Proteste dei giovani lucchesi contro il decreto anti-kebab

Razzismo culinario a Lucca

Incredibile norma approvata su proposta del sindaco nel nuovo regolamento sui pubblici servizi della città toscana: all'interno del centro storico c’è spazio solo per la cucina lucchese.
28 gennaio 2009 - Vanessa Piccoli

La ridente città di Lucca è conosciuta per le mura che la circondano, tra le meglio preservate in Italia e nel mondo. La prima cinta fu costruita addirittura all’epoca dei romani, per difendere gli abitanti del centro dalle invasioni dei barbari. All’incirca 2000 anni più tardi, l’atteggiamento del piccolo centro toscano verso l’esterno non pare poi molto mutato: quando lo straniero bussa alle porte, tutto sommato, è meglio restarsene ben chiusi dentro, e non aprire, sia che questi venga per portare scompiglio sia che voglia semplicemente… aprire un ristorante.

No al kebab

L’ha stabilito il sindaco Favilla (Forza Italia) nel nuovo regolamento sui pubblici servizi, che è stato presentato in consiglio comunale giovedì scorso: nel centro storico d’ora in avanti “Non è ammessa l'attivazione di esercizi di somministrazione la cui attività svolta sia riconducibile a etnie diverse". L’obiettivo del decreto è quello di mantenere intatti lo spirito e la tradizione della città, non lasciare insomma che la “lucchesità” più autentica venga travolta dal mare della globalizzazione. Bisogna dire, a onor del vero, che anni fa, adducendo più o meno le stesse ragioni, i commercianti del centro si opposero con successo all’apertura di un McDonald’s nel centro storico. Peccato però che lo stesso zelo non sia stato dimostrato nei confronti dei vari negozi di abbigliamento (Nike, Footlocker, Accessorize, Tezenis…)che, pur avendo ben poco di lucchese, negli ultimi anni hanno invaso la città.

Fino a circa quattro anni fa, a pochi passi da una delle piazze storiche di Lucca, Piazza San Michele, c’era una piccola pasticceria napoletana a gestione familiare che per prezzi modici offriva dei dolci da leccarsi i baffi. Un bel giorno però la famigliola napoletana fu fatta sgomberare: l’affitto del locale gli venne alzato a un livello tale che i poveri pasticceri dovettero abbandonare la barca senza troppi indugi. Al loro posto, che genere di attività credete sia stata aperta? Una tipica trattoria lucchese? Un negozio di artigianato locale? Nient’affatto, nei locali della ex-pasticceria sorge oggi un negozio della Nike.

Il problema è che nell’area del centro gli affitti dei locali hanno subito un aumento tale che moltissimi piccoli esercenti, lucchesi e non, dagli anni Novanta in poi, hanno dovuto chiudere e gli unici a potersi permettere di subentrare sono proprio le grandi catene.

Allora viene da chiedersi: tutto questo accanirsi contro la globalizzazione, sarà una questione di tradizioni o semplicemente di interessi? Le grandi multinazionali dell’abbigliamento si intonano meglio ai vicoli medievali di un modesto kebbabaro? E infine: la pasticceria sarà forse stata fatta chiudere perché i napoletani vengono considerati come appartenenti ad un’altra etnia?

Nello stesso regolamento sui pubblici esercizi, sono stati inseriti una serie di provvedimenti volti a contenere i disturbi alla quiete pubblica provocati, nelle ore notturne, dai giovani che sostano di fronte ai locali. Gli esercenti sono stati invitati a controllare che gli avventori non consumino in mezzo alle vie, che non si mettano a mangiare o bere sugli scalini di chiese e monumenti, e che non si radunino in maniera eccessiva davanti ai locali. Tali ordinanze, che hanno suscitato lo sdegno dei giovani lucchesi, suonano tristemente familiari a chi vi riconosce fin troppe analogie con la situazione bolognese. E non solo: a quanto dice Alessandro Spada, (coordinatore di An, Pdl) “Alleanza Nazionale chiederà di copiare lo stesso provvedimento anche a Forlì con lo scopo di salvaguardare la cucina italiana e romagnola”.

A quanto pare, il giro di vite continua a stringere un numero sempre più elevato di città italiane e non sembra intenzionato a fermarsi.