C'era una volta un maledetto re che voleva far scomparire tutti i Rom perché avevano un'aria diversa dalla sua e da quella dei suoi parenti, perché parlavano in modo che lui non capiva, e questo lo faceva arrabbiare. Tuttavia, sterminare degli innocenti all'epoca moderna non è una bella cosa. Così il re decise di fare dei Rom dei criminali. Sterminare i criminali è tutt'altra cosa…”
Se esiste un’identità europea, un popolo senza altra patria che non sia il Continente, questo è il popolo rom, la minoranza più numerosa, gli “indiani”, dell’Unione Europea. Il lungo viaggio dei Rom ha inizio nel V secolo in India ed entra in un labirinto di discriminazione nell’Europa del XV secolo. Una cronistoria di cinquecento anni di persecuzioni che non hanno trovato epilogo nel “Porrajmos” nazi-fascista, ma che continuano nella nostra era.
Tra le carte di Norimberga, un solo paragrafo è dedicato al genocidio di Rom e Sinti , eppure gli zingari furono, non meno dei disabili, le cavie designate della follia nazista. Il “Porrajamos” (che in lingua Romani sta per distruzione, catastrofe, disastro) rappresenta l'olocausto zingaro: infatti dal 1940 al 1945 nei campi di sterminio e nell’Europa nazi-fascista vennero uccisi 500 mila zingari.
A Bologna, il 23 dicembre del 1990, due nomadi furono uccisi e almeno altri due rimasero feriti in un assalto a colpi di arma da fuoco contro un campo in via Gobetti. I morti furono Rodolfo Bellinati, 27 anni e Patrizia Della Santina di 34 anni. A restare ferite in maniera grave furono anche una bambina e una donna jugoslava.
Al campo di Via Gobetti vivevano in roulotte circa 250 nomadi emiliani e di origine slava. L'attentato non colpì solo gli zingari, ma era rivolto anche contro chi, in città, aveva aperto la discussione sulle possibili soluzioni abitative e di accoglienza per gli immigrati che facevano parte della prima consistente ondata di migrazione nei nostri territori. Quell'attentato seguì la logica di colpire i più deboli fra i deboli, ma "avvisava" anche chi tentava di affrontare le nuove questioni sociali della città.
Nel 2005, secondo il rapporto dell’Unione Europea, i Rom sono la popolazione più discriminata e più sottoposta ad atti di violenza razziale d’Europa.
Oggi nella Bologna delle "legalità" e delle ordinanze anti-manifestazioni si soffre ancora per abbandono e per freddo, oggi in una città che si vorrebbe "normalizzata" si continua con la logiche dello sgombero che producono altre sofferenze ed emergenze:
- 15 Novembre 2006: sgombero del campo di via Gobetti.
- 17 novembre 2006: incendio al campo di via Scandellara.
- 7 dicembre 2006: espulsione dal campo nomadi comunale di via della Volta di due famiglie serbe.
- 14 dicembre 2006: sgombero al casale di via Malvezza.
- 15 dicembre 2006: arrivano le lettere di sfratto a 5 famiglie serbe presenti nel campo profughi del Trebbo.
Alcuni sgomberi sono stati firmati dal Sindaco, altri dalla Procura della Repubblica, altri ancora dal direttore dei Servizi Sociali del Comune, ma la trama è quasi sempre la stessa: le deportazione di massa (alla vigilia dell’acquisizione, da parte degli immigrati rumeni, della cittadinanza europea), il foglio di via, il CPT, il carcere per chi non ha ottemperato ad un precedente decreto di espulsione.
Gli sgomberi creano situazioni di emergenza umanitaria e non risolvono alcun problema. Non si possono mettere per strada centinaia di persone, private di tutto ciò che possedevano, senza alcun luogo dove dormire, senza la possibilità di sfamarsi e provvedere alle proprie esigenze indispensabili, e disinteressarsene completamente.
Solo grazie all'intervento di volontari e associazioni il disastro sociale causato dagli sgomberi non si è trasformato in tragedia. Ma il volontariato non può essere la scialuppa di salvataggio quando le politiche "disincentivanti" dell'amministrazione comunale sono fatte a scapito della salute, della dignità e dei diritti di centinaia di persone.
Continuare a mentire, continuare a sostenere che i servizi sociali funzionano e che le persone sono state tutelate nei loro diritti inviolabili, serve solo a rendere più evidente a tutti che "il re è nudo".
Ma dopo Bologna, anche a Milano e a Roma le Polizie Municipali e quelle di Stato si sono travestite da Babbi Natale, ma, invece delle renne, sono arrivati con le benne a demolire furgoni e roulotte, sotto gli occhi disperati di poverissime famiglie, donne e bambini, che hanno visto distruggere senza pietà le loro dimore coi pochi averi.
Le responsabilità di questa "nuova tragedia umanitaria" non sono imputabili solo alla Giunta Cofferati. Vengono confermate delle direttive politiche dell'attuale governo nazionale che, fino ad ora sta rendendo operativi tutti gli aspetti più odiosi di una legge (che fino a qualche mese fa era definita razzista e xenofoba) come la Bossi Fini.
Non sono ancora visibili tracce concrete verso l’abrogazione di questa legge ignobile, ma anche le "modifiche migliorative" sembrano scomparse. E non stiamo parlando della chiusura dei CPT (che ormai vedremo nell'anno del mai), ma di provvedimenti che contrastino i processi di clandestinizzazione che la normativa in vigore produce.
Per tutte queste ragioni, proponiamo alle reti di movimento, alle associazioni di volontariato, alle Opere Nomadi del territorio nazionale, alle forze politiche della sinistra radicale, alle organizzazioni sindacali di partecipare
Sabato 23 dicembre alle ore 11,
nell'anniversario dell'assassinio dell'Uno Bianca,
davanti al cippo di via Gobetti (quartiere Navile)
alla manifestazione/presidio
- in solidarietà alle popolazioni rom, contro la violazione dei diritti e della dignità dei migranti,
- contro la politica degli sgomberi che spostano i problemi e li aggravano nella loro dimensione umana e sociale,
- per l'immediato allestimento di strutture adeguate a fronteggiare le emergenze ma anche a superarle, attraverso politiche non più repressive ma di inserimento e con lo stanziamento dei fondi necessari.
Oggi che la memoria potrebbe perdersi, riprendiamola per tornare a ragionare e lottare.