Ufficialmente l’ultima finanziaria ha posto una “particolare attenzione” alla situazione dei lavoratori nei call-center gestiti da aziende pubbliche e private. Ma qualcosa è davvero cambiato? Un’intervista ad un operatore di una nota società con sede a Bologna può essere la maniera più semplice per avere un quadro diretto del problema del precariato in questo specifico contesto lavorativo. Lasciamo allora la parola ad Alberto (nome fittizio, per ovvie ragioni) perché ci dipinga con le sue parole l’immagine di chi lavora con i tanto discussi “contratti a progetto”.
Fai un quadro della situazione. Cosa significa essere un lavoratore precario in un grande call-center?
“Ho iniziato a lavorare presso il call-center più di un anno fa. Dopo un breve corso di formazione, mi hanno fatto un contratto a progetto per un anno. Beh, me lo aspettavo, è la prassi in queste realtà. In questi mesi sono riuscito a distinguermi, ho fatto degli ‘scatti’, come si dice in gergo; anche il mio stipendio è aumentato un po’. Ovvio, si tratta di aumenti percentuali legati all’ora di lavoro. È questo il problema principale: dopo più di un anno vengo ancora pagato soltanto per le ore che faccio. Sono un lavoratore a cottimo, come quelli dei campi di cotone, solo che al posto del sole e dei campi abbiamo uffici grigi e telefoni. Se un mese riesco a lavorare più ore, mi entra il necessario per vivere senza dovermi preoccupare troppo – certamente non posso fare follie, ma chi lo pretenderebbe! Se però il mese successivo mi ammalo, non ho diritto a nulla. Non vengo pagato. Non parliamo poi delle ferie, un lusso che non ci possiamo nemmeno sognare. Per riuscire a ritagliarmi una settimana per andare a trovare la mia famiglia – io sono meridionale, come tanti lavoratori qui – devo programmare tutto diversi mesi prima, mettere da parte i soldi, e sapere che dovrò stringere la cinghia per quel mese, perché quei pochi giorni di vacanza all’anno che credo mi spettino come essere umano e come cittadino, me li devo finanziare da solo. I contratti a progetto non possono essere prolungati così a lungo. Sono mesi che ci dicono che dovrebbero cambiare, ma per ora è tutto in sospeso. Non credo che sarò licenziato, perché mi hanno formato e so fare molto bene il mio lavoro. E proprio per questo, vorrei solo un po’ più di stabilità. Un contratto che permetta a me, finalmente, di poter fare qualche progetto.”
Ma possibile che la tanto decantata flessibilità non sia vantaggiosa per nessuno?
“La flessibilità credo sia qui al massimo della sua espressione: una volta alla settimana ciascuno di noi dice il numero di ore per cui è disponibile la settimana successiva. Poi ti confermano le ore a seconda dei flussi di chiamate previsti, ad esempio, sulla base dei periodi di fatturazione. Se servi te le confermano, altrimenti… Questo però non significa che non possano cambiare le cose durante la settimana. Se c’è un flusso di chiamate eccezionale non previsto ti chiamano e ti chiedono se puoi venire a lavorare qualche ora in più rispetto a quelle confermate. Naturalmente senza obblighi, però è anche vero che tendono a tenere chi lavora di più. Ora, per tanti studenti che vivono l’esperienza del call-center come temporanea, può anche andare bene, perché permette loro di conciliare il tempo di lavoro con lo studio. Il problema principale è per chi, come me, ha deciso di restare e fare questo mestiere più a lungo, che poi siamo quelli che più spesso vanno ad occupare i posti di gestione degli uffici. Ma come formula contrattuale, non si opera alcuna distinzione. Se provo a confrontarmi con un lavoratore a tempo determinato che si occupa di gestione in altri settori, lui è pagato meglio di me ma ha molte, moltissime responsabilità in meno. È davvero urgente creare delle differenziazioni non solo a livello di stipendio, che in minima parte ci sono, ma a livello di garanzie.”
Qual è il rapporto che avete con i sindacati?
“Fino a poco tempo fa nulla. Tutti i contatti sono estremamente recenti, legati all’ultima finanziaria che ha imposto di cambiare i contratti nei call-center. Ci sono state riunioni con diverse sigle, come CIGL o CISL, da poco anche loro danno l’impressione di muoversi perché qualcosa cambi. Ora che i contratti stanno per scadere, vedremo cosa succederà.”
Te la senti di azzardare un’ipotesi sul prossimo futuro?
“Guarda proprio non so che dirti. So che se i contratti diventeranno a tempo determinato molte cose cambieranno. Per alcuni si imporrà una scelta. Del resto esistono anche i “vecchi” part-time, una forma di flessibilità un po’ più garantita. Un tempo era la formula che permetteva di conciliare il lavoro con lo studio o la famiglia senza tutta questa precarietà. Ma la verità è che per ora non possiamo fare o predire nulla, possiamo solo aspettare.”