Politica demografica e pianificazione edilizia nel conflitto israelo-palestinese

Colonizzazione continua

Mentre il governo israeliano predispone nuovi insediamenti nei territori occupati la popolazione palestinese è in costante aumento.
15 febbraio 2008 - pierootz

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Il ministro per le costruzioni israeliano Zeev Boim ha annunciato che saranno presto costruite 1100 nuove case a Gerusalemme est.
L'israelizzazione dei territori occupati continua quindi, ma ciò nonostante c'è già chi denuncia la lentezza nell'indizione delle gare d'appalto per la realizzazione dei nuovi appartamenti. Gli oltranzisti temono che manchi la volontà politica per proseguire i lavori.
A tal proposito e' lo stesso Boim a garantire che nessuna considerazione politica stia ostacolando l'iter amministrativo, "quello che la gente chiama ritardo si riferisce agli stadi finali del coordinamento con il comune".
Del resto non si deve credere che le formali richieste di blocco degli insediamenti colonici avanzate da Bush durante il vertice di Annapolis possano avere riscontro reale. Al contrario la progettazione edilizia è un elemento fondamentale dell'armamentario e dell'economia di guerra dello stato d'Israele.
In primo luogo quelle richieste avevano il solo obiettivo di rimbalzare sui media di tutto il mondo e legittimare agli occhi dell'opinione pubblica, e di quella palestinese in particolare, una conferenza segnata dall'assenza di Hamas.
In secondo luogo la costruzione di nuovi insediamenti e la distruzione dei vecchi, la pianificazione urbanistica su base etnica e la confisca dei territori palestinesi, dunam dopo dunam, rappresentano storicamente i tratti complementari e costanti dell'occupazione Israeliana.

A tal proposito è illuminante la storia di Gerusalemme. Dal 1967, anno in cui è stata occupata la parte est della città, la preoccupazione del governo israeliano è stata quella di mantenere invariato il rapporto tra gli abitanti della città, per il 72% ebrei e per il 28% palestinesi, ovvero la proporzione quantitativa che esisteva tra le due comunità nell'intera area municipale di Gerusalemme dopo l'annessione.
Il governo israeliano ha proceduto cosi all'ebraicizzazione di Gerusalemme est attraverso una serie di dispositivi atti a ridimensionare la presenza degli autoctoni.
Il primo dispositivo coincide con la trasformazione delle terre palestinesi non ancora edificate in aree verdi, destinata agli spazi pubblici aperti, dove la costruzione viene proibita. Ma solo ai palestinesi. Su quelle aree, prima considerate verdi e poi espropriate, sono infatti sorte tra il 1972 ed il 1991 le colonie di Neve Ya'akov, Pisgat Ze'ev, Ma'ale Adummim, Gilo, French Hill e Hat Homa . Tutti agglomerati da 20-40000 abitanti ciascuno. La costruzione degli insediamenti prosegue nel corso degli anni novanta e nel 1993, a Gerusalemme est, la popolazione ebraica supera quella palestinese. Dal 2000 la pianificazione procede con rinnovato slancio. Nel 2001 quattro villaggi palestinesi vedono le loro terre confiscate: Beit Hanina, Beit Safafa, Shua'afat e Sheikh Jarrah. Nel 2003 vengono poi approvate due nuove colonie sulle terre dei villaggi palestinesi di Abu Dis e el-Sawahreh. Queste confische spezzano la continuità dei sobborghi palestinesi, rendendo impossibile l'individuazione di una futura città palestinese a Gerusalemme nella cornice di un trattato di pace tra Israele e i palestinesi.
Al furto del territorio, con le forti ricadute per un'economia essenzialmente agricola come quella palestinese, si associano poi una serie di misure che limitano pesantemente, quando non negano, la possibilità di costruzione dei palestinesi nei loro stessi sobborghi.
I permessi non vengono rilasciati e si deve costruire illegalmente. Si ha un' idea del carattere discriminatorio della pianificazione edilizia israeliana se si considera che dal 2000 al 2004, sulle terre espropriate di Gerusalemme est, sono state costruite circa 44.000 unità abitative per la comunità ebraica, mentre nessuna per i palestinesi. Nello stesso periodo le demolizioni delle abitazioni palestinesi sono aumentate del 100% nell'area municipale di Gerusalemme est come rivela un'indagine condotta dall'Alternative Information Centre.
La politica coloniale israeliana sta quindi continuando a modificare la geografia di Gerusalemme Est, in continuità col passato. E non c'e' ragione di credere che smetta di farlo oggi. Tanto più se la pianificazione edilizia, insieme agli arresti indiscriminati, alle stragi di civili e' collegata alla questione demografica. Secondo un censimento diffuso dall'Anp, infatti, la popolazione araba della Palestina storica ammonterebbe a circa 5.200.000 contro i 5.400.000 della popolazione ebraica. Come dire... se la volontà politica e' innanzitutto funzione del bilancio demografico non si preoccupino gli intransigenti. Essi potranno ancora festeggiare con lo scalpo dei palestinesi tra le mani.
Ma forse potranno farlo solo sino a quando i rapporti di forza numerici si invertiranno tanto da rendere vano ogni progetto d'apartheid. "Possono fare quello che vogliono, ammazzare, rubare, rendere la nostra vita un inferno, tanto noi cresciamo al ritmo del 30% ogni dieci anni", cosi dice un amico palestinese, con un pizzico di fatalismo mediorientale, sicuramente, ma come dargli torto.