Il comunicato dei COBAS di Palermo

Aggressione della polizia ai danni dei COBAS e del movimento di lotta antimafia [aggiornato]

La polizia carica il corteo in commemorazione della strage di Capaci, proprio davanti all'Albero di Falcone. I COBAS palermitani denunciano la criminalizzazione del movimento antimafia siciliano, proprio mentre la crisi economica aumenta il disagio sociale, fornendo nuovi spazi di consenso alle organizzazioni mafiose, con il silenzio colpevole delle istituzioni. Organizzazioni che, come si è visto recentemente con i casi di Parma e San Marino, allungano le loro propaggini economiche fino nel cuore dell'Emilia-Romagna.
25 maggio 2009 - redazione

 

Contributi e comunicati aggiornati:

I FATTI
Verso le 17, in via Notarbartolo, davanti al palco per la celebrazione dell'anniversario della strage di Capaci, i
Cobas hanno steso sull'inferriata di un cancelloil loro storico (ha sulle spalle 16 anni di servizio) striscione LA MAFIARINGRAZIA LO STATO PER LA MORTE DELLA SCUOLA. Qualcuno (non sappiamo se tra gli organizzatori della Fondazione Falcone o - come suggerisce qualche poliziotto - uno dei tanti capataz presenti) ordina perentoriamente alla polizia di far togliere lo striscione. La Digos ci intima di togliere lo striscione. Lo striscione viene mantenuto al suo posto.
Allora una ventina di energumeni in vestito nero e cravatta, senza alcun contrassegno che ne dimostrasse l'appartenenza alla Polizia hanno preso a staccare il lungo striscione (almeno 7-8 metri).
Numerosi attivisti dei Cobas e del movimento antagonista palermitano, che si erano schierati davanti allo striscione, hanno cercato di contrastare l'azione del manipolo in grisaglia. La resistenza dei compagni si è
limitata a tener lo striscione, che veniva tirato via da provocatori sconosciuti, e ad urlare VERGOGNA.
Nella confusione, un compagno dei Cobas finisce a terra, per fortuna, senza gravi conseguenze e per poco gli uomini in nero non vanno a ribaltare una carrozzina con un bambino sopra. La protesta monta, il coro VERGOGNA sovrasta le voci amplificate del palco, operatori e fotografi riprendono. Conquistato il nostro striscione, gli uomini in nero si disperdono tra i manifestanti. Ma non bastava rimuovere lo striscione, occorreva dare anche una lezione: così gli uomini in nero fermano una docente dei Cobas, nota alla Digos perché è lei che solitamente va in questura a chiedere le autorizzazioni; altri due compagni dei Cobas, accortisi dell'assenza della compagna fermata, vanno a cercarla una di traverse più in là e sono fermati anche loro. I tre vengono portati in questura, dove giungono prontamente anche alcune di decine di compagni del movimento antagonista e tre avvocati che la polizia non fa entrare. Ai fermati viene notificato un verbale della Digos in cui si ipotizzano tre capi d'accusa: vilipendio allo stato,manifestazione non autorizzata e resistenza alle forze dell'ordine. Verso le 20 i tre fermati escono dalla questura.

LE CONSIDERAZIONI

I motivi di questa azione repressiva vanno ricercati nella stretta autoritaria del regime berlusconiano contro l'opposizione sociale come recentemente avvenuto a Torino in ben due occasioni: la protesta degli operai di Pomigliano e la manifestazione degli studenti universitari.
La rimozione dello striscione è stata solo una scusa, nella manifestazione circolavano numerosi altri striscioni e cartelli non proprio allineati al clima "volemose bene": "Via D'Amelio strage di stato", contro il lodo Alfano, ecc.
Le accuse ai tre fermati mosse sono iper-pretestuose:

- Siamo stati attaccati da uomini in nero che non sapevamo chi fossero; davanti allo striscione eravamo una ventina di persone che ci siamo visti attaccare da perfetti maneschi sconosciuti; personalmente ho visto il
primo distintivo da poliziotto solo una mezz'ora dopo i fatti. Come detto ci siamo limitati a un tiro alla fune per tenerci il nostro striscione. Valuteremo con gli avvocati se ci sono gli estremi per denunciare la prepotenza degli uomini in nero.

