Piazza Nettuno è lo spazio pubblico della memoria che contestualizza su un suo lato, mediante un muro di vetro e di fotografie in bianco e nero, volti di varie generazioni di caduti per la resistenza alla guerra nazi-fascista 1943, uomini e donne in carne ed ossa, non eroi, che hanno osato riaffermare con la loro lotta individuale vitalissima e collettiva clandestina armata una esistenza di ricercata libertà ed uguaglianza. Ma sulla stessa parete in Piazza Nettuno si trova la porta d’accesso alla Sala Borsa, la più grande Biblioteca della città, spazio virtuale di conoscenza, ma anche luogo di incontro reale quotidiano di giovani giovanissimi, cittadine e delle cittadini… Piazza Nettuno è dunque uno spazio di libertà da cui partire per ogni contestazione all’esistente per vari movimenti ed associazioni riflessive della città di Bologna.
Da Piazza Nettuno, in una mattina d’autunno incerta e nuvolosa, è partita una marea montante di migliaia di studenti e studentesse delle Scuole Medie Superiori della nostra città. Questo lungo e spontaneo serpente colorato (di rabbia e di gioia) ha attraversato le vie della città storica, inondando interamente la sede stradale e dirigendosi vociante, urlante è partito verso via Rizzoli. Ragazze e ragazzi, alzando le mani, esponendo le mani e i corpi, come mosaici di figure mutanti di nuove espressione di società, saltando e rincorrendosi verso le due Torri, hanno poi percorso festanti via Zamboni verso l’Università, via delle Moline, via dell’Indipendenza, per chiudere di nuovo il cerchio della contestazione al Governo Berlusconi e alla Gelmini, apostrofata nelle voci e nei cartelli sinteticamente come “La Ministra della Distruzione Pubblica”.
Lo spezzone di testa della manifestazione apriva con uno striscione dai caratteri verde scuro su uno sfondo bianco: “La crisi si combatte con l’Istruzione”.
Gli studenti sono sempre più consapevoli del ruolo della conoscenza e dell’ignoranza al governo della nostra società (la ministra Gelmini viene spesso raffigurata come santa ignoranza); un’ignoranza che ha prodotto in questo buio inizio di secolo “disagio, bullismo, distruzioni di mondi, paura, violenza, guerre esterne ed interne, sessismo, razzismo, omofobia, liquidità delle relazioni umane, precarietà”.
Ritrovare e prendere conoscenza significa ricreare nella società complessa, coesione sociale e umana, sostenibilità di futuri, accoglienza delle diversità, sviluppo dell’intelligenza cognitiva ed emotiva e della solidarietà; ma ritrovare e prendere conoscenza significa anche ricreare una società che non si spaventa della decrescita economica e dei consumi effimeri ed inutili, ma aspira alla crescita sobria dei consumi, delle relazioni tra umani e tra umani e gli ambienti naturali e metropolitani.
Tra le mani alzate spuntavano qua e là bandiere inconsuete: la bandiera raggiante del Tibet autonomo, le bandiere del Bologna-calcio, una bandiera rossa con un Che Guevara che spuntava dai raggi neri, e qua e là bandiere rosse senza particolari contrassegni di partito.
Le parole che si rincorrevano e si ripetevano tra le masse ormai individualizzate ma corali erano: “il futuro dell’Italia siamo noi”, “tagliamo i tagli”, “tagli, privatizzazioni, precarizzazioni la nostra risposta: e ora e sempre occupazione (di scuole, fabbriche e università)”, “no alla Riforma della Distruzione “.
Quando la lunga manifestazione ha raggiunto l’ Università ed è passata sotto l’Ufficio Provinciale Scolastico di Via Castagnoli si è alzato un urlo che ha percorso tutta la manifestazione, con slogan che si ripetevano in modo quasi ossessivo, ma in quelle urla c’era una forte consapevolezza: “sappiamo che la lotta si fa dura, ma noi non abbiamo paura”… “noi ci meritiamo il nostro futuro”.
E poi: “sappiamo sappiamo dove sono andati a finire i soldi per l’Istruzione (meno otto miliardi di euro nell’ultima finanziaria 2008-09): in Libia, per potenziare campi di detenzione e per favorire respingimento degli stranieri in fuga da guerre, miseria e apocalissi di mondi, in Afganistan, per armare il terrore contro le popolazioni civili e la nuova colonizzazione”… “non abbiamo bisogno di Eroi e già eroico vivere in questo paese di fame crescente e di precarietà di vita, redditi e lavori”.
Volti giovanissimi in prevalenza ragazze ma anche molti ragazzi.
Una ragazza veniva portata sulle spalle da un suo compagno e questa immagine nella mia mente storica mi ha fatto evocare e sognare il nostro lungo maggio europeo del secolo scorso.
Stamattina prima di uscire di casa ho cercato di portare con me qualcosa o un segno che potesse unificare le generazioni critiche di questo imploso paese, portando con me una borsa della spesa di stoffa rossa intensa che ho prima allacciato sul manubrio, ben in vista sulla bicicletta, e poi lungo il marciapiede, sventolandola ogni volta che gli studenti e le studentesse gridavano “non state lì guardare ma venite giù a manifestare”.
A volte basta uno straccetto rosso al collo diceva Pasolini per significare le cose a cui s’aspira divengano realtà mutante.
Ed ancora altri slogan che evocavano altre dimensioni dell’esistenza negata da questo senso comune di destra che ha contaminato ormai tutti: “diversi diversi ma liberi liberi di scegliere”…. come vivere, amare e morire..
Perché onda del disincanto?
Perché si comincia a respirare nelle strade e nelle classi, come docente tra gli studenti e studentesse, la fine dell’impotenza in cui era stata gettata, e smarrita una o più generazioni di fine ed inizio secolo, da questa cultura dominata dalla mercificazione della vita, del sessualità, dei corpi, dell’immagine, della politica.
Non crescono più grandi fratelli o sorelle delle Tv spazzatura sia commerciale che pubblica, ma crescono piccoli fratelli e sorelle disincantate che cominciano ad articolare qualche libera espressione con i pochi 500 vocaboli che dispongono ancora, vocaboli elettronici privi di vocali e ricche di consonanti afasiche e molte facce emoticon che compensano le privazioni sensoriali e poi le braccia alzate. Per riabbracciarsi come fratelli e sorelle di un’unica città e terra divenuta possibile luogo scelto di progettata esistenza.