Anche se Prodi li ha chiamati “martiri”, le vittime del lavoro continuano a cadere a ritmi impressionanti: a una media di 4 per ogni giorno lavorativo, quasi 1300 nell’anno 2006.
Costantemente, implacabilmente, nel disinteresse generale. Anzi, no: per uno di quei cortocircuiti che costellano le vicende dell’informazione italiana, i morti della seconda settimana di aprile hanno suscitato un diluvio di dichiarazioni (da Napolitano in giù) e di servizi giornalistici improntati allo stupore e alla sdegnata retorica. Persino Repubblica ha pubblicato una mini inchiesta sul lavoro nero e il capolarato a Milano (ma a Vallettopoli, ha dedicato cento volte più spazio che a questa tragedia nazionale). È facile prevedere che dopo il diluvio di stupore e sdegnata retorica, si tornerà presto alle “brevi di cronaca”.
Eppure l’Italia resta un Paese pericoloso per chi lavora. Si muore nei cantieri edili, nei campi, nelle fabbriche, nei laboratori artigianali. Ovunque vi siano appalti e prevalga la logica del massimo ribasso, è pressoché sicuro che si speculi sulle norme di sicurezza e sul lavoro irregolare. In molti cantieri è difficile capire chi lavora per chi, fino a situazioni limite come quella riscontrata nell’ottobre 2006 in un grande cantiere autostradale, dove gli ispettori hanno identificato lavoratori dipendenti da 200 aziende diverse. Precarietà del lavoro e frantumazione del ciclo lavorativo rendono l’obiettivo della sicurezza ancora più difficile.
Condivido l’appello (anzi il “consiglio”) che Gabriele Polo ha dato a Prodi sulla prima pagina del manifesto: impegnare almeno un po’ del “tesoretto” (le entrate fiscali superiori al previsto) per aumentare il numero delle ispezioni sui cantieri, e per sostenere l’azione preventiva dei delegati alla sicurezza. Quanto agli ulteriori finanziamenti pubblici che finiranno alle imprese, dovrebbero essere vincolati a rendere davvero inviolabili il diritto alla salute e alla vita. Tiziano Rinaldini, segretario della Cgil dell’Emilia-Romagna, ha fatto notare quanto sia fuorviante parlare di martiri: “il martirio implica una scelta per una causa; non ci pare abbia molto a che fare con il lavoratore vittima sul lavoro, che non ha mai pensato di scegliere di morire, ma più semplicemente ha dovuto lavorare in condizioni imposte”.
La prima, vera, grande aspettativa che il governo rischia di deludere è quella di ridare valore al lavoro. E se la sinistra – nelle sue convulsioni partitiche - ha ancora un senso, è da qui che dovrebbe ripartire. Dai diritti di chi lavora. Dalla dignità del lavoro. Dal trovare insopportabili simili ingiustizie.