Il 12 maggio 1977 era l’anniversario della vittoria del referendum sul divorzio e i radicali organizzarono un sit-in in piazza Navona per opporsi al divieto di manifestazioni pubbliche, imposto dal governo in seguito alla morte il 21 aprile dell’agente Passamonti, durante scontri di piazza. Il governo risponde schierando migliaia di agenti e forze dell’ordine in assetto da guerra. Il tragico epilogo è noto: dopo una giornata di scontri perpetrati dalle forze dell’ordine ai danni dei manifestanti, Giorgiana Masi, una studentessa di 19 anni, resta uccisa. Freddata, nel corso di una carica, dai colpi sparati da poliziotti e carabinieri dal ponte Garibalidi.
La mostra comincia da qui. Il percorso si apre con le prime pagine di “Lotta continua” che testimonia la grande attesa nei confronti della manifestazione nei giorni immediatamente precedenti al 12 maggio, durante i quali erano state raccolte 340 mila firme a sostegno dell’iniziativa. Il governo democristiano dell’”astensione”, con l’appoggio del PCI, intraprende col suo imperante divieto la linea della fermezza, profetizzando “inevitabili” conseguenze. Il titolo del giorno dopo le sancisce epigraficamente: “Uccisa una compagna di 19 anni. Il Governo rivendica l’operato". Poche battute delineano quella che sarà la controversa gestione della vicenda. Il Governo, per bocca del Ministro dell’interno Francesco Cossiga, continuerà per lungo tempo a sostenere e elogiare l’operato delle forze dell’ordine, attribuendo la colpa di quanto accaduto alla presenza di “estremisti facinorosi” tra i manifestanti, a conferma dell’opportunità di imporre il divieto. Ma la ricostruzione che segue, fatta di immagini shock e testimonianze inequivocabili, ci rivela ancora una volta come il potere potesse costruire indebitamente complotti alla luce del sole, a dispetto dell’opposizione di molti deputati in parlamento, oltre ai Radicali.
Più di venti pannelli ricostruiscono dettagliatamente tutte le tappe di quella giornata, mostrandoci a più riprese scene raccapriccianti: manifestanti inerti di fronte agli schieramenti di poliziotti armati, agenti in borghese appostati con spranghe e pistole fuori ordinanza mimetizzati da dimostranti, gente messa al muro davanti a fucili puntati, pestaggi. In particolare quattro fotogrammi riprendono il pestaggio del deputato di Lotta Continua Mimmo Pinto, brutalmente attaccato da più agenti nonostante, come si vede chiaramente dalle foto, avesse mostrato il tesserino da parlamentare. Per contro l’unica difesa dei manifestanti assediati, come nelle foto che ritraggono una scena a Campo de Fiori, è rilanciare qualche candelotto. Immagini corroborate da interviste a giornalisti, deputati, e semplici passanti che testimoniano della lucida repressione operata in quelle ore, mentre al parlamento i deputati radicali protestano contro le violenze della polizia chiedendo con insistenza l’intervento del Governo, che non verrà.
Ad opera degli stessi radicali sarà poi pubblicato il cosiddetto “libro bianco”, una raccolta di cronache e testimonianze sulla vicenda con l’intento di “denunciare all’Inquirente il Presidente del Consiglio, il Ministro degli Interni, e quello della Difesa per attentato alla Costiutuzione”, come si legge nelle dichiarazioni rilasciate da Pannella sui quotidiani di quei giorni. L’ampia documentazione a disposizione costrinse Cossiga ad ammettere la presenza delle squadre speciali, ma continuò a negare che la polizia avesse sparato. L’ultimo pannello della mostra è un documento che testimonia come Cossiga fosse imputabile di reato costituzionale per aver rilasciato l’ordinanza che vietava le manifestazioni pubbliche. Ad ogni modo l’inchiesta per l’omicidio venne archiviata nel 1981 dal giudice istruttore Claudio D'Angelo "per essere rimasti ignoti i responsabili del reato”.
E negli anni a seguire non venne mai più fatta chiarezza. Successive indagini hanno tentato, senza risultati significativi, di individuare gli autori dello sparo mortale in un "autonomo" deceduto da tempo, oppure nel latitante Andrea Ghira, uno dei tre fascisti condannati per il massacro del Circeo. Le dichiarazioni di Cossiga nel corso degli anni sono sempre state equivoche e contraddittorie. Fino a quella rilasciata nel 2003 nel corso di una puntata della trasmissione Report: "non l'ho mai detto all'autorità giudiziaria e non lo dirò mai, é un dubbio che un magistrato e funzionari di polizia mi insinuarono. Se avessi preso per buono ciò che mi avevano detto sarebbe stata una cosa tragica. Ecco, io credo che questo non lo dirò mai se mi dovessero chiamare davanti all'autorità giudiziaria, perché sarebbe una cosa molto dolorosa". L'ipotesi più reale - anche perché Cossiga l'aveva già ventilata - è che egli intendesse dire che fu uno dei manifestanti ad uccidere la studentessa, ma la maniera criptica in cui l'ex capo dello Stato si è espresso lascia spazio a più di un'interpretazione.
Marco Pannella ha voluto ricordare che il 12 maggio 1977, "alle 16 c'era qualcuno che dal Viminale invitava a sparare e alcuni esponenti delle forze dell'ordine dicevano 'hanno già ammazzato due dei nostri', cosa non vera. Cossiga é troppo intelligente per non sapere che dicendo in pubblico 'ho saputo', 'mi é stato inoculato un dubbio', conferma quello che noi avevamo documentato. Tutto era molto chiaro, e lui sa che a questo punto l'autorità giudiziaria, se in Italia esistesse una autorità degna di questo nome, procederebbe. La verità é che quel giorno si tentò la strage per arrivare alla sospensione della legalità costituzionale". Molti oggi sollecitano a riapertura del caso, ma le mille contraddizioni, sotto gli occhi di tutti, a cui seguì la chiusura irrisolta della vicenda, sembrano destinarla a restare un ombra nella storia del nostro paese. Un ombra che, perlomeno dal basso, si tenta di dissipare continuando a fornire testimonianze e preziosi interventi, come quelli raccolti nella dispensa messa a disposizione durante la mostra, che lancia molteplici sguardi sull’accaduto e su quanti continuano ancora a lottare per la verità.