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GB, la guerra tra poveri

Pubblichiamo una riflessione, del blogger Mazzetta, sulla questione delle proteste degli operai inglesi contro l'impiego di lavoratori italiani in Inghilterra
3 febbraio 2009 - Mazzetta

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Gli operai che in Gran Bretagna stanno protestando contro l'impiego di lavoratori italiani e portoghesi sul suolo britannico, forse mancano d'intelligenza e d’informazioni fondamentali, così reagiscono quasi alla cieca di fronte alla crisi e puntano quello che hanno sotto mano: lavoratori come loro, che ritengono dovrebbero cedere il passo e il lavoro sulla base di un'inesistente diritto di precedenza per i locali. Oppure più banalmente esercitano il potere della loro aggregazione su quello che hanno a portata di mano, in fin dei conti in Gran Bretagna lavorano milioni di non-britannici senza destare scandalo. La loro pretesa è comunque assurda da qualunque parte si provi a girarla e sarebbe assurda in qualsiasi paese, in tempo di crisi come in tempo di vacche grasse; ma diventa puro autolesionismo quando provoca una paradossale guerra tra poveri in un momento nel quale la crisi è in tutta evidenza responsabilità dei ricchi e delle élite. Anche nel nostro paese qualcuno ha già pensato di risolvere la disoccupazione cacciando i non italiani.

Quello che nel mondo anglosassone si chiama “blame game”, il gioco della colpa, vede per ora vincitori proprio i responsabili della crisi e non solo in Gran Bretagna. Dagli Stati Uniti all'Italia non sono ancora cadute teste eccellenti, nessuno si è assunto pubblicamente le responsabilità del disastro, mentre le classi dirigenti stanno organizzando piani destinati primariamente a salvare il sistema che garantisce loro privilegi, piuttosto che a cercare di lenire i morsi della crisi su miliardi di persone che hanno la sola colpa di aver cercato di vivere, o sopravvivere, credendo che bastasse lavorare onestamente per garantire un futuro privo di stenti alla propria famiglia. Solo nella minuscola Islanda la reazione dei cittadini ha fatto cadere il governo, ma nemmeno là gli eventi hanno originato la minima autocritica tra la classe dirigente.

Questo è forse il dato che colpisce di più ora che la crisi è definitivamente scoppiata, di fronte ad un disastro epocale la colpa non è di nessuno. Tutti i principali attori economici e politici attorno al mondo, se intervistati rispondono che la colpa non è loro, al massimo concedono di essersi lasciati trascinare nel fare come facevano tutti senza rendersi bene conto delle conseguenze. Diventa quindi difficile prendersela con gli operai britannici, non saranno certo i loro sindacati a renderli edotti sulla questione e nemmeno saranno i fascisti del British National Party che sembrano già calati come avvoltoi sulla protesta offrendosi per la caccia allo straniero. Gli uni e gli altri sono incredibilmente funzionali al sistema che nessuno sa come riformare e gli operai inglesi hanno già dimostrato di non essere animati da pensieri malati, respingendo le seduzioni del BNP con sdegno, di più, a queste condizioni, è difficile pretendere di più da loro. Anche nel nostro paese i sindacati stanno sacrificando le scarse ricchezze dei lavoratori sull'altare della crisi.

Resta il fatto che episodi come quello della protesta degli operai inglesi confermano la gravità del quadro generale e il rischio che dopo l'incredibile massa di truffe ordite dalla finanza globale si consumi una rapina epocale ai danni della classe media nei paesi avanzati, già piegata da anni di capitalismo selvaggio, ponendo sul suo capo un debito enorme, quasi del tutto generato a beneficio di quelle stesse élite che hanno provocato la catastrofe. La beffa delle beffe sarebbe assistere anche alla guerra tra poveri nei paesi sedicenti avanzati.

Il gioco è abbastanza scoperto ed evidente e viene dopo decenni nei quali si sono spremuti i bilanci statali sulla pretesa che i capitali così liberati sarebbero stati investiti al meglio dai privati intitolati a farlo. Governi di destra o di sinistra poco importa, l'unanimismo tra le classi politiche occidentali è stato marmoreo, i privilegi che ne sono derivati hanno portato al consolidamento di classi politiche che ovunque si sono infeudate nelle istituzioni e nei parlamenti come terminali di comitati d'affari.

Investite informalmente di questo potere quasi assoluto, le élite nazionali hanno ovunque supportato politiche economiche che hanno alterato le politiche di redistribuzione delle ricchezze nazionali a favore delle classi privilegiate, si sono creati molti ricchi e molti ricchi sono diventati incredibilmente più ricchi, al prezzo della creazione di centinaia di milioni di poveri o quasi-poveri.

