È storicamente provabile e provato che i popoli sono inclini a dar poco peso agli effetti delle guerre quando non li investano direttamente. È altrettanto vero però che negli individui il «dovere morale» può sempre fare affidamento «sulla propria fonte originaria: la fondamentale responsabilità umana verso l'altro», sicché i governi sono periodicamente costretti a correre ai ripari. Rielaborata alla bisogna, da quasi un secolo l'inventiva propagandistica della Grande Guerra impartisce alle genti la lezione fondamentale: l'altro non è una vittima, e men che meno un fratello, è il nemico. Stabilito l'assunto, restano i corollari. È risaputo che per sradicare nelle persone ogni eventuale afflato umanitario occorre raffigurare l'altro alla stregua di un animale, di una cosa, o almeno di un subumano. In tempo di guerra, o di pace che prepara la guerra, a questo compito si dedicano assiduamente non solo gli Stati maggiori degli eserciti, i preposti uffici, la stampa, la scuola e ogni periferica emanazione dello Stato, ma anche, spontanei, molti dei cervelli che abitano creativamente la società.
Chez nous, a partire dalla prima guerra del Golfo, la Sinistra si è accreditata nell'Altrove che conta rigurgitando senza riserve la turpe eredità dell'«interventismo democratico» ed è arrivata a scippare alla Destra la gestione in proprio dei conflitti, innestando sul DNA di un feroce decisionismo di scuola sarmatica non meno feroci tartufismi nostrani. Di lotta o di governo, riformista o di alternativa, finalmente protagonista ha riesumato l'idea di Patria, consacrato i militari e moltiplicato i teatri bellici con la reiterata complicità dei suoi estimatori, a beneficio massimo dei mercati, che su di essa hanno a più riprese oculatamente puntato, ma distribuendo al contempo anche apprezzabili dividendi istituzionali e confessionali. Guerra continua, dunque, come da promesse elettorali: ai migranti, al dissenso, ai salari, al pensiero, alla cultura, allo studio, ai poveri, alle pensioni, ai malati, guerra etica e umanitaria, giusta e necessaria, guerreggiata o simulata, guerra agli scrupoli, guerra al tabù della guerra, guerra dell'ONU, della NATO, dell'Europa, del fosforo bianco e dell'uranio impoverito, guerra alla pace, guerra per l'Ordine, guerra locale, guerra globale. Guerre democratiche, guerre di Sinistra. Senza se e senza ma.
A partire dall'intervento militare italiano nella prima guerra del Golfo e dall'innovativa ermeneutica ad hoc dell'art. 11 della Costituzione, la rimozione dell'ingombrante «tabù della guerra» fornisce una nuova identità alla Sinistra, completando la trasformazione del fattore K in ruota di scorta della Western Civilization. Nella tragedia che si comincia a recitare sulla scena mondiale, il ruolo assegnato alla Sinistra da un supremo Altrove è quello, ovviamente sussidiario e un po' depresso, che si richiede nei teatri di provincia. La trama prevede la contemporanea presenza dell'attore sui diversi palcoscenici di un unico scenario. Su un primo fronte, rivendicando in solidale alternanza alla versione dark i moduli patriottici e militaristi a suo tempo accreditati dall'interventismo democratico, al governo o all'opposizione la Sinistra declina filantropicamente a suo modo lo stato di guerra. Al contempo, alla ricerca complementare di equilibri sociali disciplinatamente conformi alle attuali necessità, essa dà il contributo di una peculiare severità normativa e salariale, impraticabile oggi dal negligente lassismo della concorrenza. Sul terzo fronte, della Legalità repubblicana, la sua duplice eredità ideologica favorisce lo storico incontro tra la sensibilità giuridica del suo primo guardasigilli, non ignaro di Lubjanka, e il garantismo tridentino dei Tribunali della coscienza. È benevolmente apprezzata nell'Altrove che conta l'inventiva partecipazione dei suoi leader alla realizzazione sub specie democratica dell'antico progetto totalitario della «fortezza Europa», contro le cui mura si infrangono le speranze e le vite di migliaia di migranti. La cultura dell'Effimero, osceno antidoto ad ogni tentazione critica incompatibile con lo stato di guerra, è ultimo ma non minore contributo della Sinistra alle necessità, anche didattiche, del conflitto generale e gradito dono a un Popolo felicemente consenziente.
Gaspare De Caro (Roma 1930). Ha pubblicato Introduzione a La Rivoluzione liberale di Piero Gobetti, Einaudi, Torino 1964; Istituzione del principe cristiano. Avvertimenti e istruzioni di Carlo V al figlio Filippo, Zanichelli, Bologna 1969; Salvemini, UTET, Torino 1970; Sulla genesi dell'Economia pura. Questione sociale e rivoluzione scientifica in Léon Walras, in L. Walras, Introduzione alla Questione sociale, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1980; Léon Walras dalla teoria monetaria alla Teoria generale della produzione di merci, in L. Walras, L'economia monetaria, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1985; Euridice. Momenti dell'Umanesimo civile fiorentino, Ut Orpheus, Bologna 2006; L'ascensore al Pincio, Quodlibet, Macerata 2006.
Roberto De Caro (Roma 1964). Nel 1991 ha diretto e inciso per l'etichetta ARTS di Monaco di Baviera L'Euridice di Jacopo Peri e Ottavio Rinuccini. Dirige Ad Parnassum. A Journal of Eighteenth- and Nineteenth-Century Instrumental Music. Dal 2000 al 2005 ha diretto Hortus Musicus, trimestrale indipendente di cultura e politica.