- La denuncia per manifestazione non autorizzata è risibile: partecipavamo a una manifestazione con tanto di presenze istituzionali. La denuncia appare ancora più strampalata quando colpisce 3 persone che da sole hanno tenuto una manifestazione non autorizzata!

- L'accusa di vilipendio allo stato mostra che la scarsa
dimestichezza dei questurini con la lingua italiana.

- L'accusa di violenza fa parte del tradizionale strumentario inquisitorio contro gli attivisti politici. Le numerose riprese video delle tv presenti e della polizia stessa possono dimostrare chi ha fatto violenza.

Nonostante ciò, ci ritroviamo con l'ennesimo atto intimidatorio da parte della questura contro il movimento antagonista palermitano. Ne ricordiamo uno per tutti, l'ostinata persecuzione nei confronti di Pietro Milazzo. Sull'altro versante registriamo la puntuale e confortante solidarietà del movimento antagonista palermitano che si è dato appuntamento per un'assemblea cittadina martedì 26 maggio alle ore 19:00 al Laboratorio Zeta(centro sociale sotto minaccia di sgombero),in via Arrigo Boito, sui temi del pacchetto sicurezza e delle misure repressive che prefettura e questura di Palermo da troppo tempo attuano contro chi si azzarda a rivendicare diritti.

Carmelo Lucchesi- COBAS Scuola Palermo

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PALERMO 23 MAGGIO - SI LIMITA LA LIBERTA' DI MANIFESTAZIONE.

1. Con la "Direttiva del Ministro per le manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili", del 26 gennaio 2009, si impartivano ai questori istruzioni precise per regolare le manifestazioni in luogo pubblico. Secondo questa direttiva " il diritto costituzionalmente garantito di riunirsi e manifestare liberamente in luogo pubblico costituisce espressione fondamentale della vita democratica e come tale va preservato e tutelato. L'esercizio di tale diritto deve tuttavia svolgersi nel rispetto di altri diritti costituzionalmente garantiti e delle norme che disciplinano l'ordinato svolgimento della convivenza civile. La frequenza di manifestazioni determina non di rado, nella complessa realtà dei centri urbani di maggiori dimensioni, criticità nell'ordinato svolgersi della vita cittadina tali da limitare, condizionandoli, i più comuni diritti dei cittadini come ad esempio il diritto allo studio, il diritto al lavoro e il diritto alla mobilità. E' necessario quindi intervenire sulla disciplina esistente, adeguandola alle nuove esigenze. La necessità di un tale intervento è ancor più evidente in ragione del fatto che le iniziative si ripetono e si concentrano, per ricercare la massima visibilità, nelle maggiori città, luoghi privilegiati della rappresentanza istituzionale e politica. In ogni caso è importante che la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza siano sempre resi compatibili con il diritto di riunione e con la libertà di manifestazione del pensiero"
Nella direttiva si ricorda come l'art. 17 della Costituzione riconosca ai cittadini il diritto di riunione, purché sia pacifico e senza armi. Si aggiunge poi che "per le riunioni in luogo pubblico è previsto l'obbligo di preavviso alle autorità che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Il ministro dell'interno richiama poi "il disposto dell'art. 18 del TULPS che sancisce l'obbligo, in capo ai promotori, di preavviso al Questore almeno tre giorni prima. Il quarto comma prevede che il Questore possa, in caso di omesso avviso o per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica, impedire che la riunione abbia luogo o prescrivere modalità di tempo e di luogo della riunione".
La direttiva, emanata dal ministro Maroni "ai sensi dell'articolo 1, della Legge n. 121, del 1° aprile 1981", contiene l'invito ai Prefetti a stabilire regole - d'intesa con i Sindaci - e sentito il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, per:
1. sottrarre alcune aree alle manifestazioni;
2. prevedere, ove necessario, forme di garanzia per gli eventuali danni;
3. prevedere altre indicazioni per lo svolgimento delle manifestazioni.
 Tali determinazioni (da condividere il più possibile con le forze politiche e sociali) troveranno forma in un apposito provvedimento del Prefetto, inizialmente anche in forma sperimentale".
Gli effetti della direttiva si sono avvertiti in tutta Italia, dalle manifestazione degli operai per la difesa del posto di lavoro alle lotte degli studenti e dei docenti contro la privatizzazione della scuola e della università. In qualche caso si è andato ancora oltre, come a Milano dove ad alcuni rifugiati politici che manifestavano per il riconoscimento dei loro diritti è stato imposto di ritornare davanti alla commissione competente per l'esame delle richieste di asilo, con il concreto pericolo di revoca del loro status, e quindi di espulsione, al di là da quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra e dalle direttive comunitarie in materia di revoca dello status di rifugiato. Ovunque le "zone rosse" si sono moltiplicate a dismisura, con decisioni unilaterali delle autorità amministrative che hanno contribuito ad una estremizzazione del conflitto sociale, con cariche di polizia in assetto antisommossa ed un uso generalizzato di manganelli e fumogeni. Si sono moltiplicati i casi di denuncia per resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata.
2. A Palermo, durante alcune manifestazioni svoltesi davanti alla prefettura nel corso dell'inverno è stato persino impedito di sostare sul marciapiede antistante l'ingresso degli uffici di questura, di attraversare la strada in gruppi sulle strisce pedonali, di esporre striscioni sulla cancellata della prefettura. Si è arrivati alla notifica di un "avviso orale" per intimare a Pietro Milazzo, sindacalista ed esponente delle battaglie sociali più importanti che si sono combattute a Palermo negli ultimi anni, una condotta più consona all'esigenza di non turbare la quiete sociale, mentre in tutta la città dilaga una illegalità diffusa che neppure il coraggio di pochi ( che si oppongono) e i successi di alcune operazioni di polizia riescono ad arginare.
Sempre a Palermo, sabato 23 maggio, durante la commemorazione del diciassettesimo anniversario della strage di Capaci, davanti all'albero Falcone in via Notarbartolo, alcuni agenti di polizia hanno fermato e trasferito in questura tre lavoratori dei Cobas che esponevano uno striscione presente da anni in tutte le manifestazioni antimafia, con la scritta " LA MAFIA RINGRANZIA LO STATO PER LA MORTE DELLA SCUOLA". Uno slogan- secondo quanto riferito in un comunicato dei COBAS- che evidentemente vuole sottolineare come la lotta alla mafia deve essere condotta, oltre che sul livello repressivo, anche su quello del miglioramento delle condizioni socio-economiche di una larga parte di popolazione che diviene il bacino di arruolamento e di consenso all'agire malavitoso. "Da questo assunto la necessità di un intervento dello Stato verso la garanzia di dignitose condizioni di vita per tutti i cittadini da garantire con un'offerta di servizi sociali (scuola, sanità, trasporti, ecc.), di lavoro o di un reddito minimo garantito".

