Il Laboratorio ha una nuova casa all'ex magazzino Granarolo

Rimini, il Paz rioccupa

Dopo lo sgombero ordinato a giugno dalla giunta di centrosinistra del sindaco Ravaioli, il Paz mantiene la sua promessa e libera un nuovo spazio in città. Leggi il comunicato diffuso dagli occupanti.
27 settembre 2008

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"Io penso che il mare, così come si può amarlo e vederlo, sia il più grande documento esistente della sua vita passata" (Fernand Braudel, 1946)

Ricominciare da zero…

Ricominciare da zero non vuol dire per noi azzerare quell’enorme esperienza e accumulo di lotte che il Laboratorio sociale Paz ha prodotto nella città di Rimini, poiché quell’esperienza e la sua conclusione ci hanno permesso di crescere come soggettività autonome, di tessere reti per la comunità territoriale che desideriamo costruire, di sperimentare nuove pratiche di lotta e di agire, tutto nella più totale e piena autonomia dai sistemi/partito e dalle forme della rappresentanza. Di capire che "o ti batti o ti fai battere".

Un nuovo spazio politico. Pubblico, libero, organizzato
Uno spazio per andare, andare avanti e ricominciare. Questo è oggi il nuovo progetto Paz. Un laboratorio sociale di biopolitica territoriale, uno spazio presente nel qui e ora per pensare e costruire un’altra città dentro la metropoli estesa della costa romagnola, una metropoli accomunata dagli stessi paradigmi di sfruttamento e dagli stessi dispositivi di comando sicuritari la cui unica maniera di affrontarli è pensare di cambiarli. Cambiarli ripartendo da dove ci eravamo lasciati.
Ci eravamo lasciati il 9 giugno dopo lo sgombero della Giunta Ravaioli e co. consapevoli più che mai che si stava compiendo un passaggio rilevante per la storia di Rimini e del movimento no global in questa città. Per la prima volta a Rimini dal 17 settembre 2004, per 4 lunghi anni, uno spazio sociale si è dedicato interamente alla città e ai cittadini, per costruire percorsi mai amicali e falsi ma conflittuali e costruttivi dentro le strade, nelle piazze, nei luoghi di produzione dello sfruttamento, nei luoghi asserviti alla guerra che fosse l’aeroporto o la spiaggia prigione, contro l’abbrutimento della precarietà, nelle maglie delle ordinanze sicuritarie e dei luoghi pubblici ingabbiati, fra i rifiuti e i fumi dell’inceneritore, negli scarichi fognari a mare o nei problemi legati all’inquinamento del traffico veicolare.
Quell’esperienza non si è conclusa con lo sgombero il 9 giugno, anzi. Oggi si ripresenta più forte e viva perché non si può sopprimere l’incontenibile desiderio di spazi e di cambiamento. La passione che anima quel desiderio di essere parte integrante di processi reali di partecipazione per rompere i paradigmi che sottendono l’agire del controllo e dello sfruttamento sulle forme di vita e sul territorio.
Spazi e cambiamento, una dualità che contiene in sé il senso di questo ricominciare al centro, ancora più al centro, non solo della città, ma anche della metropoli costiera caratterizzata oggi più che mai dai processi di governance autoritaria che prendono le svariate forme delle ordinanze per la sicurezza, della caccia all’abusivo, dello sfruttamento del lavoro stagionale.
Per questo oggi il Paz rinasce partendo da quello che è l’elemento fondante della città Rimini e di ciò che essa rappresenta. Il mare. Un mare, quello Adriatico, e una costa, quella romagnola, attraversata oggi più che mai da una crisi economica senza pari. Crisi che produce in forme e ordine diverso dispositivi a salvaguardia delle leadership settoriale che ha vissuto sulla rendita e sullo sfruttamento del mare e dei suoi "derivati", esseri umani compresi. Ma andiamo più nel dettaglio.

La via del Mare
Un nuovo progetto per la città.

Con il Paz prende avvio il progetto denominato la via del Mare. Un progetto nuovo che vuole intersecare il mare con gli aspetti che, a nostro avviso, hanno alterato e alienato il connaturale rapporto con questo particolare habitat: l’economia, il turismo, l’architettura, il controllo. Un progetto che prevede come primo step alcune assemblee e incontri per individuare dapprima delle mappe di lettura e poi degli strumenti d’intervento e d’azione. Potremmo chiamarlo l’altro piano strategico, l’altro piano di crescita e partecipazione per la nostra comunità che guarda alla sua storia, perché il processo economico che è alla base dell’industria turistica riminese non è altro che un effetto anticipato della globalizzazione.

