Gli 8 manifestanti arrestati al termine del NoBushNoWarDay del 9 giugno scorso sono accusati di resistenza e violenza e lancio di oggetti contundenti, a cui si aggiunge l'aggravante 339, il decreto post-Raciti che aumenta di molto la gravità dell'accusa e pene previste con la presenza organizzata di più di 10 persone .
L'applicazione del decreto alla proteste del movimento conferma che la sperimentazione da parte dello Stato delle forme di repressione nei "laboratori del controllo", sia destinata ad allargarsi a tutto il resto della società.
L'accusa verso i giovani è tutta politica. Non a caso nell'udienza di convalida degli arresti, svoltasi l'11 giugno davanti alla 4° sezione collegiale del Tribunale di Roma, agli imputati non sono stati confermati gli arresti (solo per uno è stato emesso l'obbligo di firma).
Inoltre alcuni di questi ragazzi riportavano evidenti segni di percosse dovuti agli abusi delle forze di polizia, e tutti gli arresti sono stati eseguiti nelle vie laterali da personale in borghese o nel mucchio durante la carica in Piazza Navona.
La manifestazione si era svolta in un asfissiante clima di paura e repressione; in molte stazioni si sono dovuti bloccare i treni per permettere a tutti di raggiungere Roma, sulle autostrade molti pulmann sono stai stati fermati e perquisiti con mero intento provocatorio e per le stesse strade di Roma i camion con le amplificazioni sono stati bloccati e controllati dalla Digos.
A ciò si è aggiunto l'imponente schieramento di forze dell'ordine durante tutto il corteo e le cariche vendicative alla stazione Tiburtina, quando migliaia di attivisti dovevano riprendere i treni per tornare nelle loro città a corteo finito.
Tutte queste misure non ha fermato la determinazione della piazza contro le politiche di guerra di Bush e del governo italiano, ma hanno soltanto acuito la distanza tra la società e il Palazzo.