I tre rappresentanti dei COBAS accompagnati in questura nel pomeriggio di sabato 23 maggio sono stati denunciati per vilipendio allo Stato, resistenza a pubblico ufficiale e per manifestazione non autorizzata, mentre altri gruppi che esponevano striscioni contro i depistaggi nelle inchieste sulle stragi di mafia, o contro il pacchetto sicurezza e le misure annunciate contro i migranti, potevano continuare ad esporre i loro striscioni fino alla fine della manifestazione. Evidentemente lo striscione dei COBAS toccava un nervo scoperto degli organizzatori e dei rappresentanti istituzionali, dopo che nella mattinata, caratterizzata da frequenti richiami al nesso tra la scuola e la legalità, diversi ministri tra i quali Maroni e la Gelmini avevano caratterizzato con la loro presenza le manifestazioni ufficiali, alla presenza del Capo dello Stato. Sembrerebbe che l'invito a far ritirare lo striscione dei COBAS sia pervenuto alla polizia dall'associazione della sorella del giudice Falcone, che aveva richiesto le autorizzazioni per la manifestazione. Una manifestazione che non era soltanto commemorativa, neppure nelle intenzioni degli organizzatori, e che è stata ritenuta, da qualcuno, come appannaggio esclusivo di chi la aveva promossa, puntando proprio sul tema della legalità e della scuola, come confermato dalla presenza organizzata di centinaia di giovanissimi studenti fatti arrivare da diverse parti d'Italia.

