Dal 27 febbraio all'1 marzo'09, sul palco del teatro Dehon

Sacco e Vanzetti

La storia dei due anarchici italiani ingiustamente condannati a morte, portata in scena da Giancarlo Brancale. "Mi dichiaro innocente. Non ho mai derubato o ucciso nessuno, Ho sempre combattuto lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Una frase, una frase mi torna sempre alla mente: ‘Lei signor Vanzetti è venuto qui nel paese di bengodi per arricchirsi'. Una frase che mi dà allegria: Io non ho mai pensato di arricchirmi. Non è questa la ragione per cui sto soffrendo e pagando. Sto soffrendo e pagando per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo e pagando perché sono anarchico, e mi sun anarchic".
27 febbraio 2009 - Gracco

saco e vanzetti

La storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti è la storia di due italiani che come tanti agli inizi del secolo scorso lasciarono il loro paese per cercare fortuna oltremare. Tuttavia Sacco e Vanzetti non sono due immigrati qualsiasi e i loro nomi sono diventati famosi in tutto il mondo a causa della loro tragica vicenda: la storia di quello che un po' eufemisticamente potremmo chiamare un "errore giudiziario", dettato dal clima di razzismo e paura che in quel periodo invadeva gli Stati Uniti. Nell'undici settembre del 1920 Sacco e Vanzetti, attivisti anarchici, furono arrestati a Boston con l'accusa di aver preso parte ad una rapina in un calzaturificio a South Braintree, nel corso della quale due uomini furono assassinati. Dopo pochi mesi fu chiaro a tutti che quello che si stava svolgendo era un processo contro due immigrati anarchici più che contro due ladri di calzaturifici. I pregiudizi della corte si fecero sempre più evidenti e a nulla valsero le prove presentate dagli avvocati difensori per dimostrare l'innocenza degli imputati. Nemmeno la confessione di un altro condannato a morte che affermava di aver partecipato personalmente alla rapina di South Braintree, bastò alla corte per riaprire il processo e modificare una sentenza già scritta da tempo. Sacco e Vanzetti non erano più due semplici ladri, per i quali un atto di clemenza forse sarebbe stato possibile; le proteste a loro sostegno scatenatesi in tutto il mondo li avevano resi due simboli. Ad essere condannati non erano due ladri e assassini ma due immigrati, per di più anarchici. Come disse lo stesso Bartolomeo Vanzetti, prendendo la parola poco prima di ascoltare la sentenza che nell'agosto del 1927 lo avrebbe mandato alla sedia elettrica: "Mi dichiaro innocente. Non ho mai derubato o ucciso nessuno, Ho sempre combattuto lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Una frase, una frase mi torna sempre alla mente: ‘Lei signor Vanzetti è venuto qui nel paese di bengodi per arricchirsi'. Una frase che mi dà allegria: Io non ho mai pensato di arricchirmi. Non è questa la ragione per cui sto soffrendo e pagando. Sto soffrendo e pagando per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo e pagando perché sono anarchico, e mi sun anarchic. Sono italiano... e io sono italiano. Ma sono così convinto di essere nel giusto, che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte e io per due volte potessi rinascere, rivivrei per fare esattamente le stesse cose che ho fatto".

Questa è la tragica storia di Sacco e Vanzetti, portata in scena dal regista Giancarlo Brancale, in scena dal ventisette febbraio al primo  marzo al Teatro Dehon di Bologna. Brancale sceglie di raccontare questa storia concentrandosi soprattutto sull'aspetto umano dei protagonisti; su Nicola e Bartolomeo come uomini che arrivano in America lasciandosi alle spalle il proprio paese, i propri ricordi, la propria vita, trovandosi in un paese estraneo... soli. La solitudine dei due protagonisti emerge con forza durante tutto lo spettacolo: sono soli quando scendono dalla nave con cui hanno attraversato l'oceano, saranno soli qualche anno più tardi, quando in un'aula di tribunale saranno condannati a morte per un delitto mai commesso. L'autore sceglie di dare un particolare risalto anche alla dimensione dell'immigrazione; vi è una scena in cui persone provenienti da tutta Italia aspettano sulla nave di arrivare a destinazione, e parlano di ciò che li aspetta: del sogno di una terra promessa che pare quasi leggendaria, dei dubbi e delle paure che li avvolge ma che si tramuta in gioia alla vista della Statua della Libertà all'orizzonte.

E' proprio questa scelta di dar risalto al momento dell'arrivo in una terra straniera che rende di assoluta attualità questo spettacolo. Certo è difficile non emozionarsi, non sentirsi coinvolti emotivamente dinanzi alla tragica ingiustizia subita da due connazionali, seppur in un tempo lontano al di là dell'oceano; ma ancor più difficile è non vedere quanto il clima in cui tale tragedia si consuma, sia tristemente simile a quello che da qualche tempo si respira nel nostro paese. "Errori" giudiziari di questo tipo sono piuttosto frequenti nel nostro paese, e se non hanno lo stesso epilogo del caso di Sacco e Vanzetti è solo perché almeno la pena di morte in Italia non esiste più da tempo, nonostante le richieste avanzate da numerosi nostalgici della giustizia di ferro. Di immigrati condannati ingiustamente, senza alcuna colpa se non quella della loro condizione sociale, ce ne sono stati tanti e presumibilmente ce ne saranno ancora; ma le loro storie non affollano le prime pagine dei giornali, non richiedono edizioni straordinarie dei Tg né ronde di cittadini volenterosi per difendere i loro diritti e la loro sicurezza. E' sconcertante la capacità di un popolo di chiudere gli occhi dinanzi a episodi di razzismo ormai quotidiani, di cancellare dalla propria memoria collettiva le sofferenze provocate da un senso comune che vede come un reietto della società, come un emarginato,  come un criminale un qualsiasi immigrato, e di provocare lo stesso tipo di sofferenze alla gente che oggi arriva nel nostro paese con gli stessi sogni, le stesse speranze e le stesse paure che i nostri antenati si portavano dietro quando lasciavano l'Italia per cercare fortuna all'estero.

Uno spettacolo dunque che fa riflette, che costringe lo spettatore a riaprire delle ferite ormai rimarginate, ma di cui è essenziale conoscere il dolore; che cerca di non far cadere nel vuoto le parole che Bartolomeo  Vanzetti pronunciò in tribunale prima di essere giustiziato: "Quando le sue ossa, signor Thayer, non saranno che polvere, e i vostri nomi, le vostre istituzioni, non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il suo nome - il nome di Nicola Sacco - sarà ancora vivo nel cuore della gente. Noi dobbiamo ringraziarvi. Senza di voi saremmo morti come due poveri sfruttati: un buon calzolaio, un bravo pescivendolo... E mai, in tutta la nostra vita, avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione fra gli uomini...


> info: teatrodehon