Terremoto, militarizzazione e abbandono

Le verità su L'Aquila oltre la propaganda mediatica

Perchè l'ultimo cavallo di battaglia di Berlusconi può trasformarsi nel suo cavallo di Troia. Ripubblichiamo da SenzaSoste un quadro della situazione nel capoluogo abruzzese a quasi sei mesi dal sisma: una città disumanizzata, priva di luoghi di ritrovo, divisa tra chi si è cercato una soluzione autonoma, chi inizia ad abitare i palazzoni costruiti in tutta fretta a spese dello stato, chi vive in tendopoli inquietantemente simili a cerceri, dove non è riconosciuto nemmeno il diritto di riunirsi in assemblea
22 settembre 2009 - Alisia Cersole (SenzaSoste)

Militarizzata, spopolata, trafficata, disorganizzata, abbandonata, inascoltata, disinteressata: L'Aquila a 140 giorni dal sisma che il 6 aprile l'ha distrutta è questo e molto altro. A chi arriva dall'autostrada sembra che sia tutto al suo posto ma basta aspettare il buio per percepire il dramma in tutta la sua grandezza: una macchia nera abbraccia il centro della città nel quale i lampioni sono spenti dal 6 aprile. Mancano anche le luci delle abitazioni: al di là delle cifre diffuse dalla stampa, all'Aquila sono poche centinaia i cittadini rientrati in casa e ancora meno quelli che riescono a dormire al chiuso mentre le scosse continuano facendo registrare valori quasi sempre inferiori ai 3 gradi Richter ma che impressionano perché molto superficiali. Dati della Protezione civile alla mano sono ad oggi circa 19.000 le persone ospiti delle 133 tendopoli ancora aperte a quasi 5 mesi dal sisma (caso unico nella storia degli ultimi eventi sismici italiani), altrettante quelle ospitate negli alberghi sulla costa adriatica. 10 mila hanno optato per soluzioni autonome presso parenti o amici fuori dalla città o in case agibili. I restanti sono hanno trovato sistemazione presso abitazioni affittate dalla Protezione civile in altre province per lo più abruzzesi. Queste cifre non descrivono però la difficile situazione di una comunità che non ha più luoghi di ritrovo, abitudini, e possibilità di socializzazione, ma contengono i semi dei conflitti che stanno montando: da un lato i "deportati" sulla costa che lamentano la nostalgia per il suol natio, ma godono dei comfort di strutture attrezzate al costo di 47 euro giornalieri a persona, e dall'altro i "carcerati" delle tendopoli per i quali lo Stato sostiene una spesa di 25 euro al giorno pro capite, offrendo la possibilità di godere di temperature gelide dapprima e infernali in queste settimane, e trattandoli da sorvegliati speciali che non possono neanche riunirsi in assemblee spontanee, con un badge al collo per paura di infiltrazioni nei campi di pericolosi extracomunitari attirati dal fascino della vita in una tenda da 8 persone in cui convivono senza rispetto dei nuclei familiari né possibilità di intimità alcuna uomini e donne di qualsiasi età.

Che stiano in costa o in tendopoli, comunque, gli aquilani hanno tutti problemi simili: il lavoro e la scuola, ad esempio. Non sono ancora pronti dati definitivi sulla situazione delle imprese e delle attività commerciali e professionali, ma sono migliaia i lavoratori adesso in cassa integrazione che non torneranno a lavoro prima di gennaio 2010.
Fra gli autonomi chi poteva ha ricominciato in strutture di legno relativamente costose (non meno di 10 mila euro per una decina di metri quadrati) montate senza nessuna pianificazione. Per quanto riguarda le scuole, oltre il 60% degli edifici è risultato lesionato e non sicuro: molte le strutture alle quali si lavora, ma a pochi giorni dall'inizio delle lezioni ancora non si sa quali strutture saranno effettivamente pronte. Ancor peggio va agli universitari che si sono visti fino ad ora sballottati in sedi dislocate in Abruzzo, a volte difficili da raggiungere, e che adesso dovranno seguire corsi all'Aquila senza sapere se ci saranno per loro posti letto disponibili.

A rendere ancor più variegata la situazione ci sono amministratori locali che brancolano nel buio schiacciati dalla poderosa ed
efficientissima macchina della Protezione civile, giornalisti che hanno più o meno coscientemente rinunciato al diritto/dovere di cronaca e si limitano a un odioso copia-incolla dai comunicati che arrivano nelle redazioni di fortuna, piccoli proprietari immobiliari che hanno raddoppiato i prezzi degli affitti degli appartamenti agibili. Evitiamo il capitolo appalti affidati a ditte dal pedigree non purissimo, e non domandiamoci perché una stessa ditta partecipi ad una gara d'appalto con tre diversi preventivi.

Qualcosa che di buono però c'è: i comitati di cittadini, almeno una decina, nati dal basso e diretti al basso, che lavorano fra la gente (quando viene loro permesso di entrare nelle tendopoli per fare assemblee), che si incontrano e si gestiscono alla ricerca di una condivisione di intenti anche con i cittadini più sonnacchiosi; persone che tentano di capire, immaginare, creare relazioni in una comunità implosa, disgregata, che fatica a trovare un linguaggio comune, presa a immaginare una ricostruzione che non c'è. All'Aquila si è demandata la ricostruzione per avviare la costruzione ex novo di costosissimi nuovi quartieri, dislocati, non urbanisticamente contestualizzati, ad altissimo impatto ambientale e soprattutto insufficienti: per 50.000 sfollati a settembre saranno pronti circa 4.000 alloggi. Già è lotta fra i poveri per i criteri di assegnazione. Un detto aquilano dice che "All'Aquila ce stanno 11 mesi de friddu i unu de friscu": per quest'anno non sarà così. L'autunno aquilano sarà decisamente caldo.

Alisia Cersole
tratto da Senza Soste n.41