La memoria delle vittime della mafia, nel doveroso rispetto del dolore dei congiunti delle vittime, non appartiene a gruppi privati ma fa parte della memoria collettiva di tutti i cittadini palermitani, che in passato hanno partecipato, a centinaia di migliaia, alle diverse manifestazioni antimafia con striscioni ben più determinati contro la presenza della mafia e dei suoi favoreggiatori nelle istituzioni. Anche quando negli anni '90 si erano attaccati i vertici della polizia e dei servizi segreti. Basterà scorrere i giornali ed i libri di storia per verificare come in passato, durante le manifestazioni in onore dei giudici uccisi e delle loro scorte, gli striscioni erano ancora più polemici nei confronti delle istituzioni e dello stato, di quello esposto ieri dai rappresentanti dei Cobas.
Qualcuno, piuttosto che puntare il dito contro chi esprime un legittimo dissenso, dovrebbe interrogarsi perché oggi alle manifestazioni antimafia partecipano esclusivamente i rappresentanti istituzionali, gli "addetti ai lavori" e le loro scorte, e solo alcuni soggetti sociali come gli alunni delle scuole specificamente invitati ed organizzati. E' venuta meno la partecipazione spontanea dei cittadini, e quando questa si esprime sembra non trovare spazio per esprimere il proprio dissenso.

La presenza pacifica di un piccolo gruppo di manifestanti, sotto uno striscione non gradito agli organizzatori, è bastata a fare contestare i reati di manifestazione non organizzata e di vilipendio allo Stato, come se esprimere il proprio diritto di critica verso chi vorrebbe gestire le istituzioni dello stato come una azienda privata, attaccando la indipendenza della magistratura, la libertà di informazione e i diritti di libertà per imporre politiche antisociali nella scuola, nel mondo del lavoro e in tutti gli altri comparti della nostra società, potesse diventare un fatto penalmente perseguibile a discrezione di qualche associazione o di alcuni agenti di polizia.

Appare evidente come si sia voluto "difendere" in questo modo la trasformazione della manifestazione del 23 maggio in una parata ufficiale, reprimendo pacifiche manifestazioni di dissenso sociale che denunciano, proprio nel settore dell'istruzione, le scelte tendenti alla privatizzazione come un regalo alle mafie che alimentano il proprio consenso sulla ignoranza e sul cattivo funzionamento della scuola pubblica, mentre i figli dei ceti più abbienti, e della borghesia para-mafiosa, possono studiare nelle scuole private ed anche all'estero. Il processo di privatizzazione, condannando al dissesto la scuola pubblica, abbatte uno degli argini più importanti che in questi anni sono stati alzati con uno sforzo enorme da migliaia di insegnanti, in gran parte precari, che, quartiere per quartiere, si sono battuti contro la "mafiosità" quotidiana. Una battaglia che è stata anche la battaglia degli esponenti dei COBAS fermati dalla polizia, condotti in questura e denunciati per gravi reati, solo perché volevano manifestare con uno striscione richiamandosi a questa loro, e nostra, battaglia quotidiana contro la mentalità mafiosa e l'aperto consenso verso la mafia che dilaga, come confermano recenti inchieste, nelle scuole di ogni ordine e grado.

La riduzione del numero delle classi, l'aumento degli alunni per ciascuna classe e il licenziamento di quasi sessantamila insegnati, come hanno denunciato i COBAS, "dequalifica la scuola, crea disagio sociale e dà elementi alla mafia per conquistare i giovani emarginati del meridione". Questo messaggio, riassunto nella frase contenuta nello striscione incriminato, non è stato ritenuto "tollerabile" da chi ha impartito l'ordine di sequestrare lo striscione e di fermare i tre lavoratori della scuola che lo sostenevano, accusati addirittura di avere organizzato una manifestazione non autorizzata all'interno della manifestazione commemorativa del giudice Falcone, della moglie e degli agenti della scorta. Come se esporre uno striscione non gradito agli organizzatori configurasse automaticamente la violazione del divieto di manifestazione non autorizzata. Una concezione assai preoccupante della democrazia e dell'ordine pubblico.

