Uscito il nuovo numero di "Piazza Grande"

Sulla "paralisi" dei servizi sociali, Piazza Grande di luglio e agosto è in strada

La scorsa settimana CGIL, CISL e UIL hanno lanciato un'allarme sulla "paralisi" dei servizi sociali di Bologna dopo il decentramento degli ultimi mesi. Proprio a questo tema è dedicato il numero di Piazza Grande di questo mese.
13 luglio 2009 - Redazione Piazza Grande

Da quando è iniziata la riforma le persone che vivono in strada e che hanno bisogno di aiuto devono rivolgersi a nuovi uffici, sorti presso le sedi dei quartieri bolognesi. In questi uffici trovano personale che in buona parte non si è mai occupato di disagio sociale adulto e che deve decidere come e dove indirizzare le persone che chiedono aiuto. Inevitabile che in questi primi mesi possano verificarsi contrattempi e disfunzioni dovute all’inesperienza. Problemi che sono del tutto legittimi se si pensa che per imparare un nuovo mestiere occorre del tempo, ma che pesano molto se si pensa che vanno a incidere profondamente sulla vita di persone già in forti difficoltà. Nelle idee di chi ha studiato questa riforma, inoltre, la possibilità di entrare nei dormitori cittadini verrà riservata esclusivamente a chi ha già la residenza anagrafica a Bologna. Ne consegue che la maggior parte delle persone che si trovano in strada, che non hanno la residenza a Bologna o non ce l’hanno del tutto, non avranno possibilità di essere accolti nelle strutture pubbliche, a meno di non poter affrontare una lunga attesa. La riforma è partita da poco tempo, ed è ancora troppo presto per fare dei bilanci. Nel realizzare la nostra inchiesta abbiamo intervistato operatori, persone senza dimora e responsabili dei servizi sociali per capire quali sono le speranze e i timori che queste novità hanno portato.

> Il giornale in pdf

> Visita il sito di Piazza Grande

Dalla prima pagina:
"L’accoglienza possibile"

“Bologna è una città che non discrimina. Che utilizza tutte le proprie risorse per essere accogliente ed efficiente. In questo i quartieri hanno un ruolo fondamentale: penso che il modo migliore per realizzare la città metropolitana sia proprio questo. Partire dai servizi, specie quelli alla persona, e avvicinarli il più possibile alla vita quotidiana delle persone.”

Queste sono le parole con cui Flavio Del Bono, oggi sindaco di Bologna, solo candidato quando le pronunciava, ha risposto circa due mesi fa alla nostra domanda sul futuro dei servizi sociali e sulle politiche dell’accoglienza nella nostra città. In quella domanda, come in questo numero del giornale, poniamo l’accento sulla riforma dei servizi che ha prodotto i nuovi sportelli sociali territoriali, uno per ogni quartiere.

Ripartiamo allora dalle parole di Del Bono: “Bologna è una città che non discrimina…avvicinare il più possibile i servizi alla vita quotidiana delle persone”. Due posizioni che è difficile non condividere. Uno degli scopi del decentramento dei servizi sociali è senz’altro accorciare la distanza tra i cittadini in difficoltà e le istituzioni. Un intento meritevole e opportuno in un momento in cui il rischio di impoverimento può guadagnare fasce di popolazione nuove a questo genere di problemi.
Per le famiglie, i lavoratori improvvisamente disoccupati e per gli anziani, categoria già assistita dai quartieri, rivolgersi a un ufficio nelle vicinanze di casa e magari già conosciuto, è sicuramente un vantaggio. Oltretutto potrebbe aiutare a superare la comprensibile ritrosia a mostrare la propria condiziona di bisogno, fenomeno che si registra sempre più spesso e che ritarda gli interventi e impedisce la conoscenza delle reali dimensioni del problema.
Tutto bene quindi, ma qualche dubbio sorge se si mette in relazione il processo di decentramento con il primo assunto del nostro nuovo sindaco. Questo sistema farà ancora di Bologna una città che non discrimina? Lo sportello territoriale favorisce l’accesso all’utenza sopradescritta, ma cosa succederà alle persone che vivono in strada con una scarsa conoscenza del sistema di servizi?
La riforma non prevede soltanto il moltiplicarsi di sportelli, bensì rende necessario un doppio filtro (prima lo sportello poi l’assistente sociale) che valuterà i bisogni dell’utente e deciderà se e come soddisfarli. Nell’ottica della costruzione di percorsi articolati di uscita dal disagio. Il dubbio permane: per chi non passa attraverso il filtro, per chi ha bisogna di passare dalla strada a un tetto quali saranno le risorse disponibili?

Apprezzare questo approccio, non può far dimenticare che esiste un lavoro importante sulla riduzione del danno che tante realtà, Piazza Grande compresa, hanno praticato e continuano a praticare. L’arrivo di nuovi poveri, purtroppo, non ha eliminato i vecchi, non vorremmo che questi ultimi fossero semplicemente considerati come “persi”, persone sulle quali non vale la pena investire risorse.

Stabilire chi e come può accedere a una struttura di accoglienza o beneficiare in generale dell’assistenza sociale non è solo materia per burocrati e esperti del settore, ma è una questione politica a tutti gli effetti.

Questa prima raccolta di testimonianze e opinioni che presentiamo nel giornale arriva a soli due mesi dall’entrata a pieno regime della riforma; presto per fare bilanci, ma non per aprire finestre su quello che potrà succedere in futuro. Con un po’ di presunzione speriamo di fornire spunti di riflessioni al prossimo assessore alle politiche sociali.

di Leonardo Tancredi
leonardotancredi@gmail.com