paese che sbaglia. La parola sopravvivere non è usata a caso. Questi cittadini si trovano a sostenere le loro convinzioni in un luogo nel quale l’emergenza giornaliera scuote fortemente le coscienze, nel quale l’informazione di massa è fortemente controllata e, soprattutto, nel quale il costante regime di guerra fa sentire come scandalose le posizioni che indeboliscono la causa nazionale; questi cittadini sono sempre di meno. I movimenti pacifisti e le organizzazioni per la difesa dei diritti umani svolgono un lavoro importantissimo. In primo luogo si pongono un impegno di informazione, ad esempio cercando di ottenere notizie il più possibile obiettive di fatti, copia dei documenti delle trattative di pace, documentazione fotografica delle violazioni dei diritti della popolazione araba. In secondo luogo cercano di rendersi visibili e di comunicare, pubblicando brevi reports, allestendo pagine Web con informazioni di cronaca e con archivio della documentazione, organizzando manifestazioni (praticamente ogni giorno si assiste ad un sit in davanti all’ufficio del primo ministro a Gerusalemme). Sono poi un interfaccia politico, perché in un paese in guerra un movimento pacifista fa politica attiva. In questi ultimi mesi, dopo lo scoppio della seconda intifada, la posizione dei pacifisti è diventata ancora più difficile perché lo spazio di comunicazione a loro riservato si è ristretto. Mentre anche solo un anno fa i mezzi di comunicazione ospitavano la loro voce, oggi la principale via per raggiungere l’informazione è la presenza diretta nella società civile, la comunicazione personale, il lavoro minuto che si esercita nell’azione piccola, ma mirata.
Le Donne in Nero manifestano tutti i venerdì a Gerusalemme vicino all’abitazione del primo ministro. Si tratta di solito di un piccolo numero di donne, quattro o cinque, ma la loro presenza è certa, immancabile, come quella dei soldati. Il loro stile è quello che conosciamo, manifestano un dolore con il silenzio, parlano con fare quieto, con il quale cercano di trasmettere anche solo il concetto di dialogo. Pur non essendo molte la loro presenza è potente, perché sono emblema di quello che i cittadini israeliani vogliono dimenticare e la propaganda del governo si affanna a nascondere. Ricordano che Israele non è un paese normale, che si sta perpetrando un crimine vanamente camuffato dietro la parola “sicurezza”: sono l’emblema del dolore per questo e per le conseguenze che l’ipocrisia ha sulla società israeliana. In questo contesto il numero delle manifestanti non conta, perché la valenza simbolica della sola presenza è forte. Di tanto in tanto, però, le donne in nero e le associazioni pacifiste israeliane chiedono aiuto anche alla società civile internazionale, per diventare una moltitudine la cui voce può arrivare agli organi di comunicazione. Per questa fine d’anno è prevista una manifestazione a Gerusalemme da loro organizzata ed altre, collegate, nei principali centri italiani ed europei; anche in città ne verrà organizzerà una a cura dell’Associazione Orlando e delle Donne in Nero bolognesi. Si tratta di un’occasione molto importante non solo per ribadire la solidarietà al popolo palestinese assediato nel suo stesso territorio, ma anche per lanciare un segnale di sostegno a tutti coloro che, in Israele, agiscono ogni giorno per l’affermazione del diritto e della pace. Partecipare numerosi contribuirà a dare più energia a queste associazioni, che, formando la coscienza del popolo, sono la sola garanzia che esiste per un futuro di pacifica convivenza in medio oriente.