3. Quanto successo a Palermo costituisce una conferma ulteriore, se mai ve ne fosse ancora bisogno, della svolta autoritaria in corso in Italia, come confermato anche dalle norme contenute nel recente disegno di legge sulla sicurezza, che precarizza i migranti, ma colpisce anche direttamente tutte le fasce più deboli della popolazione italiana, con la nuova normativa sulla residenza e la idoneità degli alloggi. Si tende a criminalizzare non solo gli immigrati irregolari ma anche tutte le aree del dissenso sociale.
Si reintroduce il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, un reato tipico del codice penale fascista, dopo che era stato abrogato, anche per effetto di sentenze della Corte Costituzionale, e lo si prevede con una sanzione ancora più grave di quella stabilita in precedenza con la reclusione fino a tre anni. Un ipotesi che, come osservano gli studiosi (Cognini) "verrà usata facilmente dentro contesti di conflittualità sociale che si possono determinare nei prossimi mesi. La stessa cosa possiamo dire anche in riferimento agli aggravamenti che riguardano il reato di danneggiamento, che andranno quindi a colpire comportamenti sociali diffusi, cose di scarsissimo allarme sociale come possono essere la semplice scritta o il disegno su un muro, che non rappresenta certo pericolosità e non configura nessun elemento di rischio, ma che viene punito pesantemente proprio per quello che rappresenta il gesto, per il significato o il contenuto di una scritta. Lo stesso vale per l'imbrattamento o il deturpamento".
Un altro aspetto di forte preoccupazione, che si sottolinea, "riguarda poi una specifica aggravante che verrà contestata a chi commette un reato con la partecipazione di soggetti minorenni. In precedenza l'aggravante riguardava il fatto di commettere un reato avvalendosi di minori e quindi presupponeva un comportamento attivo, l'utilizzo di un minorenne. Questa parte viene modificata e l'aggravante diventa il solo fatto che il reato venga commesso in un contesto in cui sono presenti soggetti minorenni. E questo non ha nulla a che vedere con una maggiore tutela, ovviamente legittima, dei minori Se pensiamo per esempio all'invasione di edifici, a tutte quelle forme di riappropriazione di spazi pubblici che passano attraverso le occupazioni, ci rendiamo conto come l'aggravante possa essere facilmente utilizzata. Ci sono infatti fenomeni sociali di rivendicazione di diritti e di extra-legalità che, fisiologicamente, per composizione sociale, comprendono soggetti maggiorenni e minorenni, sui quali sarà applicata l'aggravante di reato" ( Cognini).
Esiste una continuità diretta tra le decisioni del ministro dell'interno, le scelte antisociali del governo, le prassi delle forze di polizia, l'obiettivo comune è la cancellazione di ogni forza organizzata di dissenso sociale. Si vuole mantenere ed accrescere la divisione tra le forze di opposizione, sulla base del consueto paradigma che definisce violenta e contro le istituzioni qualsiasi posizione di protesta che non si piega ad un compromesso finale o alla logica dei rapporti di forza esistenti. Una violenza, individuata anche in una presunta resistenza, che cessa di essere ipotesi di responsabilità individuale, che andrebbe comunque accertata in sede giurisdizionale, per trasformarsi in responsabilità collettiva e quindi nella delegittimazione preventiva di intere organizzazioni o di gruppi che praticano il conflitto sociale, ieri la CGIL, oggi i COBAS ed i centri sociali, domani non si sa chi.
Il rischio alla fine è che le nuove disposizioni di legge, anticipate dalle prassi di polizia, e gli apparati di controllo sociale e di riproduzione dei consensi, orientino l'opinione pubblica verso allarmi fasulli, verso una falsa sensazione di (in)sicurezza, nascondendo anche l'evidenza dei fatti e la violazione sostanziale delle regole e del sistema delle libertà e delle garanzie, che caratterizzano lo "stato di diritto" sancito dalla Costituzione. Quanto ci rimane oggi dello stato di diritto, e cosa può fare ciascuno per difendere le residue prospettive di democrazia e libertà? Come salvaguardare in futuro il diritto al dissenso e la libertà di manifestazione? Come si potrà battere la mafia se non si potrà combattere per la garanzia dei diritti sociali, come il diritto alla istruzione pubblica ? Interrogativi che ieri, in tanti si ponevano a Palermo, durante la commemorazione del giudice Falcone, mentre i tre esponenti dei Cobas venivano portati via dalla polizia per avere esposto uno striscione non gradito. Qualcuno pensava anche a "manifestazioni non autorizzate" alle quali aveva partecipato in passato. Come dopo la strage di via D'Amelio, nella quale vennero trucidati il giudice Borsellino e gli agenti della sua scorta. Un corteo spontaneo di cittadini e poliziotti, in via Roma, verso la Prefettura di Palermo, con le mani appoggiate sulle macchine della polizia con i lampeggianti accesi.