Riminizzazione. Mito fondativo di una città dalla passione triste senza un’identità marittima
Non è il mare a fare di Rimini una città turistica, ma è lo sfruttamento e i processi di accumulazione capitalistica che l’hanno resa tale. Rimini non è più da decenni la città del mare. Rimini è la città della spiaggia e degli hotel, dell’immagine virtuale e costruita - quasi truccata - che si è voluta dare negli anni, quella finzione da pantomima ben descritta dal Maestro Fellini in tanti suoi film che rievocano questa terra. Nel 1969, durante il boom di un turismo mercificato che ha anticipato di molto quelli che sono oggi i nuovi contenitori sociali del consumo di massa – ipermercati in primis - con una certa quantità di tritolo fu distrutta L’Isola delle Rose, per ordine delle autorità.
L’Isola delle Rose era una piattaforma in cemento, costruita fuori dalle acque territoriali probabilmente per dare asilo al gioco d’azzardo. Un luogo altro quindi fuori dal controllo non solo delle autorità ma anche dai flussi produttivi legati al turismo che già avevano alterato con cemento, strade e mattoni il nostro litorale. Noi oggi ci sentiamo un po’ come l’isola delle rose, uno spazio al di fuori delle acque territoriali ma in mezzo al mare che prova a guardare intorno a se per cercare una nuova rotta.
Ci sentiamo però smarriti perché l’Adriatico pur non essendo un profondo oceano ci apre comunque ad un orizzonte infinito. L’adriatico in fondo è l’atrium, "la porta, da cui, il sole entra nel giorno(…) quella stessa porta che è da sempre, attraversata da merci, culture e popoli d’Oriente"[1].
Il riminese, salvo qualche rara eccezione, ma anche il turista non vivono appieno il mare ed hanno perso lo spaesamento e lo smarrimento che il mare porta con se. Entrambi vivono semmai un rapporto filtrato con esso, attraverso quell’immagine e quella barriera di cose che intorno al mare si è voluto costruire, quasi a volerlo contenere. Una vita pertanto non più connaturata alle stagionalità del mare, ma alla stagionalità del turismo e del consumo balnerare. La spiaggia diviene perciò un contenitore sociale e ludico, non più luogo connaturato alla vita umana e alla vita del mare.
Questo ci spiega come mai già dalla fine dell’ottocento sulla nostra costa, più che altrove, si sia sviluppato quello che oggi viene definito come il "processo di riminizzazione", un processo in cui la costa ha rappresentato e rappresenta - ancor di più oggi - un territorio/quartiere metropolitano, completamente staccato e dissociato dalla città/centro storico e dai suoi abitanti, un non luogo dove si fa shopping, si va nella spiaggia super attrezzata (dove il mare non si vede neanche più), ci si diverte, si lavora e si viene sfruttati, dove si fa di tutto fuorché vivere il mare.
Ecco perché Rimini è una città - come direbbe Spinoza - dalla passione triste, perché ha perso quel rapporto con la comunità e la sua storia originaria[2] .
Il mare inteso come risorsa economica non più ambientale, il mare come mezzo di produzione e di accumulazione capitalistica, processi che per sopravvivere poi hanno avuto la necessità di estendersi "all’orizzonte" umano. Come dire dietro ogni luogo di contenimento sociale e di consumo di una massa senza identità, servono braccia, braccia da sfruttare.
Oggi il processo di riminizzazione si è esteso a tutte le altre coste italiane. "L’Italia non è più una penisola immersa e al centro del mediterraneo, ma è come un villaggio turistico con ottomila chilometri di bordo vasca"[3], questo ha sostanzialmente decretato la superiorità dell’economia turistico/balnerare e dei sui effetti - in termini di produzione di paradigmi di sfruttamento e di logiche sicuritarie - su quelle più autenticamente marinare. In questi decenni si è compiuta sotto i nostri occhi una vera e propria guerra a bassa intensità sulle pacifiche attività umane legate al mare[4].

Dal mare e le sue stagioni, alla spiaggia sicuritaria fatta di cemento e confini
Le città che si affacciano sulle coste - Rimini in primis - hanno trasformato la spiaggia in un luogo di mercificazione, di scambio globalizzato, dove vige la legge del più forte: del capitale sulla cooperazione umana, del padrone sullo schiavo, delle ordinanze sicuritarie sulla libertà.
Se da un lato il Mare Mediterraneo, il mare nostrum si è trasformato in un cimitero a cielo aperto per milioni di migranti - una sorta di confine a maglie più o meno ristrette a seconda delle richieste della fortezza Europa - dall’altro la spiaggia è diventato un confine più o meno esteso delle governance sicuritaria razzializzata delle città. La spiaggia diviene il laboratorio di nuove pratiche repressive e di segregazione con l’ausilio poi dei meccanismi stigmatizzanti dei media e della politica locale. Il venditore ambulante picchiato dai vigili a Rimini, è il romeno da perseguitare a Roma, e il rom da espellere a Milano, sono i migranti rinchiusi nel Cpt di via mattei a Bologna e così via…
Rimini quindi non solo si assurge a modello di capitale europea del turismo con i suoi 2.197 Hotel e i suoi 140.000 posti letto[5], ma diviene il luogo in cui, con giunte tutte di centro sinistra, i vigili urbani diventano un corpo paramilitare di pronto intervento con una squadra speciale denominata "ambientale" che fa invidia alle guardi padane; in cui si sperimentano nuove strategie repressive contro i migranti producendo paura e generando odio, soprattutto verso i venditori ambulanti; in cui la battigia diventa una sorta di campo d’addestramento per le ronde razziste a suon di manganelli e spray urticanti antiaggressione.

