Una lettera di dimissioni che parla più di mille comunicati

"Non voglio essere più complice, lascio il Servizio minori del Comune di Bologna"

Dopo averne viste troppe di ipocrisie, tagli e "scelte politiche criminali" c'è chi decide di dire basta.
23 gennaio 2009

Comunico le mie dimissioni dal front-office del Servizio per minori e
famiglie del Comune di Bologna.

In due anni ho visto aumentare esponenzialmente i nuclei familiari che
si si rivolgevano al Servizio perché strozzati da affitti privati
inaffrontabili, costi di forniture indispensabili, dall'acqua al gas,
vendute come fossero beni di lusso, rette per asili nido, scuole
materne, mense e servizi scolastici sia pure nominalmente "pubblici".
Ho visto arrivare operai reduci dalle lotte della Sabiem e dei servizi
aereoportuali piuttosto che licenziati da piccole fabbriche dove
lavoravano da quindici anni o lasciati a casa dai cantieri
dell'edilizia, li ho visti arrivare umiliati ed esordire mormorando "E'
la prima volta ... non ho mai chiesto l'elemosina a nessuno... ci hanno
tagliato anche il gas e i bambini... con questo freddo...".
Ho visto madri angosciate per l'ansia di non riuscire a fare la spesa il
giorno dopo e bambini che gioivano quando gli veniva offerto un
cioccolatino o una merendina come fossero regali.
Ho visto un giorno dopo l'altro, nei volti, nelle voci di donne, uomini,
bambini, esplodere una questione sociale che finiva sminuzzata e
triturata fino a ridursi a una somma di singoli "casi sociali", su
ognuno dei quali qprire cartelle e avviare procedure, nella migliore
tradizione di medicalizzzione della povertà, patologia individuale e non
epidemia sociale.
Ho visto le risorse e i servizi messi a disposizione
dall'amministrazione comunale diminuire costantemente, in uno
stillicidio di circolari e comunicazioni di servizio, senza che mai le
decisioni politiche venissero pubblicamente esplicitate, con conseguente
assunzione di responsabilità da parte dei decisori, che lasciavano
invece di fatto agli operatori sociali il compito di rispondere alla
disperazione: "Mi dispiace, per questo non possiamo fare più niente...
Non abbiamo più soldi per i contributi... No, non possiamo più chiedere
esenzioni dal pagamento dei servizi scolastici...".
Ho visto transitare inutilmente dal Servizio famiglie rom cacciate
periodicamente con metodi da deportazione dagli alloggi di fortuna che
riuscivano a trovare, alle quali tutto quello che il Comune di Bologna
offriva era un periodo di accoglienza in qualche struttura per le madri
e i bambini, ma per finta: se avessero accettato, non ci sarebbe stato
comunque posto per collocarle.
Adesso, per fortuna, anche questa ipocrisia è finita.
Ai nuclei familiari arrivati ieri presso la sede del Servizio dopo
essere stati sfrattati dal posto dove alloggiavano, è stato comunicato
che tutto quello che si poteva mettere a disposizione erano tre giorni
in un albergo e il pagamento dei biglietti su un pullman per la Romania:
in cambio del viaggio gratis, però, avrebbero dovuto firmare un
documento in cui si impegnavano a non rivolgersi mai più ai servizi
sociali di Bologna.
Accetteranno? Hanno passaporto rumeno ma, come la maggior perte dei
rumeni stessi direbbe, non sono rumeni: sono rom. Forse partiranno
comunque, o forse dopo i tre giorni in albergo scompariranno in una
nuova invisibilità, magari sperando che possa esserci di nuovo lavoro
nell'edilizia, dove gli uomini sono abituati a lavorare, più o meno in
regola, più o meno in nero per i padroni italiani che invocano legalità.
In ogni caso, quei bambini a quanto pare non sono un problema nostro; se
poi un altro bimbo rom dovesse morire bruciato in una baracca che
neanche i cani, si potrà sempre recarsi ai suoi funerali offrendo a
fotografi e cameramen le proprie migliori facce da cordoglio.

Rassegno le mie dimissioni con effetto immediato: non intendo più
rendermi complice, neanche per un solo giorno ancora, di scelte
politiche criminali.

(lettera firmata)