Storie di “ordinaria legalità”

Ordinanze di sgombero anche contro i sinti italiani

Un’altra vicenda, tutta bolognese, del “governo disincentivante” della Giunta Cofferati. A pagarne le conseguenze una famiglia zingara italiana che da anni vive in città. Se qualcuno parla di razzismo a Palazzo d’Accursio si offendono, ma c’è un altro modo per parlare di queste vicende?
26 luglio 2007

bambino zingaro Nei giorni scorsi, sulla stampa locale, si sono letti diversi articoli (il Tg 3 regionale ha fatto un servizio) sulla demolizione del campo dove abita la famiglia Gallieri, di etnia sinti, situato in via Peglion a Bologna.
Facendoci aiutare dall’avvocato Piero Gennari che da anni segue la famiglia sinti Gallieri, abbiamo deciso di scriverne la storia, in quanto riteniamo essere sintomatica della cosiddetta politica di “accoglienza disincentivante” della Giunta Cofferati.
Da oltre vent’anni la famiglia Gallieri, composta da cittadini italiani di etnia Sinti, vive stabilmente nel territorio del Comune di Bologna. La famiglia è cresciuta nel tempo, e ora conta 21 adulti (tra cui Roberto, handicappato al 100%) e 15 bambini. Tutti i bambini vanno a scuola o all’asilo, tre degli adulti hanno un lavoro regolare. Tutti insieme si prendono cura di Roberto e si sostentano l’uno con l’altro.
È stato nel 1985 che i Gallieri hanno deciso di abbandonare l’attività di giostrai itineranti per consentire ai più giovani di frequentare le scuole e agli adulti di inserirsi nel mercato del lavoro e nel tessuto sociale. Per questo hanno acquistato un terreno agricolo vicino all’autostrada per Ferrara, in via Peglion, dove per circa 13 anni hanno avuto 2 utenze telefoniche fisse, regolari contratti di somministrazione di luce, gas e acqua, e hanno pagato regolarmente la tassa dei rifiuti nonché le tasse relative alla bonifica renana.
Ma già nel 1987 il Comune di Bologna, dopo aver assegnato il numero civico (15) all’insediamento, ha rilevato la presenza di alcune opere abusive, una casa in muratura e una baracca di lamiera. I Gallieri hanno fatto domanda di condono edilizio, domanda che è stata però respinta.
Nel ’91 la prima ordinanza di demolizione è stata sospesa dal T.A.R. ma non così la successiva, intervenuta nel 1996. Nonostante la causa pendesse, come pende ancora oggi, nel merito, il Comune di Bologna emanò ordinanza acquisitiva dell’area e il 6 agosto1998 con inusitata violenza ha proceduto allo sgombero coattivo dell’area, con distruzione delle opere edilizie e sradicamento delle piante e delle siepi con le quali l’insediamento si difendeva dal rumore e dall’inquinamento dell’autostrada.
Grazie all’intervento di alcuni esponenti dei gruppi consiliari e di funzionari dei servizi sociali del Comune di Bologna si arrivò ad una mediazione che portò al trasferimento dell’insediamento nel terreno attiguo, sempre di proprietà dei Gallieri. In quell’occasione vennero concordate anche le modalità attrattive dell’insediamento (per esempio lo spargimento di ghiaia e non pietrisco per rendere calpestabile il terreno, ecc.).
All’epoca, anche per le modalità violente dello sgombero, della vicenda si occupò diffusamente la stampa locale con una serie di articoli. Da ricordare in quel frangente la raccolta spontanea di firme da parte di oltre 100 residenti del quartiere Corticella a favore della famiglia Gallieri con espressa dichiarazione di solidarietà alla stessa.
Nulla, se non scambi epistolari tra il legale della famiglia Gallieri, avv. Saverio Chiesi, e gli Organi preposti del Comune di Bologna, accadeva fino al 14.04.2006, quando veniva nuovamente notificata ordinanza di demolizione delle opere (nulla di stabile questa volta, solo camper roulottes e case mobili) appartenenti alla famiglia Gallieri e asseritamente abusivi.
Visti i precedenti, i Gallieri ottemperarono immediatamente all’ordinanza e trasferirono l’insediamento nell’ultima, piccolissima, area attigua, sempre di loro proprietà. Contemporaneamente chiesero l’annullamento dell’ordinanza con ricorso straordinario al Capo dello Stato, ricorso ancora pendente.
Il resto è storia recente: il 17 maggio 2007, presso l’insediamento Gallieri, si sono presentati polizia, carabinieri e molti vigili urbani. Le ruspe hanno provveduto a ‘ripulire’ l’area abbandonata in precedenza dalle poche cose rimaste e a spazzare via la ghiaia che la rendeva calpestabile.
In quella occasione non era presente nessun rappresentate dei servizi sociali, che hanno ritenuto la vicenda non di loro competenza in quanto i Gallieri hanno sempre provveduto direttamente all’educazione e alla cura dei numerosi minori. Allora l’atteggiamento dell’ Amministrazione fu abbastanza singolare, i funzionari del Comune di Bologna, in quanto Ufficiali di polizia giudiziaria, sequestrarono l’area del nuovo insediamento e tutte le strutture esistenti sulla stessa (camper, case mobili e roulottes), senza nemmeno chiedere che al sequestro provvedesse – eventualmente – il pubblico ministero titolare della “futura” indagine. Insomma, al posto dell’usuale via amministrativa fu stata sperimentata la via penale, e per di più di urgenza.
La Procura della Repubblica ha inizialmente avvallato quella procedura, convalidando il sequestro eseguito ma, a seguito di un più attento esame, il Tribunale della Libertà di Bologna ha annullato il sequestro in mancanza dei presupposti di legge.
La Procura della Repubblica non ha ancora chiesto di sottoporre l’area a sequestro preventivo, pur se l’Amministrazione ha fatto richiesta in tal senso. Al Comune pertanto non è rimasto che ripercorrere la via amministrativa ordinaria: il 18 giugno 2007 ha infatti notificato ai Gallieri un’ordinanza di demolizione.
In caso di mancato ottemperamento entro il termine di novanta giorni, l’area verrà automaticamente acquisita al patrimonio comunale e sgomberata coattivamente.
Sulla vicenda il consigliere comunale indipendente, Valerio Monteventi, ha presentato una interpellanza in cui si domanda al sindaco:
- quanto siano costati, sino ad ora, le ispezioni, la mobilitazione di vigili, polizia, carabinieri, le ruspe;
- quanto si sarebbe invece potuto fare impiegando quelle risorse per cercare di agevolare il difficile percorso di integrazione sociale intrapreso dai Gallieri oltre vent’anni fa;
- Quali tempi preveda l’Amministrazione comunale per l’individuazione e la realizzazione delle aree necessarie, peraltro finanziate quasi integralmente dalla Regione Emilia Romagna nonché dalla Comunità Europea;
- Se tutti questi ritardi e scelte di azioni coatte non siano il segnale di un obiettivo primario e perseguito di allontanamento della famiglia Gallieri dal territorio di Bologna.