La vera illegalità. Lo sfruttamento della manodopera stagionale
Per ricominciare da zero abbiamo capito - anche grazie al nostro percorso passato - che essere al centro della metropoli costiera voleva dire, anche e soprattutto, essere parte integrante della moltitudine di persone che attraversano lo spazio metropolitano costiero durante la stagione balneare. Essere ciò dentro ai meccanismi di produzione del capitale e di ciò che esso porta con se in termini di sfruttamento e nuovi paradigmi schiavistici. Per nuovi paradigmi schiavistici non si intende dire "appena posti in essere", ma semmai consolidati strumenti di sfruttamento della forza lavoro stagionale che però mentre in passato si sorreggevano sulle braccia degli emigranti interni (dal sud al nord d’Italia), oggi si globalizzano ed hanno il volto, la lingua e le braccia di altri paesi, Romania in primis. Senza più una casa siamo andati sui luoghi di aggregazione e della socialità gestita: bar, mercatini, hotel ed incontrato i nuovi schiavi…
Ne è nata un’inchiesta, la prima dal 2001, dopo quelle ufficiali dei sindacati confederali. Tutti parlano di lavoro nero e irregolare nel settore turistico/alberghiero ma nessuno che sappia parlarne o darne una rappresentazione. Tutti parlano di evasione fiscale del settore turistico/alberghiero ma nessuno che si ponga il problema di combattere questa vera illegalità diffusa e tacitamente nascosta anche da chi gestisce il consenso politico. Rimini è la città in Regione con i redditi più bassi, tuttavia ciò non spiega come mai, secondo i dati di BANKITALIA, siamo i primi in Italia per numero di Bancomat ogni abitante (uno ogni 871 abitanti) e, da una ricerca della FIBA/CISL, la Provincia con più sportelli bancari in confronto al numero di abitanti (uno sportello ogni 1.000 residenti).
La riflessione viene spontanea, dato che le banche non aprono per rimetterci… A Rimini c’è un’economia sommersa che sfugge al fisco ed agli amministratori locali che hanno sempre gravi, gravissimi problemi con il bilancio ma naturalmente il problema vero rimane, per tutti (politici, amministratori, categorie) l’abusivismo commerciale dei venditori ambulanti senegalesi.
L’inchiesta sullo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici stagionali ci ha permesso di capire e conoscere il meccanismo di organizzazione del lavoro nel settore turistico: 14 ore di servizio giornaliere senza giorno libero; contratti grigi part-time di 5/6 ore al dì; salari indegni rispetto alla quantità di ore lavorate e alla mole delle mansioni svolte. Un meccanismo di sfruttamento della forza lavoro stagionale che ha reso la nostra riviera tra le più competitive in Europa grazie all’abbattimento dei prezzi e al pacchetto del soggiorno tutto compreso che non ha rivali[6].
Così come si è sfruttato il litorale per produrre ricchezza non socializzata ma da decenni nelle mani della leadership settoriale, litorale trasformato, manipolato ad uso e consumo esclusivo del capitale - non è infatti un caso che si scaricano le acque fognarie e la merda direttamente in mare – lo stesso è avvenuto anche per chi doveva sorreggere la produzione della macchina dell’accoglienza dei 2.197 Hotel e dei suoi 140.000 posti letto. Non è stata cambiata la morfologia delle persone, la loro forma, com’è avvenuto per la costa e il litorale, ma a queste persone è stata tolta la dignità, il diritto di parola, di salvaguardia, di sicurezza, il connaturale diritto a esistere e non a sopravvivere... a queste persone noi dedichiamo il nostro ricominciare da zero, per batterci e non essere battuti, magari insieme a loro e perché anche la nostra città ha una sua dignità e una sua storia.

Noi ripartiamo da qui dal centro della metropoli costiera, come l’isola delle rose, convinti più che mai che di fronte alla banalizzazione dell’esistente solo una comunità territoriale e le soggettività che la compongono possono difendere i beni comuni, materiali ed immateriali, da cui la nostra storia ha avuto origine.

Con ABBA, OUSMANE, DILY nel cuore.

I compagni e le compagne del PAZ

Ps: Non sappiamo ancora come andrà questa scommessa, sappiamo che non sempre tutto è lineare o calcolabile. Intanto vogliamo ringraziare qualcuno: Fabio Fiori in primis, per le suggestioni dei suoi testi e delle sue ricerche. Leonardo Montecchi per esserci sempre. I nostri compagni della Regione E.R., i nostri amici, per il loro sostegno durante i lunghi mesi neri di "luglio, agosto, settembre" e perché no, le nostre famiglie d’origine che ci hanno dato una speranza, coraggio e amore per la vita.