Le reali motivazioni che hanno indotto studenti, insegnati, ricercatori e docenti a protestare per l’attacco alla scuola pubblica non dovrebbero essere ridotte solamente verso l'ultima manovra, impropriamente chiamata riforma, che pur rappresentando un attentato di dimensioni gigantesche alla pubblica istruzione non è che l’unico obrobrio partorito dal governo di turno sulla scuola, negli ultimi quindici anni.
In realtà , e questo non lo si racconta, Il fronte della rivolta è compatto, giovane e determinato.
Rimproverano a noi studenti di voler mantenere lo status quo, di essere addirittura conservatori, di volere mantenere le posizioni di dominio feudale dei baroni- professori- rettori.
Nessuna accusa è più errata e meno sensata.
Azione universitaria e Student Office, pur non concordando sui tagli e reclamando più risorse, contestano i blocchi della didattica e le occupazioni, accusando gli studenti in lotta di stare dalla parte dei rettori e di sostenere i rapporti di baronaggio. All’assemblea con il Senato Accademico di venerdì 24 nell’aula magna di Santa Lucia a Bologna i rappresentanti dello student office chiedevano di non fermarsi alla protesta dei tagli ma di portare avanti delle richieste che portassero allo smantellamento del sistema universitario fondato sulle clientele, sullo spreco e su tasse enormemente alte. Proponevano anche di utilizzare altri metodi di protesta per non ledere il diritto allo studio di tutti quelli che a lezione vorrebbero andarci.
La questione però è un po’ più complessa di come la presenta quella frangia minoritaria di studenti della destra universitaria.
Il diritto allo studio del singolo, la sua particolare volontà di frequentare la lezione va tutelata, ma altrettanto sacrosanto è salvaguardare la scuola pubblica in quanto diritto della collettività che è di rango superiore al diritto singolo di andare a lezione. Il movimento studentesco in lotta non difende i baroni perché è consapevole delle cause dei problemi che un certo tipo di gestione clientelare e mafiosa ha prodotto all’interno delle facoltà.
Tutti siamo a conoscenza di come è difficile ottenere il dottorato se non si è il pupillo o l’amico del professore di turno, oppure di quanto arduo,misterioso e opaco sia il percorso per diventare professore ordinario.
Tutto questo ci porta a dissentire dal sistema universitario attuale e dal taglio Gelmini- Tremonti, perché come è stato espresso dall’assemblea degli studenti, ricercatori e precari dell’Università di Bologna durante l’incontro con il Senato Accademico: “Non ci è possibile, in questa sede, rendere conto del complessivo dibattito che qui come altrove stiamo sviluppando in ordine all'Università di ieri, di oggi e di domani. Dobbiamo limitaci, per ragioni di tempo, ad anticiparne solo talune conclusioni semplici, parziali e provvisorie: ebbene, il sistema formativo che vogliamo non è quello disegnato dalla coppia Tremonti-Gelmini, ma non è nemmeno quello odierno. Crediamo nell'autonomia della ricerca e della didattica, nella necessità di aprire nuovi spazi, orizzontali, in cui studenti, ricercatori e docenti producano sapere nuovo, vivo, in cui le diverse conoscenze si intersechino e i rigidi steccati delle discipline vengano superati. Respingiamo, perciò, con assoluta determinazione, ogni accusa di conservatorismo, peraltro assai bizzarra e pretestuosa quando proviene da chi si accinge, con vena persino restauratrice revanscista a reintrodurre il maestro unico ed il voto in condotta nella scuola primaria. Non è un caso che manifestiamo tutti insieme, dalla scuola primaria all'università”.
Per mostrare la trasversalità del movimento e l’isolamento di sparuti gruppi di apparenti “studenti modello” basta leggere il comunicato che Forza Nuova ha prodotto in cui afferma di condividere la lotta degli studenti dissociandosi da quel gruppo politico interno alle università troppo legato al potere dominante e sostenitore di quelle politiche che realmente facilitano il baronaggio feudale nelle Facoltà, fenomeno tipicamente italico.
Pur non trovandomi d’accordo e diametralmente opposto coi motivi e le idee propugnate dai neo fascisti l’esempio ci aiuta a comprendere di quanto il governo abbia superato il limite consentito diventando capace di irritare la parte politica meno egalitaria di tutte. Ha travalicato la soglia oltre cui noi studenti, docenti, insegnati in lotta non possiamo non reagire. La Gelmini nell’ultima intervista al Corriere del Sera ha dichiarato che la maggioranza degli studenti è con lei e che le occupazioni sono minime, ma che i media le mettono in risalto per provocare polemiche. Ha pure aggiunto che lei s’ispira a Obama il quale ha in progetto una “riforma” simile alla sua per la scuola americana.
“Non abbiamo paura della crisi dell'università perché ne stiamo costruendo un'altra” dice un altro documento della rete della protesta.
Di fronte ad un senato accademico immobile e impaurito di perdere potere la lotta continua fino a quando il decreto non sarà ritirato. Non è condivisibile nemmeno ciò che dice il rettore dell’Ateneo di Bologna Pier Ugo Calzolari secondo cui i tagli vanno fatti negli atenei meno virtuosi perché così facendo si formerebbero università di serie A e di serie B. E provate a immaginare quali regioni avrebbero la peggio? Le stesse che hanno la sanità inquinata e penetrata delle mafie, le stesse che vedono le loro teste migliore partire per arricchire come sempre, il già opulento Nord. Altri punti su cui l’Ateneo bolognese non si è schierato apertamente contro sono il turnover al 20%, la questione dei finanziamenti privati e le università come fondazioni private. Per il turnover al 20%( un ricercatore oggi cinque docenti) l’Ateneo di Bologna non prende una posizione netta, dicendosi favorevole per applicare questa misura negli atenei meno produttivi. Questa discriminazione va proprio a rispecchiare la composizione dell’Aquis( Associazione per la qualità delle Università Italiane Statali) dove su 19 atenei aderenti, 11 sono del Nord, 5 del centro e 3 del Sud. Per quanto riguarda i finanziamenti privati l’Ateneo di Bologna non li condanna tanto è vero che in una riunione tenutasi a marzo scorso l’Aquis si è espressa in questo modo: “Occorre introdurre un sistema premiale per le università più produttive e che Confindustria si schieri come partner delle università migliori”. Sulle fondazioni l’Ateneo non si è espresso pubblicamente anche se la sua posizione di assoggettamento nei confronti dei finanziamenti privati permette di dedurre la volontà di privatizzare il più possibile seguendo quella logica discriminatoria che vedrà soccombere, per mala gestione, gli atenei più deboli. A rimetterci non saranno certamente gli amministratori di quell’ Ateneo, ma gli studenti che per un motivo o per un altro hanno dovuto scegliere l’Ateneo più vicino a casa anche se il meno virtuoso . In questo modo la libera scelta dell’università è viziata dalla capacità gestionale dell’Ateneo e quindi non è più libera come dovrebbe essere in uno stato unitario.
La protesta va avanti e come recitava lo striscione di apertura del corte o spontaneo a Bologna “indietro non si torna”. Figli e genitori, insegnanti e studenti, lavoratori strutturati e precari saranno in piazza a Bologna il 30 ottobre ancora tutti uniti per dire no allo smantellamento della scuola pubblica e alle lobby di pressione politica, tra cui l’Aquis, che vorrebbero l’università pubblica piegata agli interessi di mercato. La manifestazione è una forma di protesta autonoma, indipendente dai sindacati confederali che quel giorno scenderanno in piazza a Roma.
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