Sono 22 anni che Porretta, la cittadina termale dell’Appennino bolognese, si trasforma, nel mese di luglio, nella terra della “musica dell’anima”, chiamata così perché il soul, con i suoi ritmi sincopati, le sue voci grezze e i suoi fiati squillanti sprigiona rabbia e sensualità, gioia e dolore, orgoglio e passione.
La musica nera è nata nei campi di cotone, inizialmente erano canti di preghiera, poi è diventata canzone di protesta, nei quartieri neri, all'epoca di “I have a dream”. Oggi è rap, nel bronx.
La soul music è una particolare espressione della musica nera, che prese corpo agli inizi degli anni ’60 come un derivato del rhythm ‘n blues, nato a Memphis e nel delta del Mississippi, un fenomeno musicale caratterizzato da un forte legame con la fede e la musica religiosa gospel che al lamento malinconico delle campagne del sud aggiungeva il ritmo cosmopolita delle orchestre da ballo delle città, in coincidenza con le migrazioni dei neri del Sud verso i grandi agglomerati industriali di Chicago, Detroit, Kansas City, St Louis.
Quasi tutti i più grandi interpreti del soul sono stati anche leader religiosi, in alcuni casi veri predicatori come Salomon Burke e Al Green, in altri leader politici e religiosi come James Brown.
Fin dalla sua nascita, il soul è stato la colonna sonora della stagione dei diritti civili in America. La canzone del 1963, “A change is gonna come”, di Sam Cooke, è una delle testimonianze più importanti di un’era e di un genere musicale strettamente legati alle lotte per i diritti civili della popolazione nera contro la segregazione razzista. “A change is gonna come” divenne l’inno del movimento e il manifesto poetico della necessità “inevitabile” del cambiamento.
Quell’era del soul si interruppe bruscamente, dal punto di vista politico, con l’assassinio del reverendo Martin Luther King, il 4 aprile del 1968, a Memphis, otto mesi dopo la tragica scomparsa (in un oscuro incidente aereo) di Otis Redding.
E non è un caso quindi, se la sera dello scorso 4 novembre, più di quarant’anni dopo a Chicago, Barack Obama, abbia utilizzato come una frase del suo discorso un brano della canzone di Sam Cooke, ripresa poi dalle copertine dei settimanali: “It’s been a long time coming, but tonight, change has come to America”, “c’è voluto molto tempo, ma stasera, in America è arrivato il cambiamento”.
Tutta questa ampia premessa, per porre una domanda agli organizzatori del Porretta Soul Festival: “Che c’azzecca Roberto Maroni e il suo Distretto 51, con lo spirito, con il cuore e con la politicità della musica Soul?”
Sam Cooke, con la sua “A change is gonna come”, fornì la colonna sonora a Rosa Parks e alla sua battaglia contro la segregazione razziale, negli anni in cui, in Alabama, non era consentito sedersi nei posti dei bus riservati ai bianchi. Gli amici leghisti di Roberto Maroni, pochi mesi fa, hanno riproposto la segregazione razziale sugli autobus e sulla metropolitana di Milano, con posti riservati ai milanesi.
Ma c’è qualcosa ancora di più grave: Roberto Maroni, da ministro degli Interni del governo Berlusconi, ha dato il suo nome a una legge (il cosiddetto “Pacchetto Sicurezza”) al cui centro c’è l’equiparazione dello straniero clandestino a un criminale. Fra le altre cose, oltre la perla delle ronde cittadine, la legge prevede la tassa sul permesso di soggiorno, il permesso di soggiorno a punti, norme restrittive sui ricongiungimenti familiari e sui matrimoni misti, il carcere fino a 4 anni per gli irregolari che non rispettano l’ordine di espulsione e, infine, la proibizione per una donna clandestina che partorisce in ospedale di riconoscere il proprio figlio o di iscriverlo all’anagrafe.
Il commento del padre comboniano Alex Zanotelli dovrebbe farci riflettere tutti: “Mi vergogno di essere italiano e di essere cristiano. Non avrei mai pensato che un paese come l’Italia avrebbe potuto varare una legge così razzista e xenofoba. Questa legge è stata votata sull’onda lunga di un razzismo e di una xenofobia crescenti di cui la Lega Nord è la migliore espressione. Si tratta di una legislazione da apartheid che viene da lontano, di una cultura razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e dell’emarginazione”.
Ma c’è pure un’altra cosa: i Distretto 51 si descrivono come “una big band partita dal rock negli anni Ottanta e diventata col tempo un'enorme macchina da R&B e soul che fa il pienone a ogni concerto”. In realtà, altro non sono che una normale cover band, come ne esistono tante altre nel nostro paese, ma hanno il privilegio della visibilità di un Festival internazionale (anche se sono in molti a dubitare dei loro meriti musicali) solo perché uno dei suoi membri è un ministro padano della Repubblica italiana.
E a proposito di cover band, vorremmo ricordare che a New Orleans, considerata dai più l'anima nera, calda e soul dell'America, moltissimi locali propongono musica dal vivo fin dal mattino, e in tanti di questi campeggia la scritta "no cover", ovvero niente pezzi rifatti, solo musica improvvisata.
A questo punto, se esistesse un po’ di buon senso (cosa di cui dubitiamo), il Ministro Maroni dovrebbe quantomeno affrontare terapeuticamente la sua schizofrenia che lo porta ad essere appassionato di soul e di blues (cioè di generi musicali fortemente legati alla storia dei neri) e, al tempo stesso, uno dei leader più amati dal cosiddetto “popolo leghista”, composto da gente che non gradisce molto la presenza di neri e di immigrati del Sud del mondo. E’ la stessa schizofrenia che si trova molto di frequente e che fa apprezzare i neri solo se sono calciatori o musicisti. In secondo luogo Maroni, dovrebbe smettere di fare “canzoni degli altri” e cominciare a produrre brani di suo pugno, semmai lavorando agli arrangiamenti e forse anche ai testi delle belle canzoncine del suo amico Matteo Salvini (quello dei ritornelli anti-napoletani).
Un’ultima considerazione o se volete una domanda, rivolta agli organizzatori del Porretta Soul Festival: siete proprio sicuri che continuare a chiamare Maroni sia un elemento di “forte qualificazione” per il vostro bel festival? Dal punto di vista musicale nessuno si strapperebbe i capelli; dal punto di vista dell’immagine non sarebbe difficile trovare altre “anime” più adatte a rappresentare la “musica dell’anima”.