Un dato che deve far riflettere è quello della dinamica della tassazione delle classi medie e medio-basse negli ultimi decenni. Nonostante l'incredibile enfasi che ovunque nel mondo si è spesa per la riduzione delle tasse, quelle sulla classe media non sono mai calate, in nessun paese. Sono calate solo le tasse per i grandi redditi, mentre allo stesso tempo si offriva loro la possibilità di utilizzare i paradisi fiscali e mentre la classe media veniva incatenata dall'informatica, là dove il prelievo non è alla fonte come nel nostro paese. Inutile dire che tutti i tagli ai servizi e alle prestazioni sociali pubbliche hanno rappresentato un aumento esponenziale della tassazione occulta sulla classe media, almeno dove esistono servizi pubblici, perché negli Stati Uniti quando perdi il lavoro perdi anche la copertura sanitaria. Allo stesso modo è stata la classe media ad assorbire l'impennarsi dei prezzi delle materie prime fino a poco prima che l'economia globale cominciasse la sua implosione.

Un articolo del britannico The Guardian segnala come tra le prime cento società per azioni britanniche ce ne siano ben poche che pagano le tasse in Gran Bretagna. Quasi tutte le evadono legalmente dislocando all'estero le parti dell'organizzazione che generano utili, generalmente in paradisi fiscali, e lasciando in Gran Bretagna solo quelle parti che non generano reddito, con il paradosso per il quale aziende che vantano miliardi di sterline di profitti sui libi mastri della City, su quei profitti non versano un penny di tasse all'erario inglese. Forse gli operai inglesi potrebbero trovare più soddisfazione e più senso nell'assediare certi loro connazionali.

Non succede e sicuramente la cosa non dispiace a quelle società che hanno evaso la tassazione inglese e nemmeno dispiace alle genialità della finanza che non sanno dove sbattere la testa. Funziona così quasi ovunque ed è inutile dire che con l'importo di quelle tasse si potrebbe garantire un reddito a milioni di cittadini britannici, che per tutta la loro vita hanno pagato tutte le loro tasse e che ora ritrovano le loro vite tra i “danni collaterali” delle malversazioni altrui.

La soluzione sembra ovunque quella di caricare il debito dei ricchi sulle spalle di quelli che ricchi non sono. Il problema grosso e che le classi medie sono già state dissanguate, anche chi ha un lavoro decente e sicuro, che gli permette di continuare a pagare le tasse e di mangiare, non ha margini per pagare anche l'odiosa tassa per salvare il reddito dei ricchi indebitati. Ancora meno ce l'hanno tutti quelli ai quali è stato offerto un lavoro sempre più infame e pagato sempre meno, o quelli che hanno perso o perderanno anche un lavoro assurdo perché produce un reddito insufficiente alla sopravvivenza.

Evidentemente la crisi è grave, ma non è ancora matura e quello che si può capire è che chi guida la giostra cerca di buttare soldi che non ci sono per permettere alla giostra di continuare a girare a dispetto di qualsiasi logica. Che la giostra possa tornare a girare come prima è impossibile, insostenibile, inconcepibile, basta pensare all'incongruenza tra l'invito al consumo nonostante l'impossibilità di mantenere i livelli di consumo precedenti per mancanza di capitale e di credito. La ripresa dei consumi sarebbe quella che dovrebbe permettere di continuare come prima e ripagare i debiti. A oggi la ripresa dei consumi è l'obiettivo dichiarato di tutti i governi ed è spacciata come la panacea di tutti i mali, ma come questa sia possibile mentre il reddito della classe media è ovunque al limite della sussistenza, con la capacità di indebitamento che è stata azzerata per soccorrere la finanza, non lo spiega nessuno. Gli stessi che dicono che prima si comprava troppo a debito, adesso dicono che quei livelli di consumo sono l'unica soluzione per salvare la baracca; difficile che possa sfuggire che manca la parte nella quale si spiega come fare quando non ci si può indebitare e si deve anche ripagare i debiti pregressi.

Fino a quando non si schianterà anche l'ultimo dei Mohicani sarà difficile assistere a vere autocritiche e a seri tentativi di mettere mano ad un sistema che è avviato al collasso. Negli Stati Uniti la nuova amministrazione riscuote fiducia, ma è schiava delle stesse dinamiche e delle stesse collusioni, non sarà certo Obama a ripianare i debiti per magia e ancora meno potrà mettere mano a certe dinamiche, così come non sarà l'economia sociale di mercato alla tedesca che potrà rappresentare la prossima foglia di fico da mettere davanti alla prossima trovata per cambiare qualcosa affinché nulla cambi. Con queste premesse la grande sfida dei paesi che si pretendono avanzati, non è tanto quella del salvataggio delle economie, quanto quella di attraversare questa crisi senza precipitare nella guerra tra poveri e senza derogare ai propri livelli di civiltà e solidarietà.