Questi Social Network sono in molti casi esattamente identiche ai loro "cugini buoni", ma con segno completamente opposto: non avere più amici, ma più nemici. Non messaggi "zuccherosi" come "cosa mi piace", "chi amo", "auli sono i miei amici più cari", ma acidi e rancorosi insulti.
Se un Facebook "ti aiuta a rimanere in contatto con le persone della tua vita", Hatebook, ad esempio, "hate everythings equally" ("odia tutto in egual modo): gli "hater" sono la nuova "cool underground identity" della Rete.
I Fucking Hate You, invece, funziona nel segno del "the enemy of my enemy, is my friend": l'obiettivo è, ovviamente, "odiare", con tanto di classifica generale degli utenti più odiati, ma anche cercare "amici" che odino con e come te.
Ad una immagine iper-socializzata di società (FaceBook e i Social Network "buonisti"), in cui prevalgono sempre i buoni sentimenti e i comportamenti massificati [razionalità mimetica - "gregariato" (Marazzi 2002)], si contrappone così un altro immaginario esattamente all'opposto: alla ricerca di modi per "giocare all'hater", per giungere all'"insulto più stiloso" oppure "più mortificante".
L' "hater", in realtà, è una figura già sperimentata, ad esempio, nel panorama hip hop: mc (cantanti) che con le loro rime si scagliano contro tutto e tutti, in particolare i loro "colleghi", primeggiando nell'insulto "creativo" e spesso in realtà cadendo in banali rime specchio di un becero maschilismo e falso machismo (per poi ritrovarsi a cena con il "nemico").
Costruzione di "alleanze tattiche" per convogliare l'odio verso il nemico ("the enemy of my enemy..."). Risultare antipatico come strumento di successo: ci aveva pensato anche uno come Fabbri Fibbra ("Io odio Fabbri Fibbra", il titolo dell'album che l'ha "consacrato al successo mediatico), tentando di costruirsi una carriera sulla figura di "antipatico", dovendo poi cedere al "buonismo" imperante: dal duettare con J-Ax, noto "sucker" milanese ad aprire i concerti di Mtv, ammiccando anche ai "grillini" in alcuni pezzi e interviste.
In fondo niente di rivoluzionario, niente di nuovo: come diceva già Debord, il "ribaltamento è solo uno strumento che, capovolgendo le docili sicurezze del senso comune, mira a creare uno shock che può far riflettere sulle strutture dello Spettacolo, e quindi portare ad una presa di coscienza della situazione".