La mattina del 6 novembre ero in un'aula del tribunale di Genova. Quella dove si tiene il processo contro venticinque manifestanti accusati di devastazione e saccheggio per i fatti del luglio 2001. Quella dove, qualche giorno fa, la pubblica accusa ha richiesto per gli imputati due secoli e un quarto di galera, nove anni in media per ciascuno, settimana più settimana meno, con la media che ancora una volta, come per il pollo, non fa giustizia (che parola inadatta) della realtà, perché la pena più alta richiesta è di sedici anni. Ero in quell'aula come altre volte: per conoscere, capire, verificare, rendermi conto dei meccanismi. Per solidarietà nei confronti di persone colpite da richieste di pena che siamo in molti a considerare assurde e ingiustificate. Ero in quell'aula dove avrei voluto assistere ad un processo per l'assassinio di Carlo, archiviato a partire da invenzioni fantasiose (quelle dei sassi che volano e degli spari per aria, lo abbiamo sottolineato tante volte). Un processo che non si è voluto celebrare per nascondere la verità che avrebbe potuto emergere.
Ha cominciato a parlare la difesa. Nuova, grande emozione. Perché le prime parole dell'avvocato Ezio Menzione, che difende uno degli imputati, sono state la dedica della sua arringa a Carlo. E poi il merito delle questioni sollevate. A cominciare dalla insussistenza del reato ascritto, quello di devastazione e saccheggio, e dalla inapplicabilità dell'articolo 419 del codice penale che lo prevede. Articolo per altro quasi mai applicato nella giurisprudenza degli ultimi decenni. Menzione ha citato alcuni passaggi di un testo di Francesco Antolisei, giurista del secolo scorso, autore di ponderosi volumi sui quali molti avvocati (e, si presume, anche i pubblici ministeri) hanno studiato nei loro corsi universitari di giurisprudenza. Per la cronaca, testi pubblicati in prevalenza nella prima metà del Novecento, in epoca non sospetta quindi.
E' davvero impossibile, allora, non rimettere in fila i fatti. Da una parte ci sono processi a carico di manifestanti, la gran parte dei quali (come quello difeso da Menzione) fotografati o filmati in diversi punti della città dove si verificano incidenti, ma sempre a distanza e mai protagonisti degli stessi. Ma la presenza lì, secondo l'accusa, è sufficiente a far scattare il concorso, addirittura la condivisione, la "compartecipazione psichica", e quindi la devastazione e il saccheggio. Con relative pene da 8 a 15 anni, salvo aggravanti, e con sconti che, previsti in non più di due anni, non fanno comunque intervenire la prescrizione. Che invece non solo è prevista, ma addirittura certa, nel caso degli appartenenti alle forze dell'ordine protagonisti diretti delle barbarie a Bolzaneto o dei responsabili, in quanto dirigenti di vario grado, della "macelleria messicana" alla Diaz (qui i "macellai" non sono imputati perché il travisamento li ha resi irriconoscibili e le autorità si sono ben guardate dal comunicare alla procura i nomi dei componenti dei reparti che hanno fatto irruzione nella scuola). Va sempre ricordato che non vi è nessun procedimento a carico delle forze dell'ordine per le violenze di strada, mentre siamo al grottesco a proposito di un ricorso dello Stato contro alcune sentenze emesse da tribunali civili che hanno riconosciuto un risarcimento a favore di persone picchiate e ferite a Genova e che hanno promosso e vinto la causa.
Ad aggravare preoccupazione e disagio è intervenuta nella Commissione Affari costituzionali della Camera la bocciatura della proposta di inchiesta parlamentare, complici, con voti contrari o assenze mirate, Mastella, Di Pietro e i socialisti della Rosa nel pugno. Verrà ripresentata in aula e si spera che venga approvata, così come prevista dal programma dell'Unione a pagina 77 (è sempre opportuno ricordarlo, non sia mai che il ministro della Giustizia si decida a leggerla), e cioè per indagare sulle responsabilità politiche e della catena di comando, questioni sulle quali nessuna aula di tribunale può avere competenza. La bocciatura ha creato indignazione in una parte ampia del paese, e se ne è resa interprete la sindaca di Genova, Marta Vincenzi, che ha parlato di "offesa alla città".
Insieme alla prioritaria difesa dei venticinque e dei tredici imputati a Cosenza per lo stesso incredibile reato e alla preoccupazione per il pesantissimo clima di attacco allo stato di diritto, la stessa indignazione trova posto nel documento per sabato 17 novembre, sul quale concordano associazioni, organizzazioni politiche e sindacali, cittadine e cittadini. Perché sabato 17 novembre si torna a Genova.
Vai alla feature Le poltrone cambiano, l'ingiustizia resta. Il 17 novembre tutte/i a Genova!