Fulvio Vassallo Paleologo - Università di Palermo

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Segnalato da SenzaSoste

Sabato 23 maggio 2009 in via Notarbartolo a Palermo, durante la commemorazione del diciassettesimo anniversario della strage di Capaci, proprio davanti all'albero Falcone decine di agenti di polizia hanno aggredito i lavoratori dei COBAS che mostravano lo storico striscione che da sedici anni viene portato a tutte le manifestazioni antimafia con su scritto:

"LA MAFIA RINGRAZIA LO STATO PER LA MORTE DELLA SCUOLA".

Lo striscione al centro della contesa tra manifestanti e polizia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uno slogan che evidentemente vuole sottolineare come la lotta alla mafia deve essere condotta, oltre che sul livello repressivo, anche su quello del miglioramento delle condizioni socio-economiche di una larga parte di popolazione che diviene il bacino di arruolamento e di consenso all'agire malavitoso. Da questo assunto la necessità di un intervento dello Stato verso la garanzia di dignitose condizioni di vita per tutti i cittadini da garantire con un'offerta di servizi sociali (scuola, sanità, trasporti, ecc.), di lavoro o di un reddito minimo garantito.

L'azione esemplare di Peppino Impastato è alla base del movimento di lotta antimafia, che confligge con l'antimafia di maniera che vede con simpatia lo sventolio delle bandiere di Azione Giovani d'avanti all'albero Falcone e aborrisce lo striscione dei COBAS.

Ben sappiamo che antimafia è lotta sociale e non può scendere a compromessi con le forze più retrive della società che da sempre sostengono e foraggiano il sistema clientelare e mafioso.

Impastato, Pio La Torre, Terranova, Placido Rizzotto e le tante decine di martiri antimafia ci hanno insegnato questo.

Presumiamo che ai notabili dell'antimafia di facciata questo possa dare fastidio perché mette in evidenza l'uso opportunista e di facciata della bandiera antimafia da parte di costoro.

Le forze del disordine nel sequestrare violentemente lo storico striscione antimafia hanno fermato e condotto in questura tre esponenti dei COBAS, i quali sono stati rilasciati in tarda serata.

La violenta reazione delle "forze del disordine" è in perfetta linea con i comportamenti dettati dal "pacchetto sicurezza" già sperimentati contro gli operai di Pomigliano d'Arco in lotta per il lavoro e contro gli studenti dell'Onda a Torino in lotta per la difesa dell'istruzione pubblica.

Mettere l'accento sul fatto che il taglio delle classi, l'aumento degli alunni per classe e il licenziamento di quasi sessantamila insegnati dequalifica la scuola, crea disagio sociale e fornisce sempre nuovi argomenti alla mafia per conquistare i giovani emarginati del meridione per le "forze del disordine" è un atto non tollerabile.

Questo Governo ha bisogno di mettere a tacere la vera opposizione sociale per fare digerire il costo della crisi ai ceti popolari.

Criminalizzare i COBAS, il sindacalismo di base, l'opposizione sociale serve per fare digerire in modo indolore le amare pillole della recessione e lo spostamento dei capitali pubblici dal sociale alle banche e alle imprese.

Infatti, imprese come la FIAT impiegano i capitali pubblici per fondare un impero dell'auto facendone pagare il costo agli italiani ed agli operai di Termini e di Pomigliano.

Palermo 23/05/2009

Esecutivo Nazionale della Confederazione COBAS

 

L'Albero di Falcone

L'Albero di Falcone è diventato uno dei simboli della lotta contro la mafia che finalmente mette radici e sopravvive nel tempo ai lutti causati dalle cosche. Un vero e proprio "monumento naturale", si tratta di un albero cresciuto davanti alla casa del giudice antimafia, ucciso insieme alla moglie e ai membri della sua scorta nella strage di Capaci. Negli ultimi anni è diventato un luogo simbolo, anche per la presenza di numerosi messaggi di speranza e di voglia di lottare contro tutte le mafie e le ingiustizie.

La Fondazione "Giovanni e Francesca Falcone" (in memoria dei coniugi uccisi), sul suo sito promuove la possibilità di inviare messaggi da "mettere sull'Albero".