Per concludere questa storia, c’è da ricordare che, in tutti questi anni, i Gallieri hanno dimostrato sempre la massima collaborazione con le Istituzioni e che non hanno mai gravato sui servizi sociali, preferendo farsi carico da soli anche della difficile gestione di Roberto, handicappato gravissimo, e che lo sgombero coatto da parte del Comune significherebbe lasciare le scuole dove studiano i molti minori e il lavoro dal quale gli adulti traggono il sostentamento per tutta la famiglia.
I Gallieri si sono resi disponibili a qualunque soluzione, anche eventualmente ad acquistare, pur in modo agevolato, ovvero ottenere in permuta un nuovo terreno che il Comune voglia loro indicare come disponibile. L’unica loro richiesta è quella di restare uniti, per poter continuare a fornirsi l’aiuto reciproco che finora ha consentito loro di sopravvivere.
E’ bene non dimenticare che la Legge regionale 23 novembre 1988, n. 47 – che disciplina l'attuazione del riconosciuto diritto dei nomadi al transito e alla sosta nel territorio regionale – prevede che i Comuni si attivino per individuare e predisporre aree sosta, dotate delle opere di urbanizzazione primaria oltre che dei servizi igienici e di lavanderia, docce, recinzione, telefono pubblico, verde pubblico attrezzato con area giochi per bambini, contenitori per rifiuti solidi urbani (...). E che tali aree avrebbero dovuto essere individuate sentite le rappresentanze locali dei nomadi in modo da evitare qualsiasi forma di emarginazione urbanistica e facilitare l'accesso ai servizi pubblici e la partecipazione dei nomadi alla vita sociale.
Insomma, quante altre cose si sarebbero potuto fare, invece di incaponirsi con le ordinanze di sgombero?

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