> Da Bandieragialla
Separare gli alunni stranieri da quelli italiani. E' quanto propone la mozione Cota, già votata a maggioranza alla Camera dei Deputati, che prevede l'istituzione di classi ponte, cioè classi differenziali per un periodo transitorio, in cui gli alunni stranieri che non abbiano superato determinati test di ingresso e di valutazione possano apprendere la lingua italiana, senza incidere sul percorso di apprendimento della classe, diciamo, normale. Ma qual è lo stato attuale dell'integrazione degli alunni stranieri in Italia, e in particolare in Emilia Romagna, dove l'incidenza di bambini immigrati all'interno del sistema scolastico è dell'11,6%? C'è davvero bisogno di classi ponte o, come vengono definite ora, di classi di inserimento propedeutiche?
L'inchiesta di BandieraGialla, che raccoglie più voci e livelli diversi di interpretazione, a partire dalle istituzioni, passando dal personale scolastico e da chi ha rapporti con le famiglie di origine, per terminare con gli stessi alunni stranieri, fa emergere un comune "no" alle classi ponte.
"E' dal 1977 che il nostro Paese ha abolito le classi differenziali", afferma Paola Manzini, assessore regionale alla Scuola. "Da allora la scuola italiana ha operato nell'ottica dell'integrazione e della valorizzazione delle diversità". Al posto delle classi ponte - propone il CDLei di Bologna, Centro di documentazione interculturale - bisognerebbe diffondere le buone prassi della didattica che già vengono attuate in molte scuole: quindi corsi di lingua italiana a più livelli, prescolastici, estivi e durante l'anno di studi, realizzati sia con alfabetizzatrici esterne che con insegnanti in servizio.
Come faranno altrimenti i bambini - si domandano i genitori degli stranieri - ad imparare l'italiano se si troveranno a socializzare solo con alunni che l'italiano non lo conoscono e che magari parlano tutti lingue diverse tra loro? Gli insegnanti che abbiamo intervistato sono concordi nel segnalare che la presenza di alunni stranieri non ha mai rallentato la programmazione condivisa dell'intera classe. Anzi: la loro presenza è un arricchimento e stimola un importante processo di integrazione.
Inoltre, fa notare Raza Asif, presidente del Consiglio degli stranieri, l'identità di un Paese si forma a partire dalla scuola. "E' importante quindi che i bambini stranieri imparino a sentirsi parte dell'Italia e questo non può avvenire se vengono separati dai propri coetanei italiani". Come spiega tra l'altro il pedagogista Antonio Genovese, "per un bambino/a straniero che vive nel nostro Paese, l'italiano non è una lingua straniera, ma una vera e propria lingua 2 (L2), cioè una lingua che si affianca a quella materna e lo rende bilingue. Dunque, è una lingua che veicola emozioni, sentimenti, paure, simpatie, antipatie, conflitti, relazioni, e non solo una lingua di informazioni e di regole".
Ma chi è a favore della mozione Cota, descrive questo provvedimento come una forma di "discriminazione transitoria positiva" per superare lo svantaggio linguistico. Secondo Fabian Lang, mediatore interculturale, una discriminazione positiva avviene invece solo all'interno della classe mista, dando maggiore attenzione agli studenti stranieri, coinvolgendo le famiglie e tenendo conto anche delle differenze culturali nell'organizzazione scolastica dei vari Paesi di provenienza. "Questo provvedimento è stato pensato senza la conoscenza reale della situazione e senza discuterne prima con chi in questa situazione ci lavora e vive". La parola finale quindi ai protagonisti, passivi, della mozione: gli alunni stranieri, con le loro storie di vita, la ricerca di pari opportunità e le amicizie con i ragazzi italiani, attraverso le quali è avvenuto il più rapido apprendimento della lingua.
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