29 aprile 1951. Muore Ludwig Wittgenstein

Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere.”


29 aprile 2007 - Carlo Loiodice

Ludwig Wittgenstein (26 aprile 1889-29 aprile 1951) è una figura emblematica della filosofia
del ‘900. Nella sua opera complessa e multiforme Wittgenstein ha spaziato all’interno di varie discipline occupandosi di logica, di matematica, di filosofia del linguaggio e di psicologia. Nato nel 1889, mostra un ingegno precosissimo per tutte le attività che hanno in qualche modo a che fare con l’intelletto e con le materie astratte.
Prima di dedicarsi interamente alla filosofia, si laurea in Ingegneria e sviluppa interessi molto legati alla logica e alla matematica. La sua carriera professionale è disordinata quanto la sua vita, tanto che il suo percorso accademico contempla periodi passati a insegnare come Maestro nelle scuole elementari tanto quanto cattedre di Ingegneria al Politecnico.
Frequentarlo era tutt’altro che facile. Umorale e introverso, aveva diverse fobie, fra cui quella per gli insetti. Inoltre, aveva una serie di comportamenti bizzarri non facili da sopportare per chi gli stava vicino. Ad esempio, lavava i piatti nella vasca da bagno, e puliva il pavimento cospargendolo di foglie di tè bagnate che poi scopava via; camminava in un modo tanto esagitato che in un soggiorno in Irlanda i vicini gli impedirono di attraversare i loro campi, perché spaventava le pecore; Oppure, indossò per anni l’uniforme dell’impero austro-ungarico, ormai inesistente. Ma si potrebbe andare avanti a lungo. Le prime opere di Wittgenstein sono fortemente influenzate dal pensiero del cosiddetto “Circolo di Vienna”, composto , fra gli altri, da M.Schlick, O.Neurath e R.Carnap. La riflessione, in questo caso, è caratterizzata da un’aggressione senza precedenti nella storia della filosofia alla Metafisica. Ampio rilievo è invece concesso al mondo dell’esperienza e a quello della matematica e della logica. Questi autori, in sintesi, tentano di salvare il versante sperimentale e quello formale estremizzandoli e saldandoli assieme. Questo approccio trova la sua sintesi nel “principio di verificazione” per il quale “sono dotate di significato solo le proposizioni verificabili empiricamente”. Sarebbero cioè autentiche solo quelle proposizioni che permettono un confronto diretto tra il linguaggio usato e la realtà empirica. La conclusione, dunque, è che le proposizioni della metafisica risultano essere del tutto prive di senso, in quanto riguardano ciò che sta oltre la dimensione dell’esperienza. Ma Wittgenstein si spinge oltre: la filosofia deve abbandonare la riflessione intorno a quei problemi (come, ad esempio, l’esistenza di Dio) che non hanno riscontro empirico. Una sua famosa sentenza, infatti, recita che “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.” […]
Wittgenstein, che fu anche: progettista di aquiloni per metereologia nel 1908, e di motori a reazione e propellenti fino al 1911; eremita in un fiordo norvegese (per meditare sulla logica), nel 1913; mecenate di artisti austriaci poveri (tra cui Rilke), nel 1914; combattente volontario, nella prima guerra mondiale; erede di una enorme fortuna, a cui rinunciò nel 1919; giardiniere in un monastero. Come insegnante si rifiutò di far lezione a troppi studenti, preferendo dettare a pochi di essi degli appunti che gli altri potevano leggere a casa (e che divennero il celebre “Libro blu”).
La filosofia era per lui una sofferenza: credeva che non fosse possibile pensare decentemente se non si vuole farsi del male. Inoltre, si lamentava che il suo pensiero fosse sistematicamente frainteso (oltre che plagiato), senza abbandonare però la pretesa di esporlo soltanto in forma poetica (criterio in base al quale la sua opera andrebbe forse giudicata).
La casa in cui Wittgenstein si spense il 29 aprile 1951 apparteneva al suo medico, il dottor Edward Bevan, che aveva acconsentito ad accoglierlo già alla fine di gennaio, dopo aver constatato il rapido avanzamento del tumore alla prostata, per evitargli il ricovero in ospedale. Gli ultimi giorni del filosofo fino alla sua morte, avvenuta a Cambridge esattamente cinquanta anni fa, sono anch’essi ricchi di aneddoti, a cominciare dalle ultime parole, confidate alla padrona di casa e destinate al gruppo fedele di amici e discepoli raccolti nella stanza attigua: “Dite loro che ho avuto una vita meravigliosa”.