Recensione del film di Ari Folman sul massacro di Sabra e Shatila

Valzer con Bashir


13 gennaio 2009 - Gracco

valzer con Bashir

Regia: Ari Folman
Sceneggiatura: Ari Folman
Montaggio: Nilli Feller
Musiche: Max Richter (II)
Produzione: Les Films d'Ici, Razor Film Produktion GmbH, Bridgit Folman Film Gang
Distribuzione: Lucky Red
Paese: Germania, Francia, Israele 2008
Uscita Cinema: 09/01/2009
Genere: Animazione
Durata: 87 Min
Formato: Colore

Il regista israeliano Ari Folman incontra in un bar un amico di vecchia data, che gli racconta di un incubo ricorrente, in cui è inseguito da un branco di ventisei cani inferociti;l’uomo si sveglia proprio quando i cani stanno per attaccarlo. L’incubo si ricollega al tragico periodo vissuto dai due amici agli inizi degli anni ottanta, quando furono arruolati nell’esercito israeliano in missione in Libano e assistettero al massacro di Sabra e Shatila, da parte dei falangisti cristiani. Ari non ricorda nulla di quel periodo, quasi ci fosse un’assenza temporale, un buco nero; chiedendo aiuto ad uno psicologo, decide dunque di dissotterrare quelle memorie. Dai ricordi frammentari e dalle immagini evocate dai suoi ex commilitoni, anche Ari inizierà a recuperare frammenti di memorie, sogni surreali, fino al ricordo completo.

 

L’invasione israeliana del Libano del 1982 non è un evento a se stante, ma si inserisce all’interno dell’intricato mosaico israelo-palestinese. Dopo l’annientamento subito in Giordania nel 1970, l’OLP concentrò le proprie forze nel sud del Libano, dove poteva contare sul sostegno di un gran numero di profughi; l’ascese del gruppo palestinese aveva messo in allarme i partiti avversari e in particolare i Kata’ib (falangisti cristiani) guidati da Bashir Gemayel. Entrambi i fronti erano pronti alla guerra ed avevano trovato armi e sostegno all’esterno: l’OLP dalla Siria e i Kata’ib da Israele e Stati Uniti; Beirut stessa era divisa a metà, i Kata’ib controllavano la parte orientale e l’OLP quella occidentale. Israele intanto rendeva sicure le sue frontiere meridionali con l’Egitto, determinato a dare una soluzione definitiva al problema palestinese. A tal scopo bisognava distruggere le forze dell’OLP in Libano e instaurarvi un regime amico che avrebbe appoggiato la sua politica di insediamenti e di annessioni dei territori palestinesi occupati. Con una certa acquiescenza degli Stati Uniti, Israele invase dunque il Libano nel giugno dell’ottantadue; l’invasione concluse con un accordo che prevedeva l’evacuazione di Beirut ovest da parte dell’OLP, mentre gli israeliani si impegnavano a garantire l’incolumità dei civili palestinesi. Nello stesso tempo, il capo dei Kata’ib Bashir Gemayel (il Bashir del titolo), viene assassinato alla vigilia del suo insediamento a presidente del Libano. L’assassinio fu preso a pretesto dagli israeliani per occupare Beirut ovest e ciò permise ai Kata’ib di perpetrare un vero e proprio eccidio di palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila, allestiti in quell’area.

 

Tutto questo,ossia l’analisi politica e storica di quegli avvenimenti, è ciò che il film trascura. Folman si concentra per lo più sul ricordo dei soldati e sull’orrore della guerra vissuta in prima persona, su questo il suo lavoro è esemplare; il coinvolgimento emotivo dello spettatore con la storia che si rivela dinanzi ai suoi occhi è inevitabile. Molto più cauto appare il regista sulla denuncia delle responsabilità da parte delle autorità israeliane a guardia dei campi: il nome di Ariel Sharon, allora ministro della difesa israeliana, che avvisato da un giornalista di ciò che era accaduto nei campi profughi evitò qualsiasi tipo di intervento, è riferito una sola volta dal giornalista in questione. Bisogna dunque prendere questo film per quello che è: un documentario basato sull’esperienza di un reduce israeliana che ci racconta le atrocità della guerra come forse solo un reduce può raccontarli, con tutta la durezza e l’orrore che la realtà porta con se. Non è e non può essere un documentario sulla guerra civile Libanese o sul conflitto arabo-israeliano, manca la necessaria analisi storico-politica degli eventi. A patto di rispettare questa premessa, il film è un vero capolavoro. La scelta del documentario di animazione, con svolte e parentesi surreali, sembra l’unica possibile dinanzi allo strazio della guerra vista come evento irrappresentabile che necessita del filtro dell’animazione. Molte le suggestioni cinefile che Folman usa nel suo film, da Apocalypse now a Full metal racket, modi diversi di raccontare la follia della guerra, accomunati dal comune ripudio delle sue atrocità.

 

In programmazione al

Cinema d’Essais, via Fondazza n.4

orario: 16.30, 18.30, 20.30, 22.30