Giovedì 26 aprile 2007, ore 18.30, a Vag 61, via Paolo Fabbri 110, Bologna

Nel buio di una nave

Giovedì 26 aprile, nell'ambito delle "quattro giornate di resistenza alla precarietà", organizzate dall'Officina dei Media Indipendenti Vag 61 (http://www.vag61.info/vag61/articles/art_717.html), Bruno Papignani, segretario provinciale della FIOM, e Gino Rubini, realizzatore del sito www.diario-prevenzione.it, presentano il libro di Rudi Ghedini “Nel buio di una nave”. Un’occasione per parlare di lavoro nero, caporalato, precarietà, sicurezza e dignità del lavoro.
26 aprile 2007

la copertina del libro "nel buio di una nave" Il libro di Ghedini parla della strage che si verificò nel porto di Ravenna, vent’anni fa: il 13 marzo 1987, tredici lavoratori persero la vita soffocati nella stiva della gasiera Elisabetta Montanari all’interno del cantiere Mecnavi. Innescato dalla scintilla di una fiamma ossidrica, un piccolo incendio surriscaldò il rivestimento dei serbatoi di combustibile, che gocciolò sul fondo della stiva e prese fuoco a sua volta. Dalla combustione si svilupparono ossido di carbonio e acido cianidrico. L’aria divenne presto irrespirabile. L’autopsia certificò la morte per edema polmonare causato da inspirazione di sostanze tossiche, dopo una lunghissima agonia. Morirono “come topi”, disse il cardinale Tonini.
Vent’anni dopo, resta il più spaventoso incidente sul lavoro del dopoguerra: tredici morti, con una lunga catena di responsabilità; le vittime dipendevano da cinque aziende diverse, otto lavoravano in nero, tre non avevano ancora vent’anni, dodici erano picchettini, per qualcuno si trattava del primo giorno di lavoro.
Anche se la percezione del pericolo fu pressoché immediata, le vittime non avevano scampo, non disponevano di alcuna strategia di sopravvivenza: era scarsissima la loro conoscenza dell’ambiente di lavoro, non avevano ricevuto alcun addestramento, una rapida evacuazione era impossibile. Divenne presto chiaro che si trattava di una tragedia annunciata, si scoprirono situazioni inimmaginabili in una realtà ricca come quella ravennate: lavoro nero, caporalato, disprezzo delle più elementari norme di sicurezza, e l’arroganza di imprenditori - i fratelli Arienti - che non tolleravano il sindacato nella loro azienda.
Il libro ricostruisce la vicenda, i passaggi processuali, cosa è cambiato e come si possa ancora morire di lavoro, oggi. Si propone di contrastare la più subdola fra le figure retoriche solitamente accostate agli incidenti sul lavoro: quante volte ci è capitato di sentire la parola strage associata a fatalità? Nel caso Mecnavi, ciò che è accaduto si presenta come una profonda, intollerabile, odiosa ingiustizia. Con una lunga serie di colpevoli: imprenditori, subappaltatori, chi rilasciò le autorizzazioni, chi non vigilò come avrebbe dovuto.
È raro trovare una concentrazione di cause simile a quella che si determinò nel cantiere Mecnavi, ma in un ogni infortunio sul lavoro si ritrovano alcuni fra gli elementi di quella tragedia.

Il libro comincia così:

Rudi Ghedini “È sulle navi che bisogna cercarli, i picchettini. Sulle navi in porto. E bisogna sapere dove cercarli, perché non sono in vista. Il loro lavoro non ha nulla a che fare con l’aria aperta e il salmastro, l’azzurro e lo iodio. Ha a che fare, piuttosto, con il sottosuolo, la claustrofobia, la miniera.
Picchettino è una parola che si trova su pochi vocabolari (a parte la declinazione del verbo picchettare), e nemmeno i motori di ricerca su Internet offrono risposte esaurienti; secondo l’INAIL si tratta della qualifica professionale classificata con il numero 709.
Sulle petroliere in secca, i picchettini vengono chiamati a svolgere le operazioni di pulizia nella stiva, usano stracci, palette, spazzole e raschietti per rimuovere la ruggine e i residui di combustibile colati dai serbatoi. Non è un’attività che richieda personale particolarmente qualificato. Servono forza di volontà e spirito di sacrificio, si tratta di eseguire mansioni semplici quanto disagevoli, in condizioni di scarsa visibilità. Un lavoro sporco e rumoroso: i picchettini devono incunearsi in ambienti ristretti e stare stesi sulla schiena o sul ventre, l’altezza dei doppifondi non va oltre gli 80-90 centimetri.
Quando tredici corpi senza vita vennero estratti dal ventre della nave gasiera Elisabetta Montanari, il 13 marzo 1987, nel cantiere Mecnavi, il più grande cantiere privato del porto di Ravenna e dell’intero Adriatico, prima i soccorritori e poi i giornalisti rimasero stupefatti dall’aspetto dei picchettini: facce annerite, maglioni pesanti infilati uno sopra l’altro, pantaloni di velluto spesso, passamontagna, giacca e pantaloni di tela cerata, lunghi stivali. Sui giornali del 14 marzo tutti scoprirono la parola picchettino e dovettero associarla a una tragedia…”.

Giovedì 26 aprile 2007
Ore 18.30 – proiezione di “Mai più”, film documentario di Fausto Pullano, Nello Ferrieri e Rudi Ghedini (1997)
Ore 19.00 – Bruno Papignani e Gino Rubini presentano “Nel buio di una nave” (Bradipolibri, 2007, 112 pagine, 10 euro), alla presenza dell’autore.
Vag 61, Officina dei Media Indipendenti, Bologna, via Paolo Fabbri 110