I governanti nazionali e locali sono pericolosi come un esercito in fuga. Incapaci di comprendere cosa sia successo alla società e confusi di fronte al persistente vizio dei cittadini di occupare talvolta per svago e talatra per senso civico le piazze, minacciano di inviare la celere (Berlusconi, tra una smentita e l'altra) o mandano, come ha fatto lo sceriffo Cofferati, il messo comunale a imporre la chiusura del baretto di piazza Aldrovandi (quello dello spritz a un euro) alle diciotto perché qualche decina di persone vi staziona davanti.
Dopo decenni di lusinghe consumistiche volte a chiuderci in casa, di minacce aperte e sottili; dopo aver reso le strade pericolose non arginando il traffico automobilistico, dopo aver assegnato ai canoni d'affitto il lavoro sporco di normalizzare gli esercizi commerciali che non proiettavano l'ologramma di una città pacificata e patinata – dopo tutto questo si sono infine arresi, e giocano l'ultima carta: quella dell'imposizione del loro modello di città sedata tramite l'atto cogente e la forza pubblica.
Non so come andrà a finire; ma in questi giorni d'autunno ho la sensazione e la speranza che quantomeno gli verrà a mancare il consenso più o meno rassegnato dei settori sani e vitali della società. Non pagheremo noi il loro aperitivo, non pagheremo noi il loro scadente spettacolo, non pagheremo noi la loro crisi.