Quasi tutti conoscono la “rossa dalle due ruote” per i suoi successi al mondiale superbike o per le sue ottime prestazioni al mondiale moto GP, in tanti distinguono il “rumore” del suo motore e delle sue valvole “desmodromiche” e si girano al suo passaggio per strada. La Ducati è un “vanto del sistema industriale bolognese” e un simbolo della “produzione di qualità” emiliana; questi riconoscimenti sono anche consacrati dalla presenza delle sue moto e dei suoi gadget nelle vetrine dell’emporio della cultura e del turismo che si affacciano su Piazza Maggiore.
Ma in quanti hanno cognizione dell’universo fatto di uomini e donne in carne ed ossa, operai impiegati tecnici, che, per poco più di mille euro al mese, con il loro lavoro consentono le tante “affermazioni” della casa motociclistica bolognese?
Essere davanti ai cancelli della Ducati Motor lunedì 4 settembre sarebbe stato utile a molti che solitamente straparlano di competitività, di costo del lavoro, di sacrifici. Costoro avrebbero visto la rabbia di centinaia di lavoratrici e lavoratori che sono consapevoli di essere sempre più gli strumenti e le vittime di processi di ristrutturazione, di crisi di mercato annunciate, di operazioni finanziarie azzardate: i primi a rischiare il posto di lavoro, a vedere stravolta la loro vita, a differenza dei pochi dirigenti (spesso blanditi dal potere politico) che non si giocano mai nulla a fronte anche di palesi errori di scelte di gestione industriale.
Cento di questi lavoratori sono stati messi in cassa integrazione a zero ore, vedranno il loro già basso stipendio notevolmente decurtato, non hanno nessuna certezza di rientrare e non sono certo tranquillizzati dalle parole dell’amministratore delegato, il “progressista” Federico Minoli, quando afferma: “c’è un problema di sacche di inefficienza, che riguarda alcune decine di persone e che affronteremo al momento opportuno”.
Sono persone che hanno contratto malattie professionali o che si ammalano “troppo facilmente”, studenti-lavoratori che prendono permessi per fare esami, i cosiddetti “indesiderati” che mal si conformano ad un’esigenza di duttilità che, secondo l’azienda, dovrebbe prevedere maggiore flessibilità rispetto a quella attuale: “pensare di lavorare tutti meno in certi periodi e di più in altri”.
Per Minoli, i “competitori giapponesi” non hanno il problema di trattare queste “necessità”.
Quello che tutti sanno è che la lista degli attuali “cassintegrati” potrà essere trasformata in una di eventuali “esuberi”, altrimenti perché la direzione della Ducati avrebbe dovuto rifiutare la rotazione della Cassa Integrazione su un numero di 200 lavoratori su un organico complessivo superiore ai mille dipendenti, molti dei quali svolgono mansioni facilmente intercambiabili?
Detto questo, credo che, rispettando in pieno l’autonomia dei lavoratori della Ducati Motor e delle organizzazioni sindacali che li rappresentano, le reti di movimento, le forze politiche della sinistra radicale, gli eletti nelle istituzioni, tutti nei propri ambiti di intervento, debbano esprimere concretamente solidarietà nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori colpiti dalla CIG e sostenere le iniziative di lotta che verranno messe in campo. La vicenda della Ducati prefigura un’idea “usa e getta” delle persone che va assolutamente contrastata, c’è un’indifferenza totale da parte di chi, con provvedimenti arbitrari, in nome del sacro “Dio Mercato”, calpesta i diritti dei lavoratori stravolgendo la loro vita e quella delle loro famiglie.
Per quanto riguarda il Comune di Bologna, i consiglieri del Coordinamento dei Gruppi dell’Altra Sinistra (Il Cantiere, Rifondazione Comunista e Verdi) hanno richiesto la convocazione urgente della Commissione Attività Produttive per ascoltare i delegati e i rappresentanti sindacali dei lavoratori della Ducati.
E’ altresì necessario coinvolgere, al più presto, tutto il Consiglio Comunale in una discussione sulla crisi che coinvolge diverse fabbriche del nostro territorio e su politiche attive a sostegno dei settori industriali che l’amministrazione comunale dovrebbe mettere in campo.
Le centinaia di posti di lavoro messi a rischio richiedono un’attenzione molto superiore al persistente letargo politico (dall’inizio del mandato ad oggi) di chi ha gestito la delega alle attività produttive.
E poi c’è anche una questione di tipo sociale: chi finisce in cassa integrazione o chi perde il posto di lavoro (con sempre minori possibilità di recuperare altri inserimenti lavorativi, soprattutto se si ha più di quarant’anni) si trova in poco tempo in uno stato di necessità (impossibilità a continuare a pagare il mutuo della casa o difficoltà a sostenere il costo dell’affitto, le rette degli asili o per l’assistenza agli anziani) che deve incontrare politiche di sostegno ad hoc da parte dell’amministrazione pubblica.
Valerio Monteventi