La necessità di garantire una vera possibilità di scelta per le donne sul proprio corpo e sulla propria vita e la mancanza di un'adeguata informazione e di un dibattito critico sull'aborto, la Legge 194 e l'educazione sessuale: questi i temi al centro dell'incontro pubblico sulla pillola RU486 svoltosi al TPO di via Casarini 17/5 alle ore 18.30 del 6 ottobre 2009.
Il dibattito è stato introdotto dall'intervento della dottoressa Enza Costantino, biologa, coordinatrice della sperimentazione "pillolo" all'ospedale Sant'Orsola di Bologna, che ha sottolineato la peculiarità di questo momento, in cui si registra un aumento di problemi e timori legati alle nuove scoperte e sperimentazioni mediche che non ha precedenti. Viene portata avanti una vera e propria "crociata" da parte dei rappresentanti della Chiesa e non solo, che mira ad un'azione di controllo sociale sui corpi femminili, con totale mancanza di conoscenze biologiche da parte delle associazioni pro-life che lanciano ai ricercatori sanitari che si occupano della pillola abortivi accuse di "embrionicidi", associando l'assassinio di un figlio all' IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) tutelata dalla Legge 194. In tutto questo lo Stato italiano, anziché tutelare il rapporto medico paziente da qualsiasi ingerenza ( si veda il gravissimo caso del 12 febbraio 2009 del blitz della polizia in un ospedale napoletano per indagare su un aborto di un feto malformato) garantendo una risposta sanitaria laica, si schiera nei fatti con il Vaticano e cerca espedienti per ritardare l'introduzione della commercializzazione del farmaco. La dottoressa conclude citando alcune statistiche ISTAT che riguardano il ritorno del numero degli aborti dichiarati "spontanei" (ma in parte presumibilmente clandestini) nel 2006 ai livelli del 1977, quindi prima dell'introduzione della Legge 194 sull'interruzione di gravidanza del 22 maggio 1978 che aveva invece portato ad una diminuzione del 39%. Infatti recentemente sono aumentati anche a causa del maggior numero dei ginecologi obiettori di coscienza (problema che potrebbe essere risolto dalla RU486) che provoca un dilatarsi dei tempi che spinge al ricorso all'aborto illegale e a causa dell'obbligo per i medici di denunciare i clandestini che chiaramente fa sì che le donne straniere cerchino di evitare di ricorrere agli ospedali.
A seguire il dott. Silvio Viale, responsabile della RU486 dell'Ospedale Sant'Anna di Torino nonché padre di questa sperimentazione, ha sottolineato la necessità di un dibattito che sorpassi le divisioni ideologiche e le strumentalizzazioni politiche per ritornare alla concretezza della materia, partendo dalle rilettura della famigerata 194 di cui tanto si parla senza mai leggerla né conoscerla approfonditamente. Così vale anche per la pratica dell'aborto che "è l'unico esempio in cui i tecnici, coloro che lo fanno, non sono considerati, ma chi non lo fa pretende di essere esperto."
Le prime sperimentazioni della RU486 risalirebbero al '89-'91 con gli studi dell'OMS alla clinica universitaria Mangiagalli di Milano, in seguito ai quali però non si fece più nulla fino al 2001 quando lui stesso propose uno studio sperimentale autorizzato nel 2002 e partito nel 2004. In questi 20 anni non se ne è mai parlato fino all'avvio dei suoi studi che hanno provocato l'inizio delle polemiche e i primi tentativi di boicottaggio, come il decreto Storace che limitava l'importazione del farmaco. L'assenza di un dibattito porta così ad affermazioni sbagliate e alla colpevolizzazione della donna.
L'aumento dei ginecologi obiettori di coscienza inoltre non è legato a motivi ideologici ma pratici, molti medici lo diventano perché sono stanchi di fare una pratica non gratificante e perché vogliono evitare di avere quantità maggiori di lavoro e per gli stessi motivi non sarebbero obiettori di coscienza rispetto all'aborto farmacologico. Le motivazioni che vengono presentate contro la pillola RU486 sono inconsistenti soprattutto dal punto di vista sanitario, poiché le sperimentazioni ad oggi su almeno 4000 donne italiane hanno mostrato solo un caso di trasfusione, il 5% di interventi chirurgici e effetti collaterali minimi, minori rispetto a quelli dell'aborto chirurgico che comporta anestesia e ricovero, mentre l'interruzione di gravidanza farmacologica viene realizzata in day-hospital. E' quindi importante tenere acceso un dibattito senza retorica che evidenzi la non pericolosità del farmaco, paradossalmente impiegato per indurre il travaglio e la dilatazione in Egitto e in Brasile, paesi in cui l'aborto è vietato.
La dottoressa Marinella Lenzi, responsabile della RU486 del day hospital della maternità dell'Ospedale Maggiore di Bologna, infine, ha raccontato come si è svolta l'esperienza bolognese, che a differenza della sperimentazione torinese, con il sostegno della Regione Emilia-Romagna, ha avviato l'utilizzo vero e proprio del farmaco sulle pazienti. Ad oggi 11 su 16 aziende sanitarie della nostra regione forniscono il servizio di interruzione farmacologica di gravidanza in ospedale, nonostante il vincolo della richiesta personalizzata caso per caso per l'importazione del farmaco dalla Francia, posto come condizione di partenza. Questo problema è inoltre connesso alla necessità dell'assunzione del farmaco entro la settima settimana di gravidanza così che, calcolando il tempo necessario alla richiesta e all'arrivo della RU486 dall'estero, una donna deve optare per questo procedimento entro la sesta settimana, fattore che determina l'esclusione di molte persone che non riescono a prendere in fretta una scelta così difficile. Il procedimento avviene interamente in day hospital: dopo i controlli propedeutici, il primo giorno la paziente assume il mifepristone che blocca l'azione del progesterone, ormone necessario alla gravidanza, due giorni dopo viene somministrata la prostaglandina (Cytotec) che provoca l'espulsione del materiale abortivo. Quattordici giorni dopo la donna ritorna in ospedale per controllare l'avvenuta interruzione, stabilendo così un rapporto maggiore e più continuativo con il medico rispetto all'aborto chirurgico. La disinformazione diffusa ha provocato un'assimilazione della RU486 con la pillola del giorno dopo, quest'ultima in realtà solo un contraccettivo ad alto dosaggio.
All'Ospedale Maggiore è stato riscontrato un aumento di richieste tra donne italiane e istruite, il 30% delle quali proviene da regioni limitrofe e si reca a Bologna dopo aver incontrato difficoltà nel vedere effettivamente realizzata la propria libera scelta di interrompere la gravidanza negli ospedali delle proprie regioni. L'uso della RU486 determina probabilmente il numero limitato di aborti clandestini o autogestiti in Emilia Romagna, che cono rintracciabili in fasce marginali della popolazione quali le prostitute e le migranti in particolare dell'Est, categorie per le quali non solo nei paesi d'origine l'aborto rappresenta un vero e proprio sistema contraccettivo ma diventa anche più conveniente poiché gratuito, paragonato ai costi dei contraccettivi più diffusi, problema connesso alla necessità di un cambiamento delle politiche sanitarie, tematica estranea a tutti i dibattiti.
In conclusione gli interventi hanno sottolineato la negatività dei tentativi messi in campo di portare queste tematiche a livelli ideologici e la necessità del trattamento dell'aborto come un qualunque altro settore della pratica sanitaria.