IL VELENO COME ANTIDOTO
Non appena è apparsa chiara l’estensione della catastrofe economica che le politiche liberiste hanno scatenato sull’intero pianeta, il governo italiano ha avuto un’idea geniale: blocchiamo il processo di riduzione delle emissioni tossiche nell’atmosfera – che d’altra parte in Italia non è mai cominciato – per favorire l’impresa, particolarmente i produttori di auto e di petrolio.
La situazione economica è disastrosa perché negli ultimi trent’anni abbiamo puntato tutto sul profitto, sulla privatizzazione, sul consumismo e sul trasporto inquinante.
Cosa dobbiamo fare per uscire dal disastro? Il governo Berlusconi suggerisce questa cura: puntiamo tutto sul profitto, sulla privatizzazione, sul consumismo e sul trasporto inquinante.
Il veleno come antidoto.
La posizione del governo Berlusconi è stata isolata dai paesi europei che puntano a realizzare il programma 20x20x20, e dopo la vittoria dei democratici alle elezioni americane sembra che sarà isolata anche a livello mondiale.
Ma il governo berlusconi è un relitto della storia passata.
Il signor presidente del consiglio non perde occasione per ripetere che lui governerà per altri quattro anni e mezzo e che dobbiamo “farci il callo” (scusate l’espressione ripugnante, ma quell’uomo si esprime così). Io consiglio di non credergli. Non governerà quattro anni e mezzo, e credo neppure due anni, perché la tempesta che si sta scatenando nell’economia e nella società è destinata a spazzarlo via, per quanto profonda sia la penetrazione del verbo di Mediaset nella mente obnubilata della audience italiana.
FINE DEL CICLO DELL’AUTO
Un punto decisivo della battaglia che si apre nei prossimi mesi è proprio quello dell’ambiente, dell’aria che si respira nelle città, delle scelte sul tema dei trasporti. L’idea che si possa continuare a investire nel ciclo dell’auto è sbagliata dal punto di vista ambientale ma anche dal punto di vista economico.
Non c’è speranza per l’auto italiana perché i cinesi producono a costi molto più bassi. E soprattutto non c’è speranza per l’auto italiana perché in Italia di auto ce ne sono troppe, ce ne debbono essere di meno nel futuro, e occorre andare in altre direzioni nelle scelte di investimento industriale.
La fine del ciclo dell’auto è all’ordine del giorno in tutto l’occidente. In America come in Europa le fabbriche automobilistiche licenziano.
Si pone un problema enorme: l’occupazione diminuisce in questo settore più rapidamente che negli altri settori industriali (dove pure non si scherza). E ben difficilmente si può sperare di salvare l’occupazione dei lavoratori dell’auto se non si mette in questione proprio questa scelta produttiva.
Sia ben chiaro. Il ciclo dell’auto non è in crisi perché gli ambientalisti lo criticano, o perché i ciclisti optano per la bicicletta. Non è colpa dei ciclisti se l’occupazione diminuisce.
Il ciclo dell’auto è in crisi perché le scelte di investimento del ceto imprenditoriale sono state finora poco lungimiranti, rivolte a massimizzare il profitto immediato anche se questo comportava inquinamento e saturazione del mercato.
CRISI DELL’OCCUPAZIONE E REDDITO DI CITTADINANZA
Il governo Berlusconi (come il governo di centrosinistra che lo ha preceduto) tutto hanno fatto tranne che favorire l’occupazione. La loro priorità era ed è favorire il profitto e la Confindustria. La prova migliore sta nel fatto che sia il governo Prodi che quello Berlusconi hanno legiferato a favore della detassazione delle ore di straordinario. Scelta criminale oltre che autolesionista, il cui risultato è sotto gli occhi di tutti: i lavoratori sono costretti ad fare un numero crescente di ore di straordinario pur di poter arrotondare un salario sempre più inadeguato. Ma il risultato (del tutto prevedibile) è una diminuzione dell’occupazione. Meno lavoratori, sempre più sfruttati è il dogma indiscusso del neoliberismo che ha portato il mondo sull’orlo della catastrofe.
Vogliamo continuare?
Noi non vogliamo continuare. Ma come facciamo con la disoccupazione, come affrontiamo il problema dei licenziamenti?
La risposta che oggi dobbiamo dare è quella del reddito di cittadinanza.
Un salario garantito per tutti i cittadini che hanno compiuto 18 anni. E’ la sola speranza di uscire dal disastro presente.
Invece di pensare unicamente a salvare le banche, soggetto principale della truffa che ha prodotto il disastro presente, si provi a pensare all’aumento della domanda.
Questa è una risposta urgente dal punto di vista sociale, ma anche dal punto di vista dell’economia reale.
Il cambiamento produttivo che si prepara ineluttabilmente non si potrà affrontare senza un cambiamento culturale. Il mito della crescita, dogma fondamentale del capitalismo, deve essere ripensato alla radice. E la radice è la cultura sociale, il comportamento quotidiano.
E’ la nozione stessa di ricchezza che deve essere ripensata.
Il ventesimo secolo identificò la ricchezza con l’accumulazione, l’acquisizione di una massa crescente di beni. Ma ricchezza può invece significare godimento del tempo, frugalità nel consumo e piacere della libertà dei corpi.
Il ventesimo secolo intese la ricchezza essenzialmente come velocità. Ma oggi sappiamo che la vera ricchezza sta invece in un rapporto lento con le cose e con i corpi.
A questi temi BOLOGNA CITTA’ FUTURA dedicherà un convegno che si svolgerà il 5 6 dicembre.