Il 28 aprile 1945 i partigiani fucilarono Mussolini. Quello stesso anno uno scrittore lo giustiziò nel suo animo. “Eros e Priapo” è il testo che Carlo Emilio Gadda, già aderente al fascismo, scrisse per allontanare da sé l’immagine di un duce – “Cuce” nel testo – che della presente tragedia era responsabile ed icona. Il libro, scritto nel 1945, uscirà solo nel 1967.
Lui era il genio tutelare della Italia, - (qual viceversa ruinò, e la redusse a ceneri ed inusitato schifìo) - lui ne aveva insegnato essere vuomini; ché prima di lui erano donne, e l’Adamello e ‘l Mandrone e il Lèmerle e il Cengio e il Fàiti ci camminarono sopra e per entro sotto al cielo in saette, con animo di donna: lui cavalcatore di cavalli e di femine in gloria: lui sì sì, lui sederone a cavallo, lui bellone, lui mascellone, lui fezzone, lui buccone, stivalone, provolone, maschio maschione cervellone generalone di greca tripla. Questo sognavano, questo talora ti dicevano le fraudate ammiratrici.
E la multitudine delle dame gli tarantellò e gli trillò d’attorno, pazze o, altre, callidamente ridenti: kù-cè, kù-cè, kù-cè, kù-cè: colà giù ne le melme rasciutte e nel zanzarume a la trebbiatura pometina, e in sulle aree ed aje: alle bagnature di Riccione o di Ostia o d’altro qualunque lido della Italia dov’egli apparisse ignudo del torso co’ tettarelli sua, che niuno infante appetiva: o negli ospitali e nelle cucine pubbliche dove si ministrano a’ poveri le minestre magre della carità (non sua) o in nelle scuole dove si tirano cantatine di gola all’unisono agli innocenti: o in nella sala del Mappamondo, doveché aveva allogato a far tutto il mappamondo suo dittatorio. A la trebbiatrice, a inghirlandare il Trebbiatore e a tessergli d’attorno lor festevoli carole, eran le donne de’ cinquecento fidi travestite da ciociarine, o pometine villanelle, con cappelli di paglia ondulanti ne l’efimero spiro del mare: ch’erano di quei larghi e dolcemente floreali e messidorati dei vaudevilles d’antanno (Le chapeau de paille de Florence): e un nastro o banda velluto-Como tutt’attorno il cocuzzolo. E i tepidi, i divini seni ripresi e, ahimè, ristretti da lo scialle che ne vietava il trabocco: e gli occhî dolcemente ridenti, per quanto brave mogliere de’ fidati. Oh! i bei cappelli di paglia come quel di Minuzzolo addormito che se lo divorò l’asinello! Oh! nastri e carole e corsetti velluto-fiori, e dolci e arditi stornelli e melanconici canti, un poco nel naso per l’appunto: nenie e querimonie del faticato ricolto, nel fulgore sommo dell’anno! E lievi gonne che uno spiro solleva, come un desiderio maritimo, venuto dalle astinenze, dalle diuturne penitenze navali, approdato quasi un contrabbandiere a le febbri, al convegno sotto la Cisterna, per la Pratica di Mare. Lievi gonne, tra il polverone delle trebbie, di mussola stampata. Sopra, gambe da non si poter dire, da non si poterle guatare: lasciamo, lasciamo. Compermesso. Compermèss che me ven fastidi.
E lui lassù, tumescente, a torso nudo.|